DA ITALIA OGGI IN EDICOLA- Rifiuti, Di Pietro: qui lo dico e qui lo nego

Parole pesanti quelle che Antonio Di Pietro ha usato nel pieno della crisi rifiuti di Napoli, prima attaccando il governatore della regione Campania, Antonio Bassolino. Poi prendendosela con il collega Alfonso Pecoraro Scanio e con i Verdi: «Chi si oppone agli inceneritori? Bisogna chiedersi se, oltre ai mali della camorra, non vi sia qualche responsabilità, di chi si è sempre opposto alla loro realizzazione», ha tuonato il titolare delle infrastrutture. Di Pietro come sempre ci ha azzeccato. C'era qualcun altro pronto a bloccare gli inceneritori, deciso a metà 2006 perfino a revocare i finanziamenti per la loro costruzione. Ma non era un Verde: era proprio lui, il leader dell'Italia dei valori. È stato il nostro Giampiero Di Santo a scovare l'intemerata dall'allora neo-ministro delle Infrastrutture. «Gli inceneritori, o termovalorizzatori», tuonò Di Pietro all'epoca, «sono finanziati in Italia con soldi pubblici in quanto equiparati alle energie rinnovabili. Senza i contributi pubblici gli inceneritori non potrebbero esistere. Meritano questo investimento? La risposta che mi sono dato è del tutto negativa. La costruzione degli inceneritori nasce da due fattori: scarsa informazione e comportamento sociale sbagliato. La scarsa informazione porta a pensare che gli inceneritori siano una soluzione all'avanguardia, che siano necessari e che, in ogni caso, rappresentino il male minore. Gli inceneritori non sono una soluzione innovativa, è vero il contrario; i primi sono stati realizzati più di quarant'anni fa e i Paesi che li hanno adottati inizialmente non li costruiscono più e li usano sempre meno. Inoltre è stato dimostrato che la cenere prodotta diventa un rifiuto tossico». E aggiunse, minaccioso, «Per queste ragioni, l'Italia dei Valori si opporrà alla costruzione di nuovi inceneritori, anche con la richiesta dell'abolizione dei finanziamenti fino ad oggi disposti, e proporrà interventi legislativi a favore di una riduzione dei rifiuti all'origine e di sostegno alle aziende impegnate nel settore del riutilizzo dei rifiuti». Naturalmente, come spesso capita nei proclami dei politici italiani, la minaccia restò lì senza seguito. Servì a procurarsi qualche lode utile alla bisogna dal blog di Beppe Grillo, gli applausi degli ambientalisti e l'assoluta tranquillità dei produttori di inceneritori che ben sapevano quanto sarebbe avvenuto: nulla. Fra gli applausi anche quello del povero Pecoraro Scanio, convinto di avere trovato un alleato insperato. E ora sbertucciato pubblicamente con quel paragone certo non esaltante fra chi blocca gli inceneritori per ragioni politiche e la camorra che lo fa per ragioni squisitamente economiche. L'episodio vale la pena di essere raccontato perché segnala quanto sia inutile la politica in Italia. E terribilmente lontana dalla vita reale. Al massimo sventola per qualche ora la soluzione dei problemi, una dichiarazione di agenzia, un post sul blog per chi si sente più al passo con i tempi, una bella comparsata ancient regime nel salottino di Bruno Vespa. Ma i problemi reali, come i rifiuti, restano lì irrisolti, e prima o poi chi deve farci i conti tutti i giorni esce dall'inganno dello spot. Perfino Di Pietro, che si è costruito con abilità un'immagine di politico pronto a rimboccarsi le maniche e calarsi nella vita reale, dalla fiction esce assai raramente. Ora sui rifiuti della Campania anche senza inceneritori si sono bruciati le dita generazioni di amministratori locali e nazionali, un Di Pietro in più o in meno non fa grande differenza. Ma il danno che ancora una volta è stato provocato all'immagine dell'Italia più ancora che a quella Regione è così grave che varrebbe la pena uscire dalla solita commediola che ieri ancora una volta è andata in scena alla Camera dei deputati dove il governo è andato a riferire gli ultimi sviluppi. Al di là delle responsabilità passate e anche recentissime, che abbiamo documentato in questi giorni, il presidente del Consiglio Romano Prodi ha finalmente adottato un atto di governo. Si potrà discutere l'ennesima scelta di un commissario governativo di emergenza: ce ne sono a bizzeffe, in carica ancora dopo anni (sui rifiuti ne era stato nominato uno nuovo dieci giorni prima, Paolo Costa è ancora in sella a gestire l'emergenza Dal Molin sulla base Usa, per anni ne è restato uno per mucca pazza...). Ma la scelta di Gianni De Gennaro, l'utilizzo dell'esercito e le prime azioni attivate sono un atto di governo e un modo per affrontare l'urgenza della realtà. Ha ragione palazzo Chigi: in questo momento serve dare una mano a De Gennaro a portare via i rifiuti, non è questione di bandiere politiche. Poi ci sarà tutto il tempo per capire le responsabilità, affrontare i processi e continuare il teatrino. I verdi avranno la loro bella parte, ma chi ha governato cinque anni prima non è stato meno ambientalista...

