Magistrati 2/ Il giudice nel pallone che si gestisce Spatuzza

Non è un “quisque de populo”, Gaspare Spatuzza, il pentito di mafia più atteso degli ultimi anni che oggi deporrà a Torino al processo a Marcello dell’Utri. E “quisque de populo” non è nemmeno Giuseppe Quattrocchi, procuratore capo di Firenze, che quella definizione su Spatuzza ha coniato. Si sbaglia il deputato del Pd che la scorsa settimana con vis polemica ha ironizzato sulle preoccupazioni di Silvio Berlusconi: “questo magistrato qui non è mica un Antonio Ingroia o una toga rossa… L’avete visto in tv forse per la prima volta. E’ la mite procura di Firenze, non quella di Milano o Palermo”. Mite sarà anche mite, Quattrocchi. Ma un quisque de populo no. E neanche uno sconosciuto per taccuini dei cronisti e riflettori tv. Vero che fu lui, magistrato messinese (lì ha ereditato una parte della casa di famiglia), classe 1938, a indire una conferenza stampa dopo anni di Tangentopoli per chiedere di non citare più i nomi di pm e giudici della sua Lucca in cui ha esercitato per lustri “perché i magistrati non debbono essere divi e sentirsi protagonisti”. Così prese il coordinamento di decine di inchieste anche scottanti e in tv e sulla stampa finì sempre un nome solo: quello del procuratore capo Quattrocchi. A Firenze è arrivato solo nel 2008, promosso dal Csm. Ci abitava però dal 2003, quando acquistò la bella casa dove abita ancora in via Mossotti con la figlia Stefania dopo essere rimasto vedovo (frutto di una divisione con altra famiglia). Era procuratore capo di Lucca, ma come altri colleghi fortunati Quattrocchi aveva anche un secondo mestiere: giudice sportivo della serie C. Esercitava a Firenze, e non di rado le sue scelte “sportive” han fatto più notizia delle sue inchieste. Perché Quattrocchi ovunque si sia trovato mai ha dato l’impressione di essere un “quisque de populo”. In poco più di un anno a Firenze è riuscito a fare tremare ogni palazzo pubblico con l’inchiesta su Sai-Fondiaria. Non è una toga rossa: a spaventarsi è stato lo stato maggiore del Pd, sindaco Leonardo Domenici in testa (lo ha indagato anche per un incidente capitato a Forte Belvedere durante uno spettacolo estivo). Poi ha preso in mano le stragi del ’93 in via dei Georgofili riaprendo il processo e gestendo il pentimento di Spatuzza. Quando ci fu il tragico incidente ferroviario di Viareggio, anche se fuori terriotorio, il procuratore capo di Firenze causò più di un maldipancia ai vertici delle Ferrovie aprendo un fascicolo su tutti gli incidenti ferroviari degli ultimi tre anni. E giù titoloni sulla stampa locale. Come a maggio di quest’anno, quando Quattrocchi guidò l’operazione “Botero” grazie a cui arrestò esponenti di una organizzazione camorristica per riciclaggio. Ci riuscì scoprendo un deposito da un milione di euro in una banca di Prato. Ma il procuratore capo di Firenze volle dare un avviso a tutto il sistema creditizio italiano, lanciando quello che lui stesso definì con linguaggio dell’aviazione un “mayday” alle banche: “tutte le operazioni sospette vanno segnalate. Le banche non possono chiudere un occhio”. Agenda fittissima, procedimenti clamorosi, ma Quattrocchi ha trovato il tempo anche di occuparsi di temi politici nazionali. Sul processo breve ha spiegato ai giornalisti che “il 60% dei processi a Firenze sarebbe stato estinto”. Qualche tempo prima giù critiche anche al reato di immigrazione clandestina, su cui Quattrocchi voleva perfino sollevare questione di legittimità costituzionale. Prima ancora, di fronte alla bozza di legge sulle intercettazioni protestò spiegando che si volevano favorire mafia e camorra. Non è un procuratore che le manda a dire, Quattrocchi. E lavora come un matto: quando nel giugno scorso una giovane collega fu punta in ufficio da una zecca, fu proprio Quattrocchi a dirigere e coordinare le operazioni di disinfestazione. Pronto a dirigere perfino il tempo libero dei suoi: si è messo a capo del Fiorentina fan club della procura di Firenze. A Lucca non è stato da meno: ha fatto lui il processo al televenditore Giorgio Mendella, ha inquisito e fatto rinviare a giudizio Donatella Dini per corruzione, si è infilato con attgi giudiziari nella querelle politica fra il sindaco di Lucca e l’allora presidente del Senato, Marcello Pera. Ha indagato sulle minacce ricevute dall’arbitro Pierluigi Collina e sull’attentato alla villa di Chiara Beria d’Argentine. Si è occupato di doping nel ciclismo, ha indagato Mario Cipollini per minacce. Ha accusato di tentata estorsione un calciatore, Stefano Bettarini che era marito di Simona Ventura. Condotto una inchiesta sulle firme false per le liste di Alessandra Mussolini alle regionali 2005. Ha sequestrato e sigillato La Bussola, locale dove esordì Mina perché la musica era troppo alta. Ha fatto qualsiasi tipo di indagine: pedofilia, eutanasia, calcio scommesse. Ogni indagine, una conferenza stampa e poi titoloni su giornali e servizi tv. Come i casi di cui si è occupato da giudice sportivo nella spenta serie C. Tutti unici, tutti da ottimo titolo sui giornali nazionali: due tifosi che si tirano giù le mutande e mostrano i glutei a Foggia (2002); un tifoso che fa pipì in testa al guardialinee (2004). Uno che ha offeso la memoria di Papa Giovanni Paolo II a Prato (2005) e via così… Attenti a Quattrocchi, non sarà un Ingroia ma non è un pm “quisque de populo”.

