AUGURI A TUTTI, E UNA CURIOSITA'

Ringraziando chi li ha fatti direttamente o su questo sito, auguri di cuore a tutti. Quelli inviati per Natale via sms contenevano una frase di Rainer Maria Rilke, uno dei miei autori preferiti. Un verso di una poesia, Annunciazione: "So kam ich vollendete/dir tausendeinen Traum./ Gott sah mich an: er blendete.../Du aber bist der Baum" (Sono venuto a compiere/la visione Santa./Dio mi guarda, mi abbacina.../ Ma tu, tu sei la Pianta"). Buone feste a tutti. E una curiosità: sono stato a Torino, dove sono nato. E ho dato una sbirciata alle foto tenute in solaio da mio nonno e recuperate da mia madre. Alcune sono piene di storia non solo familiare. Una mi ha incuriosito più di altre. Ed è questo autografo strappato da mio nonno materno, Aldo Colombo, a Parigi nel 1927. Non riesco a decifrare bene la firma: il nome è Renato, il cognome sembra Nirvana, Niwana o simile. Vestito da Lawrence d'Arabia come è, sarà stato un attore dell'epoca, e probabilmente il nome è d'arte. Chissà se si riesce a rintracciarne l'identità... Magari, chi passa di qui, può essere utile... PS. Fino al 30 sarò a Barcellona, spero di potere inviare qualche post di lì...