RIFIUTI VERDI MARCI- La sceneggiata di Pecoraro & c

Il piano che avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi della raccolta di rifiuti in Campania è stato annunciato in pompa magna agli inizi di luglio 2007 dal governatore della regione Campania, Antonio Bassolino, che alla stampa aveva fornito anche un suo personale decalogo che in quattro passi avrebbe dovuto portare la situazione alla normalità. Il documento, redatto dal commissario governativo uscente, Alessandro Pansa, prefetto di Napoli (ieri il governo lo ha sostituito con Gianni De Gennaro) è stato presentato solo il 27 dicembre scorso. Più di 300 pagine, con centinaia di allegati. Decine di lettere di chi ne ha bloccato l'attuazione. In testa ambientalisti e il loro ministro di riferimento, Alfonso Pecoraro Scanio. Visto che in Italia nessuna decisione, nemmeno in mezzo a tonnellate di rifiuti abbandonati per strada sotto gli occhi del mondo intero, si può prendere senza la magica “concertazione”, il prefetto Pansa si è dovuto sciroppare tutti gli interlocutori possibili e immaginabili. Che hanno inviato le loro osservazioni sulla bozza del piano rifiuti, chiedendo una raffica di correzioni e cassandone di volta in volta le varie parti. A un certo punto il prefetto ha messo una data limite, quella del 15 dicembre scorso, oltre la quale nessun suggerimento sarebbe più stato preso in considerazione. Solo a quel punto si è fatto vivo qualcuno della Regione Campania guidata da Bassolino. Con una sorta di diffida, firmata dall'avvocato Mario Lupacchini a nome dell'assessorato all'Ambiente della Giunta regionale. Richiesta: rinvio della data-limite al 7 gennaio 2008. Altrimenti “codesto commissario comunichi il fondamento giuridico per tale abbreviazione die termini”. Dei rifiuti a Napoli e della data- limite posta dal prefetto per terminare il suo piano e iniziare a renderlo operativo non si è preoccupato particolarmente il ministro dell'Ambiente, Pecoraro Scanio. La lettera con le sue osservazioni a Pansa è infatti arrivata con comodo il 19 dicembre scorso. Anche lui minaccioso: ponendo una serie di condizioni senza le quali il ministro avrebbe detto no al piano cassandolo del tutto. Alcune tecniche, altre formali, una stupisce in particolare: vincolante anche la richiesta di coinvolgere nel business del riciclo dei rifiuti “le Onlus e le altre associazioni non a fini di lucro” con cui il commissario Pansa avrebbe dovuto anche stipulare un accordo di programma. Un po' di burocrazia ulteriore, mentre a Napoli e dintorni l'olezzo della spazzatura rovinava già le feste natalizie a migliaia di cittadini. Ma visto che gli ambientalisti non si muovono mai da soli, il povero Pansa è stato costretto a concertare con ogni loro sigla esistente sull'orbita terrestre. Tonnellate di documenti e osservazioni sono arrivate da Legambiente, Italia Nostra, Greenpeace, Wwf di ogni ordine e grado insieme a sigle minori che almeno avevano dalla loro la residenza in loco. Pagine a pagine sul processo di desertificazione mondiale, trattati interi sul protocollo di Tokyo, tutti i no possibili alle soluzioni proposte dal prefetto per lo snaltimento dei rifiuti. Richiesta al piano- che avrebbe dovuto solo rispondere alla domanda su come raccogliere e fare sparire in qualche modo la spazzatura- di inserire progetti di “microfiliere aziendali di minieolico, fotovoltaico e solare termico” e “filiere agroenergetiche a biomasse”. Così' il povero Pansa è stato messo in guardia anche sulla cultura alimentare di ogni fazzoletto di terra campana, spiegando che lì proprio una discarica o un termovalorizzatore sarebbe stato impossibile. E se fosse finito troppo vicino alla zona della “castagna del vulcano di Roccamorfina”? Impossibile. Cercare subito un altro luogo, e che non fosse quello del “lupino gigante di Vairano” o di produzione del “pecorino di laticauda sannita”. Come muoversi su un campo pieno di mine. Unica soluzione suggerita a Pansa: “imparare il metodo dialogico per la individuazione dei siti dove allocare gli impianti”. Se uno si chiede cosa mai sia, basta leggere il documento di Legambiente: “E' un modello pull, bidirezionale e simmetrico verso lo stakeholder, ed è adottato dalle organizzazioni più avanzate e di maggiore successo”. Per sette mesi un povero prefetto a cui avevano dato pieni poteri proprio perché la situazione era di emergenza e i politici locali e nazionali avevano dimostrato di non sapere che pesci prendere, si è dovuto sciroppare montagne di carta piene di queste perle. Nel frattempo, prima di rispondergli, comuni, province e comunità montane cui era stato chiesto un parere, hanno arruolato eserciti di consulenti, perchè di rifiuti e dintorni nessuno capiva nulla. Una fatica titanica. Con bastoni messi fra le ruote fino all'ultimo istante, fra cumuli di maleodorante spazzatura. Burocrazia che si è trascinata fino al 7 gennaio. Ora finalmente sarebbe bastato iniziare ad applicare il piano. Ma il governo ha voluto ancora una volta fare la faccia feroce. Un po' di decisionismo: via Pansa, ne arriva un altro. Si preparino Wwf, Legambiente e Pecorari Scanio: si riscrive tutto da capo...