Magistrati 1/ Quello con cui Fini si confessava

Il magistrato con cui Gianfranco Fini si è sfogato nel fuori-onda contro il premier- imperatore è da 25 anni la bestia nera di Silvio Berlusconi. Nicola Trifuoggi, attuale procuratore capo della Repubblia a Pescara, il magistrato che ha decapitato la giunta regionale dell’Abruzzo arrestando il suo presidente, Ottaviano Del Turco, è stato anche protagonista della storia delle tv private in Italia. Trifuoggi fu infatti uno dei tre pretori d’assalto che il 16 ottobre 1984 spensero le tre reti tv Fininvest da poco nate: Canale 5, Italia Uno e Rete 4. Con un’azione concertata Trifuoggi a Pescara, Giuseppe Casalbore a Torino ed Eugenio Bettiol a Roma esattamente 25 anni fa inviarono alle nove del mattino agenti della Guardia di Finanza e funzionari della Escopost nelle sedi delle emittenti locali che trasmettevano su tutto il territorio nazionale grazie al sistema ingegnoso della interconnessione. Fininvest non era infatti autorizzata alla diretta su tutto il territorio nazionale e aveva aggirato il limite producendo programmi che venivano consegnati alle varie sedi locali per la trasmissione sul territorio più o meno alla stessa ora. Solo grazie a quel sistema Publitalia riusciva infatti a raccogliere la pubblicità su tutto il territorio nazionale. All’oscuramento deciso dai tre pretori di assalto Berlusconi reagì facendo comparire sugli schermi di tutta Italia una sola scritta “Tutte le trasmissioni sono temporaneamente sospese per motivi politici”. Arrivarono migliaia di telefonate di protesta sia al ministero delle Poste che ai telefoni delle tre preture che avevano proceduto. Qualcuno individuò anche i numeri telefonici di casa dei magistrati e per loro furono giorni di passione. Fu il primo vero braccio di ferro di Berlusconi con la magistratura, poi risolto dal presidente del Consiglio dell’epoca, Bettino Craxi, che con un decreto legge autorizzò Fininvest temporaneamente alla trasmissione su tutto il territorio nazionale. Qualcuno dei tre pretori provò ancora ad oscurare i ripetitori quando decadde il decreto senza essere trasformato in legge, ma Fininvest ricorse e il buio durò poco. Anni dopo allo stesso Trifuoggi fu chiesto da qualcuno di oscurare Rete 4, che la Corte Costituzionale aveva deciso di mandare sul satellite, ma lui a onore del vero si rifiutò sostenendo che quello non sarebbe più potuto essere il metodo con cui procedere e anzi, dichiarando pubblicamente che tornando indietro non avrebbe nemmeno ripetuto quel che aveva deciso nel lontano 1984. Il magistrato pescarese è poi finito nell’occhio del ciclone proprio per l’arresto di Del Turco nell’ambito dell’inchiesta sulla sanità abruzzese. Una misura cautelare che anche ad alcuni osservatori era parsa spropositata e che naturalmente ha scetenato polemiche politiche, visto che si trattava di un presidente di Regione eletto direttamente dal popolo. Ma non è raro che decisioni dei magistrati vengano criticate e scatenino polemiche. Non sarebbe stata quella né la prima né l’ultima volta. A Trifuoggi in ogni caso non sembra portare fortuna il premio Borsellino per la legalità. Questa volta il magistrato era solo ospite, pizzicato in imbarazzante colloquio con il presidente della Camera, Fini. Due anni fa invece fu proprio lui il premiato. Qualcuno lo vide lì., lesse le motivazioni e tirò fuori una vicenda destinata a provocare un certo imbarazzo. Con interrogazione parlamentare di Emerenzo Barbieri si rivelò come qualche mese prima del premio Trifuoggi avesse acquistato a Montesilvano una villetta da un costruttore proprio da lui inquisito qualche anno prima (lo aveva perfino arrestato nel 2003). Più di una polemica ne è seguita, ma lui alla fine si è difeso: “al momento del compromesso non conoscevo né il nome del costruttore né la sua situazione giudiziaria. In ogni caso ho pagato il prezzo di mercato”