Da Italia Oggi in edicola/ BERLUSCONI AL TELEFONO NON HA DIRITTO ALLA PRIVACY

Silvio Berlusconi ha presentato al garante della privacy, Franco Pizzetti, un esposto contestando la pubblicazione su un sito internet del gruppo Espresso della registrazione audio di una sua telefonata con il direttore di Rai fiction, Agostino Saccà, risalente a poco più di un mese fa. Si tratta del colloquio, in parte già noto, in cui il leader dell'allora Forza Italia raccomandava al dirigente della tv di stato due attrici per una particina. Nella telefonata, che ItaliaOggi pubblica integralmente alle pagine 4 e 5, Berlusconi si lascia andare a considerazioni pesanti sui consiglieri di amministrazione Rai della Cdl e si crogiola nelle adulazioni di Saccà: «Mi scambiano per il Papa», dice gongolante. Nella telefonata oltre a raccomandare la messa in onda di una fiction su Federico Barbarossa che sta tanto a cuore di Umberto Bossi, Berlusconi chiede a Saccà di ricevere due attrici. Esordisce andando al sodo: «Allora ascoltami». Saccà, che è abbastanza furbo da capire che quella visita della Guardia di finanza nel suo ufficio qualche giorno prima porta qualche conseguenza (ad esempio quella di avere il telefono sotto controllo), risponde: «Lei è l’unica persona che non mi ha chiesto mai niente ... voglio dire ...». A Berlusconi, assai meno guardingo, devono tornare in mente le immagini estive, lui a Villa Certosa con cinque splendide fanciulle sulle ginocchia. E si bea con Saccà: « Io qualche volta di donne ... e ti chiedo ... perché ..». Il povero direttore di Rai Fiction, che non sa come fargli capire di avere il telefono sotto controllo, riprova: « Sì, ma mai...». Lo sventurato Berlusconi, ormai dimentico dell’esordio della telefonata in cui spiegava che la gente lo venera come il Papa, si cala nel nuovo look da superuomo, che va in giro con una t-shirt a due gradi sotto zero e con uno sguardo fa cadere ai suoi piedi mille femmine: «Io qualche volta di donne... e ti chiedo... perché... per sollevare il morale del capo...». Inutile il disperato, eroico tentativo di Saccà di allontanare quelle parole dell’appuntato in ascolto: « Eh, esatto, voglio dire ... ma, mi ha lasciato una libertà culturale di ... ideale totale .. voglio dire .. totale .. e questo lo sanno tutti » Fin qui il testo della telefonata più celebre dell’anno. Innocua forse dal punto di vista penale (se poggia solo su queste parole l’accusa di corruzione, Berlusconi ha ben poco di cui preoccuparsi), ma non inutile a descrivere ambienti, personaggi e costumi. Ha fondamento in questi come in altri casi il lamento del Cavaliere nei confronti di una magistratura così curiosa sopra e sotto le lenzuola della vita di un solo politico italiano. Basta andare a rileggere il diario di Paolo Murialdi che fu consigliere di amministrazione della Rai fra il 1993 e il 1994 per avere persone, fatti e addirittura date di analoghi comportamenti da parte di autorevoli esponenti del centrosinistra. Pressioni e interventi sulla gestione, sulla scelta dei direttori e dei conduttori tv vennero perfino da Claudio Petruccioli, che oggi finge di indignarsi da presidente Rai e allora- da politico- chiedeva o intimava. Vera questa storia dei due pesi e delle due misure, ma è talmente scoperta ed evidente che si trasforma in forza politica per Berlusconi: per gran parte d’Italia lui è sempre vittima. Detto questo, il ricorso al Garante della privacy appare fuori luogo. Porterà magari a un nuovo editto come quello che fu emanato ai tempi di Silvio Sircana e se così non fosse, finirebbe tritato dalle polemiche il povero Pizzetti, colpevole nel caso dei soliti due pesi e due misure. Scrisse all’epoca Mario Cervi sulla prima pagina de Il Giornale: «Per i personaggi pubblici, gratificati da mille privilegi, il diritto alla privacy deve ritenersi secondo molti - me incluso – attenuato fin quasi a scomparire. È troppo comodo crogiolarsi nel bozzolo dorato dei vip e poi rivendicare l’oscurità dei signori nessuno». Valeva per i Sircana o per i Piero Fassino, Nicola Latorre e Massimo D’Alema pizzicati al telefono con Giovanni Consorte, vale anche per Berlusconi. Che cosa dovrebbe essere protetto dalla privacy? Il fatto che un leader politico- per altro proprietario di tre tv- chieda a un dirigente di un’azienda mantenuta dal canone pagato da tutti gli italiani di produrre una fiction che sta tanto a cuore di Bossi, e di pagare una comparsata in telenovela a qualche bella donna che «tira su il morale del capo» o che è utile per convincere un senatore della maggioranza a passare dalla sua parte? Questi non sono fatti privati, ma pubblici. Come deve essere pubblico ogni aspetto della vita privata di chi si candida alla guida di un Paese. E’ così in Francia, in Gran Bretagna, in Olanda, in Spagna, negli Stati Uniti in cui fior di politici- ministri e presidenti in carica- hanno dovuto affrontare fatti per così dire privati in pubblico, giocandosi o meno la carriera. Sono gli elettori che poi sanno digerire o meno quelle rivelazioni. Ma a quel giudizio in democrazia bisogna sottoporsi...