De Benedetti ha scoperto il suo cimicione

Anche Carlo De Benedetti ha il suo cimicione, tredici anni dopo quello di Silvio Berlusconi. L’ingegnere e i suoi collaboratori hanno infatti trovato manomessa la Bmw 750 IL grigio metallizzato utilizzata tutte le settimane per gli spostamenti dell’imprenditore nella capitale. Secondo la denuncia contro ignoti presentata immediatamente alla procura della Repubblica di Roma, dove l’ha avocata a sé il procuratore capo Giovanni Ferrrara, ci sarebbe stata “una intrusiva e dolosa manomissione rilevata all’interno dell’autovettura”. Secondo le indiscrezioni fatte circolare sarebbe stato trovato all’interno dell’auto un vano dove sarebbe stato possibile nascondere un apparecchio per le intercettazioni. La manomissione avrebbe riguardato anche uno dei fanali anteriori. Secondo le ricostruzioni ufficiali il cimicione non sarebbe stato trovato, o almeno la sua eventuale presenza fino a ieri sera era top secret. Ma che quella sia la strada che le indagini hanno intenzione di percorrere è emerso dopo che dalla procura è trapelata l’intenzione di affidare l’indagine a un pm del pool sui reati informatici. Qualche scetticismo è però emerso da esperti del settore consultati ieri da Libero, perché raramente una manomissione così evidente può essere opera di veri professionisti. Certo la Bmw 750 non era particolarmente tutelata. Intestata a una società del gruppo Espresso, era tenuta in autorimessa incustodita la maggiore parte del tempo. L’unico autorizzato alla guida era l’autista personale dell’ingegnere, cugino di un sindacalista dei Beni culturali. Più o meno una volta alla settimana veniva ritirata per andare ad accogliere a Ciampino De Benedetti, che è residente in Svizzera ma che svolge buona parte della sua attività lavorativa fra Milano, Torino e Roma. L’autista lo accompagna regolarmente agli appuntamenti di lavoro, si occupa di piccole spese e poi accompagna l’ingegnere nella sua abitazione romana di via Monserrato, a due passi da piazza Farnese. De Benedetti se non ci sono appuntamenti particolari cena nell’attico e superattico che acquistò nel dicembre del lontano 1979 per 200 milioni di lire da Bruno Visentini attraverso la Finco spa, antenata dell’attuale Cofide (in quella casa in piena Tangentopoli fu messo agli arresti domiciliari dal gip Augusta Iannini, consorte di Bruno Vespa che indagava sulle forniture di telescriventi Olivetti alle poste). Spesso a Roma l’ingegnere è solo, raramente viene accompagnato dalla moglie Silvia Cornacchia più nota con il cognome di Monti. In genere si ferma una notte sola, viaggiando con un piccolo trolley e una borsa con i documenti di lavoro. Il 16 luglio scorso non era sfuggito agli abitanti della zona il suo arrivo in piazza Farnese e la decisione con cui aveva impedito all’autista di prendergli il trolley, lasciandogli invece caricare due borsoni blu dell’Ikea con alcune suppellettili per l’abitazione romana. Due anziane signore romane che lo avevano riconosciuto, colpite proprio da quei sacchi portati dall’autista, sospirarono: “Ah, se De Benedetti per risparmiare è costretto a comprare all’Ikea, vuole dire che la crisi finanziaria è più grave di come ci racconta il governo”. La Bmw 750 è lasciata incustodita appunto in quelle occasioni, ma non per molto tempo e quasi sempre davanti alle fontane di piazza Farnese (le possibilità di parcheggio in zona non sono altissime) che a qualsiasi ora del giorno e della notte è affollatissima. A pochi metri per altro c’è palazzo Farnese, sede dell’ambasciata di Francia, sempre vigilata. Difficile immaginare una intrusione nell’auto e una manomissione in quelle condizioni. Quasi impossibile sia avvenuto durante gli spostamenti, perché l’autista la abbandona raramente, al massimo per un caffè. Le indagini quindi punteranno sull’autorimessa del gruppo Espresso, luogo più probabile in cui possa essere avvenuta l’intrusione. Non ci sono però segni evidenti di scasso o manomissione ad altre strutture o auto. Non sarebbe per altro la prima volta che De Benedetti viene intercettato: il suo nome era inserito nella lista degli spiati dalla Polis d’Istinto che lavorava con il capo della sicurezza Telecom Giuliano Tavaroli. E nel 1996 De Benedetti fu intercettato legalmente mentre faceva gli auguri ad Antonio Di Pietro per lo sbarco in politica del pm, discutendo con lui in modo assai colorito di una possibile discesa in politica anche dell’ex nemico di una vita: Cesare Romiti.

Veronica? Vuole solo un quarto dello stipendio mensile di Silvio

Il clamoroso assegno di mantenimento annuo, 43 milioni di euro, chiesto da Veronica Lario, al marito Silvio Berlusconi dopo la separazione vale circa un quarto dei dividendi incassati nell’ultimo anno dal presidente del Consiglio italiano. Il Cavaliere infatti fra febbraio e fine aprile si è fatto versare dalle società da lui direttamente controllate 166 milioni e 723 mila euro. Quindi se Veronica ha chiesto 3 milioni e 583 mila euro al mese per il suo mantenimento base (vale a dire quanto un top manager di grandi banche o di gruppi come Enel o Eni guadagna in un anno), è vero che grazie al buon andamento delle sue società, Berlusconi nel 2009 ha contato su una paghetta mensile di 13 milioni e 893 mila euro. Il presidente del Consiglio per altro è assai più ricco di quanto non dica questo ragguardevolissimo stipendio mensile. Complessivamente ad oggi avrebbe a disposizione poco meno di 800 milioni di euro: 166,7 sono appunto i dividendi già incassati dalle 4 holding di controllo di Fininvest da lui possedute (la prima, la seconda, la terza e l’ottava), dalla piccola quota di Fininvest a lui riportabile (2,06%) e dalla partecipazione di maggioranza assoluta (99,5%) in Dolcedrago. Dalle holding che controllano Fininvest il premier nella primavera scorsa si è fatto distribuire sotto forma di dividendi quasi tutti gli utili. Negli anni precedenti invece spesso li ha fatti accantonare a riserva. Così oltre ai dividendi Silvio Berlusconi può contare su una liquidità rilevante, pari a 177,8 milioni di euro, su investimenti in titoli (in gestione a banca Arner) per 19,6 milioni di euro e su utili di anni precedenti portati a riserva e distribuibili senza intaccare la solidità delle holding per 420,3 milioni di euro. Il cavaliere ha quindi a disposizione 784,6 milioni di euro. Altri 353, 4 milioni sono immobilizzati nel mattone attraverso la Idra (proprietaria di Villa Certosa e di quelle di Arcore e di Macherio) e ancora 6 milioni investiti in villette attraverso la Immobiliare due ville. Una somma complessivamente superiore a quella che Cir ha chiesto a Fininvest nella contesa giudiziaria sul lodo Mondadori. A questa potrebbe aggiungersi anche parte pro quota del patrimonio Fininvest, la finanziaria che nel bilancio consolidato 2008 registrava disponibilità liquide per un miliardo e 111 milioni e titoli detenuti per la negoziazione per un controvalore di 186,4 milioni di euro. Ma queste cifre non sono state considerate da Libero per calcolare la ricchezza personale della famiglia Berlusconi perché in Fininvest la liquidità serve al funzionamento e allo sviluppo del gruppo. Diversa la situazione dei cinque figli, che attraverso altre tre holding (la quarta, la quinta e la quattordicesima) controllano ognuno poco più del 7 per cento del capitale Fininvest. Piersilvio e Marina hanno la stessa quota, il 7,652%. I tre figli di secondo letto, Barbara, Eleonora e Luigi controllano invece indirettamente il 7,13%. Dei cinque oggi il più ricco è Piersilvio. Non tanto per i dividendi incassati: lui come Marina ha ricevuto solo i 5.614,17 euro spettanti per la propria partecipazione del 0,25% nella Dolcedrago. Il primogenito è più ricco pertchè ha risparmiato di più in questi anni: la sua holding (la quinta) ha disponibilità liquide per 60,4 milioni di euro, investimenti in titoli per 28,7 milioni di euro e utili accantonati negli anni e oggi distribuibili per 94 milioni di euro: in tutto fanno 183,3 milioni di euro. Marina invece i dividendi li ha goduti negli anni e investiti o spesi. Nella sua holding (la quarta) ci sono 19,4 milioni di euro liquidi, altri 11,1 milioni di euro investiti in titoli e 35,1 milioni di vecchi utili distribuibili. Infini i tre figli di secondo letto, che insieme possono contare su 305,7 milioni di euro (più di cento a testa). Eleonora, Barbara e Luigi hanno ricevuto a marzo dalla loro holding (la quattordicesima) una argente du poche da 1,4 milioni di euro a testa. In tutto 4,2 milioni di euro, piccola quota dei dividendi annuali percepiti e accantonati in gran parte a riserva. Sui conti correnti i tre insieme hanno disponibilità liquide per 111,6 milioni di euro, altri 5 milioni dati in gestione alla Sator di Matteo Arpe e ancora circa 185 milioni di euro di utili accantonati in precedenza e distribuibili senza sciogliere la società. Altri 35 milioni li hanno investiti nel mattone, comprando un palazzo nel centro di Milano.

Anche Tremonti assediava Brenda a casa- Il fisco voleva quel tugurio

Al catasto di Roma era registrata come “abitazione di tipo civile” di due vani. Il monolocale con soppalco dove è stata trovato il corpo di Brenda, il transessuale brasiliano del caso Marrazzo, apparteneva in realtà a una coppia di anziani signori che in quelle quattro pareti avevano investito in risparmi di una vita. E sull’immobile dalla scorsa primavera c’era anche un’ipoteca legale posta dal fisco italiano, sia pure per una piccola somma. I proprietari risultano essere il signor Domenico B. (classe 1935) con la gentile consorte Franca P. (classe 1947) e per potere acquistare l’unica casa da loro mai posseduta avevano perfino chiesto un mutuo fondiario in banca. E l’11 maggio 2004, stessa data dell’acquisto dell’appartamentino di via Raffaele Stasi 16, interno 1F, da un giovane romano (Luca.S.), quel mutuo è arrivato. Lo ha fornito il Monte dei Paschi di Siena, stanziando 55 mila euro e iscrivendo ipoteca per il doppio della somma. Il mutuo che in partenza aveva un tasso di interesse annuo del 3,276%, scadrà nel maggio 2019. Ora quell’appartamento da cui Brenda- il cui vero nome era Wendell Mendes Paes - voleva andarsene prima di compiere il suo trentaduesimo compleanno (sarebbe accaduto sabato prossimo), è sotto sequestro giudiziario. La sua planimetria non è censita al catasto ma secondo i rilievi della polizia dopo il delitto il monolocale con bagno ed angolo cottura misurerebbe in tutto 18 metri quadrati, e quindi l’acquisto sarebbe avvenuto con una valutazione oscillante fra i 3 e i 4 mila euro a metro quadrato, e non si sa se nella valutazione della compravendita fosse già compreso quel soppalco un po’ rudimentale su cui è stato rinvenuto il corpo annerito della vittima. Secondo la versione data da altri transessuali che conoscevano Brenda i suoi rapporti con i padroni di casa non erano idilliaci, tanto che lei avrebbe rivelato di essere sotto sfratto. Tutti gli appartamenti ai piani terra, primo e seminterrati appartengono a persone fisiche che in numerosi casi li hanno affittati ai trans. Uno solo è di una società di uno dei più noti costruttori romani proprietaria per altro fin dalla costruzione anche di due palazzi interi nelle immediate vicinanze (uno nella stessa via, al numero 32). Sulla casa di Brenda da qualche mese erano arrivate anche le ganasce del fisco. La società di riscossione dei tributi del ministero dell’Economia, guidato da Giulio Tremonti, e cioè Equitalia Gerit, aveva infatti iscritto sull’appartamento ipoteca legale il 25 marzo 2009, per una piccola somma: 1.643,92 euro contestata al proprietario, il signor Domenico B. Probabilmente una cartella esattoriale dimenticata che ha fatto scattare le classiche ganasce fiscali (che risultano tutt’ora vive).