ALITALIA, E' NATO IL GOVERNO CROZZA

Il governo di Romano Prodi ha chiesto a quello francese di spingere Air France a mettersi d'accordo con Air One e Banca Intesa presentando una proposta comune sull'acquisto di Alitalia. Che su richiesta di Walter Veltroni o di Maurizio Crozza (non è ancora chiarissimo) verrà acquistata dai francesi ma anche dagli abruzzesi ma anche dalla prima banca italiana, che è lombarda. Così d'altra parte aveva chiesto il segretario del Partito democratico nella lunga intervista pubblicata martedì sulla prima pagina de Il Foglio. Un testo che ha lasciato qualche dubbio in chi leggeva: non pochi avevano infatti immaginato una beffa di Giuliano Ferrara. Perché mai il nuovo leader del Partito democratico si era calato così perfettamente nei panni della sua caricatura più nota e riuscita. Solo il Maurizio Crozza-ma-anche-Veltroni poteva rispondere così alla domanda su quale compratore- Air One-Gruppo Intesa o Air France- avrebbe preferito per Alitalia: "La cosa che mi piacerebbe di più è che le proposte di Air France e Air One si incrociassero. Per garantire la forza di un soggetto come Air France e la forza di un soggetto finanziario come banca Intesa, e al tempo stesso però il radicamento nel paese di una compagnia nazionale. Conta l'offerta che viene fatta, contano le strategie industriali, conta sapere per il paese che esito avrà la sua compagnia nazionale". Triplo salto, che nemmeno Crozza avrebbe mai immaginato: uno, ma anche il suo opposto, ma anche la via di mezzo. Un sogno, e non sorprende che esca dal politico sognatore per eccellenza. Uno che nella stessa intervista dice a proposito del mancato registro romano sulle coppie di fatto: "Alla mia domanda ai presentatori della proposta del registro sulle coppie di fatto, 'cosa cambia nella vita delle coppie di fatto di cui parliamo?', la risposta è 'Nulla, ma ha un valore simbolico'. Ecco a me piacciono le cose concrete. Mi piace dedicare una strada a un omosessuale che è stato ucciso e che è vittima dell'omofobia. Mi piacciono le cose che hanno una loro concretezza nella vita delle persone". Beh, a parte il finale grottesco di una via dedicata a un morto che ha però "concretezza nella vita delle persone", Veltroni è proprio fatto così. Un taglio di nastro, una targa commemorativa nelle sue mani restano il nulla che sono ma anche diventano tutto. Crozza ci sorride, ma quello è davvero un metodo di governo. Basta ripercorrere gli ultimi anni a Roma. Immaginarsi la città moderna, profondamente cambiata, ripulita, senza traffico descritta in questi anni dalla stampa locale. Tenersi a mente i nastri tagliati, le cerimonie ufficiali, l'agiografia di Veltroni. Fissarla nella mente, e provare ad andare in giro: sulle prime non sembrerà così, ma alla fine ci si convincerà. Un po' di realtà ma anche tanta immaginazione, e si vive tutti meglio. Se davvero Alitalia riuscirà ad andare ad Air France, ma anche ad Air One, ma anche a Banca Intesa, non resterà che arrendersi: il metodo Crozza è quello giusto, vincente. Si varerà una legge proporzionale ma anche maggioritaria, che regala tutto ai due partiti principali (Pdl e Pd): è il Vassallum. Si tiferà per la Juventus ma anche per la Roma, come ha già fatto Veltroni in questi anni. Per l'Inter, ma anche per il Milan: così finirà la violenza nel calcio. Si pagherà il canone alla Rai e anche a Mediaset, il colpo di ghigliottina ideale a tutti gli inciuci fra i due gruppi tv. Quanto al proprio credo, si andrà alla funzione il venerdì in moschea, ma anche il sabato in sinagoga, ma anche la domenica in Chiesa: un po' faticoso ma anche molto profondo, e con un bel vantaggio: dal lunedì al giovedì si potrà peccare fregandosene del Corano, ma anche del Talmud, ma anche del Vangelo. Si potranno fare coppie di fatto da sfoggiare nelle serate che contano, ma anche essere sposati per le occasioni in cui serve. Finalmente finirà il carico di lavoro che opprime tutti i tribunali: tutte le cause pendenti verrano sciolte dando ragione a uno ma anche all'altro. Crozza non lo sa, ma facendo ridere ha anche indicato a Veltroni il suo vero modello di governo per un paese. Si inizia dalla compagnia di bandiera, ma si applicherà all'intera Italia. Seppellendo sotto quel "ma anche" secoli di guerre intestine, fra guelfi e ghibellini, fra fascisti e comunisti, fra Prodi e Berlusconi...

CONSORTE ACCUSATO DI VIOLARE LA LEGGE AL TELEFONO CON FASSINO, LATORRE D'ALEMA. E dall'altro capo del telefono?