C'è una tenaglia che si stringe intorno a Berlusconi. Milano-Firenze-Palermo e in due mosse il cav sarà ko

Le procure italiane stanno cercando con una manovra a tenaglia di mettere in mutande Silvio Berlusconi. Scacco al re in due mosse. Prima mossa, a Milano: processo rapido, più rapido della legge sul processo breve. E già a gennaio l’attuale premier potrebbe trovarsi condannato per corruzione nel caso Mills. Pena accessoria, immediatamente esecutiva: sospensione dai pubblici uffici per anni cinque. Non indultabile in automatico, perché ci sono in corso altri procedimenti. Un missile su palazzo Chigi in grado di mettere fine alla carriera politica del cavaliere. Seconda mossa: Palermo, Caltanissetta o Firenze. Non è ancora chiaro da dove partirà la cannonata decisiva. A Palermo tutto è già pronto: riaperto dopo 15 anni il fascicolo di indagine n.6031/94, pronta la nuova iscrizione per concorso esterno in associazione mafiosa per Berlusconi Silvio+ 13. E in qualsiasi momento può partire la richiesta del pm di sequestro preventivo del patrimonio del Cavaliere. Tanto la tesi giudiziaria è quella scritta e riscritta mille volte nei libelli anti-cav, da Mario Guarino a Marco Travaglio: all’origine della Fininvest ci sono capitali oscuri. Mafiosi. Attenzione: non è fantagiustizia. E’ quel che si sta preparando, anche se la caccia grossa come è evidente non troverà la preda immobile paralizzata dalla paura. Ma la partita è iniziata. Con un solo obiettivo: lasciare in mutande Berlusconi, e consegnargli solo la magra soddisfazione di rendere del tutto inutili un paio di procedimenti civili che proprio in queste ore si stanno incardinando: quello sulla immediata esecutività della sentenza Mesiano a favore di Cir (sui 750 milioni di euro, il cui pagamento è temporaneamente sospeso, si deciderà a dicembre), e naturalmente quello sulla separazione per colpa del coniuge innescato da Veronica Lario. Quella delle procure è ormai una tenaglia che si sta stringendo intorno all’inquilino di palazzo Chigi. Verbali di pentiti di mafia stanno facendo il giro di un numero consistente di procure italiane, ogni volta aggiornati con particolari succulenti. Presunte rivelazioni di Gaspare Spatuzza in viaggio da mesi sulla Firenze-Palermo-Firenze e già approdate al processo a Marcello dell’Utri, appena aggiornate da un ultimo paragrafo, quello sul presidente del Senato, Renato Schifani (cui aveva appena mandato l’avviso di garanzia Il Fatto quotidiano). Verbalini di un altro personaggio a cui alla bisogna torna sempre la memoria utile al momento, come Pietro Romeo, quello che di tanto in tanto rivela qual cosina sul Berlusconi mafioso e stragista. Anche loro in viaggio sulla direttissima Firenze-Palermo. Materiale che oltre ad affacciarsi nel processo a Dell’Utri per dare il colpo di grazia sta riempendo di nuovi contenuti quel “contenitore di sistemi criminali” che è il fascicolo 6031/94, inventato nella notte dei tempi da Roberto Scarpinato e Giancarlo Caselli. Lì furono già iscritti per concorso esterno Berlusconi e Dell’Utri per poi finirne archiviati. Ma il fascicolo non si chiude mai, pronto a rinascere come le teste dell’Idra grazie alle leggio speciali anti-mafia che tutto consentono di riaprire. Siamo ai primi passi della caccia, e ci vuole un po’ di coraggio. Perché intorno non c’è più il popolo plaudente e assetato di vendetta di quegli anni lontani e manco c’è più a Palermo un mastino alla Caselli. Chissà che quei verbali, verbalini e fascicoli non riprendano insieme alla richiesta di sequestro preventivo dei beni del Cavaliere la strada per Firenze, dove la procura da tempo sta lavorando ai fianchi il boss decisivo, quel Filippo Graviano nercessarissimo per confermare le accuse a Berlusconi dei pentiti. L’altra tenaglia, quella milanese, si sta stringendo con assai meno misteri. Ha un solo nemico da infilzare prima che le sbarri la strada, e non è manco così difficile, visto che si tratta di quel disegno di legge sul processo breve che già molti alleati del presidente del Consiglio stanno lavorando ai fianchi. Tolto di messo quello, è sostanzialmente scontata la condanna in primo grado per il caso Mills. Lodo Alfano o meno il processo è già stato istruito condannando l’avvocato inglese e indicando nelle motivazioni non solo il reato (corruzione), ma anche il corruttore: Berlusconi. Ma c’è un passaggio contenuto nella sentenza di primo grado che già scrive la parte più insidiosa per il cavaliere. E’ all’inizio della pagina 368 della decisione giudiziaria: “Ai sensi dell’articolo 29 c.p. deve applicarsi all’imputato la sanzione accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni. Appare opportuno rimettere alla fase esecutiva del giudizio, anche in relazione alla pendenza a carico dell’odierno imputato di altri procedimenti giudiziari, l’eventuale applicazione del beneficio dell’indulto ex l. n. 241 del 2006, pur astrattamente applicabile nel caso di specie”. Un periodo destinato al “copia e incolla” in caso di condanna di Berlusconi. Il più velenoso, perché anche se impugnato in appello renderebbe più difficile la permanenza del cavaliere a palazzo Chigi e assai imbarazzante sul punto il rapporto con il Quirinale.

Il partito di Bersani è già vecchio. La politica deve staccare dalla Resistenza e dal risorgimento

Da un paio di mesi a questa parte Silvio Berlusconi ha un ambasciatore in più e probabilmente manco lo sa. Eppure è un fiore di ambasciatore, perché fa la spola fra la sua Perugia, dove Paolo Mancini, classe 1948, è Professore Ordinario di Sociologia delle Comunicazioni presso la Facoltà di Scienze Politiche, e Londra. Oxford University, Westminster università, London School of economics. Domani sarà al Reuter institute di Londra a fare da controparte a Carlo De Benedetti. “E mi ha chiamato già un altro conferenziere, John Loyd, credo preoccupato di riequilibrare quel che dirà l’ Ingegnere”. Conferenze, seminari, piccoli corsi universitari. Tutti su un solo tema: Berlusconi e la sua rivoluzione nella politica italiana e non solo. Ad Oxford ha appena tenuto un ciclo di seminari sul tema. Ad ottobre è stato l’ospite centrale in un lungo speciale della tv moscovita in lingua inglese (vista in tutto il mondo), Rt, dal titolo “Lo strano caso di Silvio Berlusconi”. Lo ha difeso con garbo e moderazione, anche sui temi più scivolosi, come la vicenda escort spiegando che questo in Italia è un problema per l’opinione pubblica e le gerarchie cattoliche, non per l’opinione pubblica in generale: perché semmai la maggiore parte degli italiani, ma anche dei russi, degli inglesi, dei francesi o degli spagnoli, vorrebbe essere al posto di Berlusconi Ed è curioso, perché il professore Mancini non è un tifoso del cavaliere. Anzi: in università raccontano venga dalle radici socialiste e sia un moderato di sinistra. Però studia, come racconta lui stesso a Libero il fenomeno politico del cavaliere. E lo esporta come materia davanti agli studenti britannici, spiegando come il modello Berlusconi, seguito da quello Blair e da quello Obama sia soprattutto una rivoluzione nel modo di fare politica e abbia travolto i partiti tradizionali su una via senza ritorno. “Vero”, spiega Mancini, “all’estero c’è un grande interesse verso il fenomeno politico Berlusconi. Ad Oxford il titolo del seminario che ho tenuto era “Behind of the common sense”, cioè al di là del senso comune. E infatti secondo me con il premier italiano c’è qualcosa di molto più importante del senso comune: ed è il mutamento radicale delle forme della politica”. Con lui, sostiene il professore perugino (che invero è nato a Foligno) si segna “la fine dei partiti tradizionali di massa, nel bene e nel male. Con Berlusconi ha preso una strada, con altri che sono seguiti ne ha preso diverse. Ma da lì è finito il modello del partito ideologico di massa”. Eppure quel modello in Italia è ancora forte, e vi pianta le sue radici anche il Pd di Pierluigi Bersani: “Non voglio attaccare dicendo questo”, si schermisce Mancini, “il nuovo partito della sinistra italiana., ma è certo che non avrà più spazio nelle forme che hanno ormai preso la democrazia e la politica. Forme che Berlusconi ha appunto riempito dei suoi contenuti e che Obama ha riempito di contenuti assai diversi. Ma non ha più futuro una forma ideologica di partito”. E cosa saranno allora i partiti del dopo Berlusconi? “Il fatto”, spiega Mancini, “è che ognuno vuole ritrovare se stesso, con la propria vita di ogni giorno, molto pragmatica, nella forma di un partito. Il valore ideologico c’è sempre di meno, è destinato a spegnersi”. Cioè? “Sono a Perugia, la famiglia di mia moglie viene dalle radici più consolidate della sinistra cattolica. Ma quando loro e quelli della loro generazione avranno terminato l’esperienza della resistenza, quando quella generazione sarà scomparsa, si porterà via con sé quelle radici. Mio figlio ad esempio vive una esperienza totalmente diversa, c’è poco da fare. Quei partiti, nonostante sforzi come quello di Bersani, sono assolutamente destinati a scomparire. Sopravviverà nell’area solo qualche esperienza totalmente diversa, pensi a cosa è stato ad esempio il Labour di Tony Blair…”

Ma è Mps (la banca rossa) la preferita da Silvio

E’ il Monte dei Paschi di Siena, quella che scherzosamente viene definita la “banca rossa” per eccellenza, l’istituto di credito prescelto da Silvio Berlusconi e da tutti i suoi figli per la gestione dei propri depositi. Presso l’istituto bancario che ha ancora come primo singolo azionista l’omonima fondazione (gestita da enti locali amministrati dal Pd, per questo banca rossa) la famiglia Berlusconi ha depositato indirettamente poco meno di 350 milioni di euro. Cifra assai superiore ai 19, 6 milioni di euro depositati presso Banca Arner, filiale italiana dell’istituto di credito svizzero, dei 28,6 milioni depositati presso banca Morgan Stanley e dei 28,7 milioni amministrati congiuntamente da Morgan Stanley ed Arner. E’ nel gruppo bancario guidato da Giuseppe Mussari che il premier e i suoi cinque figli hanno lasciato la liquidità che controllano più direttamente: quelle delle holding proprietarie del gruppo Fininvest. Quattro di queste (la prima, la seconda, la terza e l’ottava) sono controllate dal capo famiglia, una a testa (la quarta e la quinta) dai due figli più grandi, Marina e Piersilvio e l’ultima (la quattordicesima) è controllata congiuntamente dai tre figli più piccoli nati dal matrimonio con Veronica Lario: Eleonora, Barbara e Luigi. Non è una sorpresa in sé la predilezione per la banca senese, perché è proprio quella che ha affiancato Berlusconi nei suoi primi passi imprenditoriali, finanziandogli le attività da costruttore. Il dato però stride con le affermazioni contenute nella inchiesta (più annunciata che fatta) trasmessa domenica sera da Report condotto da Milena Gabanelli. Secondo la trasmissione (che conteneva più di una imprecisione) le holding di Berlusconi avrebbero tenuto depositi principalmente nella Arner Bank e la cifra rivelata ammontava a 60 milioni, 50 dei quali appartenenti a Marina e Piersilvio e 10 a Silvio Berlusconi. Non è questa la cifra desumibile dagli ultimi bilanci disponibili, quelli che si sono chiusi al 30 settembre 2008 e che sono stati approvati nelle assemblee delle holding fra fine gennaio e i primi del mese di marzo 2009. Presso Banca Arner i Berlusconi hanno esclusivamente gestioni patrimoniali e nei bilanci si riporta solo la movimentazione dei titoli. La holding quarta che fa capo a Marina non risulta avere più né gestione né deposito in Banca Arner, e probabilmente l’errore di Report deriva dalla consultazione dei bilanci dell’anno precedente (quando Arner era citata in co-gestione con Banca Morgan Stanley, oggi sola depositaria del patrimonio). In un caso, quello della holding quinta di Piersilvio la gestione patrimoniale- di una certa consistenza: 28,7 milioni di euro- è affidata congiuntamente a Morgan Stanley ed Arner, e nell’ultimo anno è riuscita a salvare quasi tutto il capitale amministrato, perdendo solo 197.456 euro di valore (-0,6%). E’ andata di lusso a Marina che con la sola Morgan Stanley è riuscita a guadagnare perfino nel primo anno di crisi dei mercati: 550.037 euro di capital gain (+6.3%). La primogenita di Berlusconi , che sicuramente ha un fiuto particolare per gli affari, è riuscita in questo modo a investire parte della liquidità azzeccando due colpacci nell’ottobre 2008: prima ha acquistato130 mila azioni Mediaset e poi 120 mila azioni Parmalat spa. Su Mediaset alla data di ieri aveva guadagnato 136.378,55 euro (e cioè il 27,47% di capital gain in un anno) . Su Parmalat Marina ha guadagnato 91.882,91 euro (una sorta di botto di questi tempi: il rendimento in soli 12 mesi è stato del 60,56%). Dovrebbe imparare da Marina papà Silvio che invece con Banca Arner ha perso in un anno più o meno la stessa somma in valore assoluto guadagnata dalla figlia (-3%). Più prudenti invece i tre figli più piccoli: hanno lasciato il grosso della liquidità (111,6 milioni) sul conto bancario Mps e hanno preferito evitare di fare scommesse sui mercati: 5 milioni li hanno affidati in gestione tranquilla al fondo Sator di Matteo Arpe, altri 4,3 milioni li hanno investiti nel capitale di una società di biotecnologie già controllata da Fininvest