Pubblico qui il testo del reato di insider trading previsto dal testo unico della finanza. Eccolo: Art. 180 Abuso di informazioni privilegiate 1 . È punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da venti a seicento milioni di lire chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della partecipazione al capitale di una società, ovvero dell'esercizio di una funzione, anche pubblica, di una professione o di un ufficio: a) acquista, vende o compie altre operazioni, anche per interposta persona, su strumenti finanziari avvalendosi delle informazioni medesime; b) senza giustificato motivo, dà comunicazione delle informazioni, ovvero consiglia ad altri, sulla base di esse, il compimento di taluna delle operazione indicate nella lettera a). 2 . Con la stessa pena è altresì punito chiunque, avendo ottenuto, direttamente o indirettamente, informazioni privilegiate dai soggetti indicati nel comma 1, compie taluno dei fatti descritti nella lettera a) del medesimo comma. 3 . Ai fini dell'applicazione delle disposizioni dei commi 1 e 2, per informazione privilegiata si intende un'informazione specifica di contenuto determinato, di cui il pubblico non dispone, concernente strumenti finanziari o emittenti di strumenti finanziari, che, se resa pubblica, sarebbe idonea a influenzare sensibilmente il prezzo. Questa ipotesi di reato è stata contestata dalla procura di Milano all’ex presidente di Unipol, Giovanni Consorte. Per avere comunicato notizie riservate, in grado di incidere sull’andamento dei titoli coinvolti, ad alcuni interlocutori al telefono: Piero Fassino e Nicola Latorre, che durante una di queste telefonate passa il suo cellulare a Massimo D’Alema, cui Consorte offre altri particolari della scalata Unipol a Bnl. Se la procura contesta questo reato significa che Clementina Forleo non era poi così sola quando scriveva la richiesta di utilizzo di quelle intercettazioni alle Camere. Ma sarebbe curioso che la stessa ipotesi di reato non venga contestata a quegli interlocutori al telefono. Se è colpevole Consorte infatti, potrebbero esserlo anche i suoi interlocutori, messi nelle condizioni di sfruttare a proprio vantaggio o vantaggio di terzi quelle informazioni riservate. Per appurarlo- come accadrebbe a qualsiasi altri cittadino- bisognerebbe iscrivere nel registro degli indagati Fassino, Latorre e D’Alema, fare le relative indagini e magari scoprire che il reato non è mai esistito, avendo tenuto ognuno per sé quelle informazioni privilegiate. Per escludere questa ovvia ipotesi di reato bisognerebbe avere già indagato, e avere raccolto le prove dell’innocenza dei tre politici Ds. Che quindi sarebbero indagati da tempo. La terza ipotesi non si può nemmeno prendere in considerazione: che a Milano ci siano magistrati in grado di concedere un’immunità di principio a Fassino, Latorre e D’Alema. Pm che più o meno procedano così: “Ma no, quei tre sono persone per bene. Non possono avere nemmeno per ipotesi utilizzato a proprio vantaggio quelle informazioni riservate che contestiamo a Consorte di avere loro rivelato. Né a vantaggio loro, né a vantaggio del loro partito, di un banchiere o imprenditore amico successivamente raggiunto al telefono… Indagare su questo? Sarebbe come mettere in discussione la verginità della Madonna”. Sono certo che un magistrato così non esista né a Milano né in un’altra qualsiasi procura di Italia Quindi per l’insider trading di Unipol sono certamente indagati tutti e tre i politici diessini. E certamente tutti e tre sapranno dare prova della propria innocenza…

PECORARO SCANIO, IL PORTOGHESE SUI MEZZI DELLE FIAMME GIALLE

Che cosa emerge se si opera un confronto reale fra quanti passaggi più o meno istituzionali abbia chiesto alla Guardia di Finanza il governo di Silvio Berlusconi rispetto a quello di Romano Prodi? Che il centrosinistra si trova più a suo agio in mare e sembra avere più paura di volare rispetto al centro destra. Perchè alla Finanza entrambi i governi hanno chiesto circa tre passaggi al mese, senza particolari variazioni. In 59 mesi infatti 19 membri del governo Berlusconi hanno chiesto 200 passaggi alle Fiamme Gialle. Di questi 117 sono avvenuto in aereo o elicottero e 83 via mare. La media è 3,3 passaggi al mese. Il ritmo è rimasto più o meno identico con il governo successivo: 55 passaggi in 18 mesi, con una media di 3,05 passaggi al mese. Solo che in questo caso le Fiamme Gialle hanno dovuto imbarcare il governo 31 volte via mare e 24 volte per via aerea. Per altro i due più assidui portoghesi sui mezzi della Finanza sono entrambi ministri del governo Prodi: il titolare dell'Economia, Tommaso Padoa Schioppa, ha utilizzato barche e aerei al ritmo di 1,11 volte al mese. Al secondo posto il ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio: 0,88 passaggi al mese. Terzo posto per l'ex ministro delle attività produttive, Antonio Marzano: 0,74 passaggi al mese. Solo al quarto posto l'ex ministro dell'Economia, Giulio Tremonti: 0,64 passaggi al mese. Se si escludono dunque i titolari del ministero dell'Economia, che hanno diritto istituzionale a viaggiare in certe condizioni sui mezzi della Finanza, il re dei portoghesi sui mezzi delle Fiamme Gialle è proprio Pecoraro Scanio, che evidentemente vede nei finanzieri i suoi tassisti di fiducia...