su silvio la tenaglia pm- figli- Veronica

C’è un nome che sintetizza gran parte dei timori giudiziari di Silvio Berlusconi e che qualche cosa ha anche a che vedere con le vicende di famiglia. Non è il nome di un giudice, non è il nome di una persona. E’ il nome di una banca svizzera. Si chiama Arner bank, e questo marchio apparso già in passato nelle prime inchieste sul gruppo Fininvest-Mediaset, unisce due procure di quelle che al Cavaliere fanno accapponare la pelle. Perché sull’Arner bank indagano sia la procura di Milano (inchiesta sui diritti televisivi e Mediatrade) sia quella di Palermo, dove ufficialmente i due pm Roberto Scarpinato e Antonio Ingroia si occupano di riciclaggio di soldi della mafia e per questo motivo hanno fatto arrestare nel 2008 un finanziere italo-svizzero, Nicola Bravetti. Ma le strade delle due indagini si sono più volte intersecate e la documentazione acquisita ha fatto capolino anche durante un processo che è giunto già a sentenza di secondo grado, quello nei confronti dell’avvocato britannico David Mills. E’ un po’ complesso addentrarsi nei particolari. La sostanza però è semplice: presso la Arner bank, per poi dirigersi verso altri porti, secondo i magistrati è passato un fiume di denaro proveniente da attività condotte fuori dai bilanci ufficiali, in nero. Parte di queste attività sarebbero arrivate dai vari business della criminalità organizzata- ed è il filone aperto da Ingroia e Scarpinato. Altra parte dal sistema dei conti esteri off-shore del gruppo Fininvest, ed è la matassa che da anni sta cercando di sbrogliare anche attraverso raffiche di rogatorie la procura di Milano. Con quel materiale sono già stati originati numerosi processi ufficiali in parte chiusi (All Iberian, falso in bilancio Fininvest e primo filone diritti tv) in parte aperti (Mills e Mediatrade). E sono le stesse carte di sempre ad essere utilizzate dalla procura di Milano per aprire nuove ipotesi processuali (appropriazione indebita è l’ultima ipotesi avanzata dal pm Fabio De Pasquale per il sottofilone Frank Agrama). Sono al momento solo voci e illazioni quelle secondo cui il materiale Arner Bank potrebbe essere utilizzato da una procura per unire i due filoni (fondi neri Fininvest e fondi neri mafia spa) trovando punti di contatto e ipotesi di accusa comuni. Nel mirino di queste inchieste c’è naturalmente Silvio Berlusconi, ma non è l’unico membro della famiglia ad essere lambito dalle ipotesi di accusa. Il malloppone giudiziario sui fondi neri Fininvest ha più volte lambito i due figli di primo letto del cavaliere, entrambi con responsabilità operative in aziende del gruppo Marina e Piersilvio. Nel 2004 nei loro confronti fu aperta una indagine con l’accusa di riciclaggio e ricettazione nell’ipotesi che Marina e Piersilvio fossero beneficiari di fondi neri depositati sue due conti bancari: il Century One e l’Universal One. Due anni dopo gli stessi magistrati hanno archiviato tutto, sostenendo che Piersilvio e Marina fossero troppo giovani e quindi dei semplici prestanome senza responsabilità dirette. Ma i nomi dei due figli di primo letto di Berlusconi sono riapparsi fra le carte del processo Mills e fra quelle del filone di inchiesta su Frank Agrama. L’ipotesi è sempre la stessa: che nel sistema estero del gruppo Fininvest e in particolare nella compravendita dei diritti televisivi con le major cinematografiche americane (il lavoro di Agrama) si fossero creati fondi neri in parte destinati a pagare i mediatori e in parte proprio a fare arrivare redditi esentasse a Berlusconi e ai suoi primi due suoi figli. Per ora è solo un filone nelle varie inchieste, ma è quello che più irrita e preoccupa il Cavaliere, che si indigna in pubblico e in privato per il coinvolgimento dei suoi figli. Anche perché sa dove portano queste ipotesi giudiziarie: a possibili condanne e pene accessorie in grado di togliere non a Berlusconi, ma ai Berlusconi quanto creato dal cavaliere nella sua vita.