DA ITALIA OGGI IN EDICOLA/ Berlusconi e le sue raccomandate

L'iscrizione nel registro degli indagati della procura di Napoli di Silvio Berlusconi con l'ipotesi di corruzione e soprattutto la divulgazione dei contenuti di alcune telefonate intercettate hanno improvvisamente riportato indietro di parecchio tempo il clima della politica. Con una pioggia di esposti e istanze degli indagati al ministro della giustizia Clemente Mastella (vittima peraltro in estate di analogo caso mediatico-giudiziario) e più di una pietra di inciampo al nuovo asse politico che si stava creando sull'asse fra il Cavaliere e il leader del Partito democratico, Walter Veltroni. Un caso esploso per la raccomandazione di quattro attrici in Rai da parte dell'uomo politico proprietario di tre reti tv...Sì, perché la vera domanda che nasce da quelle intercettazioni- al di là dell'eventuale rilievo penale (a prima vista assai scarso) è: ma perchè mai se a Berlusconi stava a cuore il destino professionale di questa o quell'attrice, non la raccomandava a Mediaset, dove avrebbe avuto voce in capitolo senza il rischio di scatenare polemiche politiche? Non ci fa una gran figura, proprio lui, il signor tv, il politico miliardario, a essere pizzicato come un qualsiasi portaborse mentre telefonava al dirigente Rai compiacente per piazzare la protagonista di una fiction e in qualche caso per favorire una semplice comparsata. Non solo perché proprio lui, che si vantava di pagare di tasca sua gli arredi di palazzo Chigi e la scorta per una sicurezza dovuta, alla fine scarica il piccolo piacere (personale o ad amici) sulle tasche degli italiani che pagano con il canone anche attrici e comparse. Ma semplicemente perché non lo si fa. E tanto meno dovrebbe farlo un leader politico che è stato presidente del Consiglio e l'ambizione di tornare ad esserlo. Questa premessa è doverosa per spazzare l'eccesso di lagna che sta circondando una vicenda giudiziaria probabilmente destinata a concludersi con un nulla di fatto. Perché certo non è simpatico per chi ne è vittima leggersi sulla stampa mozziconi di telefonate intercettate. Giusto invocare la privacy per i comuni cittadini italiani: è una battaglia di civiltà. Ma quella protezione degli aspetti anche personalissimi della vita privata non deve valere per nessun uomo politico, figurarsi se può essere invocata per un leader maximo come Berlusconi. Chi è parlamentare, chi orienta il voto del legislatore, chi- come il cavaliere- è stato presidente del Consiglio, ha esercitato un potere enorme sulla vita di tutti i cittadini. Varando leggi e stabilendo regole che -direttamente o indirettamente, stabiliscono che cosa sia lecito o meno fare anche nella vita privata, perfino nell'intimo, sotto le lenzuola, come si dice. Chi ha questo potere immenso e assai invadente (tanto più quando male esercitato), non può invocare per se stesso l'ombrello della privacy. Anzi: è un diritto, di chi vota e tanto più di chi non vota Berlusconi ma se lo è trovato presidente del Consiglio, conoscere i contenuti di quelle telefonate intercettate. Si tratta di mozziconi che ne stravolgono il senso? Berlusconi ha tutto il diritto di mandare a Napoli i suoi avvocati e reclamarne con urgenza il testo integrale. E il dovere poi di divulgarlo- naturalmente con tutte le spiegazioni del caso- a tutti. Queste stesse cose noi abbiamo scritto e ha invocato a gran voce la stampa cosiddetta di centrodestra, quando emerse la vicenda delle foto che ritraevano Silvio Sircana, portavoce del presidente del Consiglio, fermo in auto davanti a un transessuale in periferia di Roma. Non si poteva invocare la privacy allora, e reclamare “fuori tutta la verità”, e usare altro peso e altra misura oggi per Berlusconi. Può essere che qualcuno sulla vicenda giudiziaria abbia ricamato o voglia oggi ricamare tele politiche che ne sono estranee: ad esempio cercando di minare anche in questo modo l'asse fra Berlusconi e Veltroni. Il tentativo- se esiste- è destinato al fallimento, perché nessuno dei due sembra intenzionato a fermarsi per questo. Ma attaccare la magistratura sventolando il solito complotto delle toghe rosse non è buon inizio per questa Terza Repubblica della pacificazione generale che si vorrebbe costruire. Così come non porta lontano l'aggressione al giornalista, Giuseppe D'Avanzo, e al quotidiano, la Repubblica diretta da Ezio Mauro, che ha rivelato quelle telefonate con uno scoop davanti a cui togliersi il cappello. Le avessi avute io, non avrei esitato a darne resoconto ai lettori di Italia Oggi. Se anche quando pizzicati e se ne sarebbe fatto volentieri a meno, si affrontassero gli avvenimenti con tono pacato e molta trasparenza, i casi montati a soufflè si sgonfierebbero da . Resterebbe solo la sostanza. Ci auguriamo che dopo questa prima reazione con il pilota automatico innestato, Berlusconi sappia ricredersi, e rispettare come deve un leader politico, la libertà di stampa e l'autonomo dovere della magistratura...

SABINA GUZZANTI infiltrata speciale dietro le quinte del Cavaliere

Chi c'era dietro le quinte dell'ennesima presentazione de libro di Bruno Vespa, santificata martedì 11 dicembre a Roma da Silvio Berlusconi e Barbara Palombelli al Tempio di Adriano? Sorpresa: nascosta a fondo sala dietro i telecineoperatori, Sabina Guzzanti. Sì, proprio l'attrice-comica che tante volte ha imitato Berlusconi ed è andata lì a farsi una ripassatina. Struccata e vestita come una qualsiasi passante, la Guzzanti è passata inosservata. Solo l'occhio indiscreto della mia videocamerina l'ha colta alla sprovvista. Appena se ne è accorta la Guzzanti si è portata le mani sugli occhi per non farsi riconoscere. Lontano dalla telecamera ha preso però ad armeggiare sussurrando al bavero della sua giacca: «Ora Berlusconi si riferisce allo sciopero dei Tir...». Già, perché sul bavero la Guzzanti aveva pinzato un microfono. Con cui sembrava trasmettere a qualcun altro il Berlusconi in diretta...

BERLUSCONI, QUI LO DICO E LO DISDICO!

Qui lo dici e qui io lo disdico! Silvio Berlusconi, arrabbiato con quei partiti del centro destra troppo "frammentizzati"- come ha ripetuto martedì 11 dicembre due volte a Roma alla presentazione del libro di Bruno Vespa, ha la carica del grande innovatore. Anche linguistico...

DA ITALIA OGGI IN EDICOLA/Vince Speciale, altro schiaffo a TPS

La sentenza verrà depositata alla vigilia di Natale o nella settimana successiva, entro Capodanno. E rischia di trasformarsi nell'ennesimo capitombolo per il ministro dell'economia, Tommaso Padoa-Schioppa. Secondo quanto risulta a ItaliaOggi infatti il Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato dall'ex comandante generale della guardia di Finanza, Roberto Speciale, contro la sua epurazione dall'incarico alla fine di un lungo braccio di ferro con il viceministro dell'economia, Vincenzo Visco, e il governo. Riconoscendo eccesso di potere nella rocambolesca sostituzione, il Tar ritiene giustificata anche la domanda di risarcimento avanzata da Speciale, accolta in parte: 3 invece dei 5 milioni chiesti. Nel suo ricorso contro la destituzione il generale Speciale (tramite i suoi tre avvocati, Filippo Satta, Gianluca Esposito e Anna Romano), aveva sostenuto l'illegittimità della rimozione perché non era ricorso “alcuno dei presupposti di legge per la cessazione dal servizio”, e aveva interpretato l'atto come una sorta di sanzione disciplinare “in violazione dei fondamentali principi sul procedimento, sul contraddittorio e quindi sul diritto di difesa”. Speciale aveva insistito nel ricorso sull'argomento più evidente: se al generale si contestava una condotta illegittima, perché mai rimuovendolo lo avevano promosso alla Corte dei Conti? Scriveva infatti nel ricorso: “Il ministro accusa di slealtà e di una gestione personalistica della Gdf lo stesso soggetto in favore del quale ha disposto, in contemporanea, la nomina di consigliere della Corte dei Conti. Allora, delle due l'una: o la funzione giurisdizionale svolta dalla Corte dei Conti non ha goduto di alcuna considerazione, o l'accusa di slealtà e le altre accuse mosse sono destituite di qualsiasi fondamento”. Anche per il Tar il ragionamento non ha fatto una grinza. Come giustificata è apparsa la considerazione in base a cui veniva chiesto un maxi-risarcimento economico al governo: “la rimozione dall'incarico è ritenuta lesiva non tanto e non solo dal punto di vista economico-professionale, quanto sotto l'aspetto dell'immagine, della dignità e della onorabilità professionale”. Fin qui la battaglia di carta bollata. Già da qualche settimana peraltro stavano circolando indiscrezioni sulla possibile nuova sconfitta del ministero dell'Economia. Una disfatta, visto il fresco doppio ceffone appioppato al ministro da Tar e Consiglio di Stato dopo la maldestra sostituzione di Angelo Maria Petroni dal consiglio di amministrazione della Rai. La sentenza sul generale Speciale, pronta da tempo, ha bisogno ancora di essere limata nella stesura e per questo non verrà depositata prima che la legge finanziaria riceva la doppia benedizione finale di Camera e Senato. Un gesto di responsabilità dei giudici amministrativi che certo non dispiace al governo in questo momento. Ieri mattina, moderando i lavori di una tavola rotonda sull'outsourcing ho ascoltato una divertente tesi del viceministro dell'Economia, Sergio D'Antoni (nella foto). «Per mesi si è parlato del fattore “c” che avrebbe aiutato Romano Prodi. Forse quel fattore (chiamiamolo così, la fortuna- ndr) non funziona più. Ma ce ne è un altro che consente a questo governo di durare: il fattore “P”, quello della Provvidenza. Noi andiamo avanti grazie alla Provvidenza. Se ne è accorto anche Silvio Berlusconi, tanto è che subito dopo la fallita spallata sulla finanziaria è corso ad incontrare il segretario di Stato Tarcisio Bertone presentandogli il suo nuovo partito. La vera sfida fra noi è su quel terreno: vincerà chi è più aiutato dalla Provvidenza». Se si guarda la reazione della Chiesa al provvedimento anti-omofobia inserito dal governo nel decreto sicurezza, sembrerebbe che quel fattore “P” sia in questo momento sfavorevole a Prodi. Ma come dice un vecchio detto popolare “Aiutati che il ciel t'aiuta”. E per tornare alle brucianti sconfitte di Padoa Schioppa è proprio lì il difetto dell'esecutivo in carica. Non fa nulla per ottenere l'aiuto del cielo della terra. Anzi. Perché onestamente è un diritto dell'esecutivo- di qualsiasi governo- scegliersi uomini di fiducia. Potremmo discettare quanto si vuole sulla terzietà che dovrebbe contraddistinguere alcune cariche, ma un comandante della Guardia di Finanza, dei carabinieri o un capo della Polizia viene scelto da un governo pensando anche al rapporto fiduciario. Questo rapporto può resistere anche a un cambio di governo. Accade. Ma è accaduto anche il contrario. Stesso discorso può valere per un consigliere di amministrazione di una società pubblica, come la Rai. Non fa scandalo l'applicazione nell'uno e nell'altro caso del principio dello spoil system. Solo che a questo governo- zeppo di pasticcioni con altissima e mal riposta autostima - non basta lo spoil system. Vergognandosi di lottizzare come tutti gli altri, ha preferito gettare fango sugli uscenti: così non stava semplicemente occupando poltrone, ma compiendo un atto purificatore. Già, ma il fango è brutta materia: lo tiri addosso e magari gli schizzi rimbalzano...