Il Cavaliere si sente circondato

Questa volta Silvio Berlusconi è davvero “circondato”. Il virgolettato è d’obbligo, perché a descrivere così la sua situazione è il diretto interessato. “Sono circondato”, ripete il premier da qualche mese ad ogni incontro con i suoi più diretti collaboratori e nei rari momenti che riesce a trascorrere con i vecchi amici. E circondato il cavaliere lo è davvero come mai gli era accaduto nei quindici anni della sua nuova vita politica. Non c’è parte dove voltarsi in cui Berlusconi non trovi davanti un nemico. In politica, perfino all’interno del partito che ha fondato. Nelle istituzioni, dove pochi gli sorridono. Nel rapporto con i magistrati che stringono la tenaglia delle inchieste non solo su lui (ci è abituato), ma anche sulle persone che ha più care. A casa, se di casa si può parlare nel giorno in cui Miriam Bartolini sposata Berlusconi (e più nota con il nome d’arte Veronica Lario) ha depositato in tribunale un ricorso individuale di separazione con addebito dal marito. Non è mai stato così sotto assedio. Non ha mai corso come ora il rischio di perdere tutto l’imprenditore che ha creato dal nulla il primo gruppo televisivo privato italiano, il politico che dal nulla ha fondato e portato al successo il primo partito italiano, il patriarca abituato ad essere venerato e rispettato senza discussioni dai cinque figli, dai generi, dai nipoti da una famiglia che amava riunire appena possibile con riti celebrati sempre uguali fino alla noia e sempre immutati negli anni. E’ sotto assedio, circondato, l’impero a cui Berlusconi tiene di più: quello delle aziende che ha costruito e fatto crescere in questi anni e che avrebbe voluto consegnare ai figli. Sono circondate dal fisco, che alla sola Mondadori contesta 250 milioni di euro e a Fininvest numerose altre poste (un salvagente era stato immaginato in Senato con un mini condono tributario rifiutato dal finiano Maurizio Saia, relatore della legge finanziaria). Fuori con i fucili puntati c’è Carlo De Benedetti, con in mano quella sentenza firmata dal giudice Raimondo Mesiano e al momento congelata, che rischia di portare via a Berlusconi e ai suoi figli 750 milioni di euro. Ci sono i bazooka delle procure che oltre a potere sbalzare il cavaliere dalla sella di palazzo Chigi, potrebbero avere l’effetto di sottrargli anche parte del patrimonio e delle aziende. E poi c’è Veronica, la madre di solo tre dei suoi figli, con la causa di separazione ostile che rischia di spezzare la famiglia e anche a possibilità di Berlusconi di scegliere liberamente l’asse ereditario. Non c’è bisogno di una regia preordinata, di un complotto che veda uniti negli intenti e coordinati nelle azioni tutti i protagonisti sopra citati. La regia potrebbe essere nei fatti, indipendentemente dalla volontà degli attori. Siamo su pure ipotesi, che nel quartiere generale del cavaliere però sono state prese seriamente in considerazione leggendo fra le pieghe delle mosse di chi lo cinge d’assedio. C’è una azione giudiziaria, quella di Veronica, che punta a castigare il marito soprattutto sotto il profilo patrimoniale e a ridurre il perimetro aziendale e patrimoniale dei due figli di primo letto, Marina e Piersilvio a favore dei tre di secondo letto: Eleonora, Barbara e Luigi. C’è una seconda azione giudiziaria, quella della procura di Milano che se ha al centro del suo mirino il presidente del Consiglio, potrebbe avere come conseguenza indiretta lo stesso obiettivo che ha Veronica. Quel che traspare dalle carte del processo Mills e delle varie inchieste sui diritti televisivi è infatti l’ipotesi di un tesoretto non ufficiale accumulato negli anni all’estero a favore di Berlusconi e dei suoi due figli impegnati direttamente in azienda, che sono appunto quelli di primo letto. Non c’è dubbio che quelle carte possano diventare interessanti anche per la causa di divorzio e per stabilire il perimetro dell’asse ereditario. Altro che assedio: diventerebbe un fuoco concentrico, per altro con evidenti parallelismi con quello che sta accadendo all’interno della famiglia Agnelli (fisco, giudici e Margherita sono saldati da un obiettivo comune). C’è anche il fronte politico, dove gli avvenimenti sono più palesi. E’ chiaro a tutti ad esempio come con grande difficoltà si possa parlare ancora di un’alleanza politica (il rapporto umano è compromesso da tempo) fra Berlusconi e l’attuale presidente della Camera, Gianfranco Fini. Ma se questo è un caso alla luce del sole, sotto traccia non manca altro. Come ha confessato in privato il leader Udc Pierferdinando Casini dopo il faccia a faccia della riconciliazione con il premier :“figurarsi, fosse stato per Silvio eravamo già lì a discutere i particolari di una nuova alleanza. Perfino i ministeri. Ma io come faccio? Chiunque dei suoi abbia incontrato non ha fatto che parlarmi del dopo. Tutti, anche suoi ministri, ragionano del dopo-Berlusconi considerando questa epoca agli sgoccioli. E io vado a costruire un’alleanza con lui proprio ora?”.