IL CASO BINETTI/ QUI CASCA IL PD: SONO ANCORA COMUNISTI

Sono passate 36 ore, e Walter Veltroni non ha ancora drammaticamente preso le distanze dall'intervista di Anna Finocchiaro pubblicata su L'Unità di sabato. Eppure il capogruppo del Partito democratico ha avuto parole molto dure sul caso Binetti. Parole non diverse da quelle espresse nei confronti delle opinioni dissenzienti dai vecchi comitati centrali del Pcus. "Se se ne dovrà andare dal Pd si vedrà", esordisce la novella purgatrice Finocchiaro, e aggiunge "Vorrei che fosse chiara una cosa: il dissenso di Binetti appare anche per il modo con cui è stato espresso, così radicale da non potere essere iscritto dentro quella discussione che è in atto nel Pd e che riguarda la ricerca di una soluzione condivisa rispetto ai temi cosiddetti eticamente sensibili". Ma non basta. Aggiunge la Finocchiaro: "Non credo sia un problema solo del Pd, riguarda la democrazia. Quando si è chiamati a pronunciarsi su temi delicati, come sono quelli eticamente sensibili, si deve procedere secondo un principio condiviso: la razionalità democratica (...) A quel principio non si può derogare, è la precondizione del confronto, considerando che siamo senatori della Repubblica e non liberi pensatori...". Dunque per il nuovo Pd, come per il vecchio Pcus e tutti i regimi totalitari, la coscienza dei singoli non può derogare al (peraltro assai oscuro) "principio della razionalità democratica". A parte l'aspetto grottesco di un atteggiamento così discriminatorio nei confronti di una coscienza non allineata proprio quando si discute dei diritti delle minoranze (i gay), il caso Binetti rischia di polverizzare quanto di buono si poteva intravedere nella nascita del partito democratico. Che sembra restare nell'alveo della tradizione comunista più oscurantista.