CONDONO DI PRODI AI COMUNI ANTI-RIFIUTI

Come si dice a Napoli, Romano Prodi ha fatto la faccia feroce. Porta infatti la sua firma il decreto 11 maggio 2007, n. 61 dal titolo «Interventi straordinari nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania». Pugno di ferro del premier, spiegato all'epoca con il desiderio di mettere fine una volta per tutte allo scandalo della spazzatura a Napoli e dintorni. All'articolo 7 uno schiaffone a tutti i comuni: entro dicembre avrebbero dovuto adottare un piano straordinario per lo smaltimento e auto-finanziarselo. Il 29 dicembre scorso proprio in piena emergenza rifiuti il governo ha fatto marcia indietro: il diktat e quella norma sono saltati, cancellati da una norma malandrina inserita nel Milleproroghe Quando aveva fatto finta di fare la faccia feroce, Prodi aveva stabilito (e la Gazzetta ufficiale pubblicato) che in deroga alle norme generali sulla Tarsu, «i comuni della regione Campania adottano immediatamente le iniziative urgenti per assicurare che, a decorrere dal 1° gennaio 2008 e per un periodo di cinque anni, ai fini della tassa di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, siano applicate misure tariffarie per garantire complessivamente la copertura integrale dei costi di gestione del servizio di smaltimento dei rifiuti». Visto che in campo a parte la scandalizzata stampa internazionale era sceso anche il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, il presidente del Consiglio aveva voluto fare vedere come si comanda, risolvendo i problemi. E aveva aggiunto minaccioso: «Ai comuni che non provvedono nei termini previsti si applicano le disposizioni di cui all’articolo 141, comma 1, lettera a), del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267». Tradotto dal burocratese suona così: i comuni campani che non si fossero messi in regola entro il dicembre 2007 sarebbero stati sciolti dal ministro dell’Interno, Giorgio Napolitano, affidando l’emergenza rifiuti ai prefetti. Un’ottima norma che, se applicata, avrebbe forse evitato i disastri delle ultime settimane. Partenopea hanno risposto con una bella pernacchia al premier. Di piani manco l’ombra e di proposte sull’autofinanziamento ancora meno. Ci si sarebbe attesi allora già ai primi di gennaio una raffica di scioglimenti di comuni campani e il passaggio del comando nelle mani dei prefetti. Ma proprio alla vigilia delle meritate vacanze sui campi da sci, il presidente del Consiglio ha varato un bel condono per tutti i disubbidienti. Che dovevano mettersi in regola entro il 31 dicembre 2007, ma grazie alla norma inserita fra molte altre nel decreto milleproroghe di fine anno, potranno farlo comodamente entro il 31 dicembre 2008. Un segnale più che eloquente arrivato proprio nelle ore in cui stava esplodendo il dramma rifiuti in Campania. Di peggio c’è solo la spiegazione fornita nella stessa relazione di accompagnamento al milleproroghe. Il condono, con relativo rinvio di un anno, ai comuni campani viene inserito all’articolo 33 del nuovo decreto legge con questa spiegazione: «La disposizione è volta ad assicurare che la progressiva copertura dei costi sullo smaltimento dei rifiuti per il tramite della relativa tassa avvenga in maniera e con tempistica uniforme sull’intero territorio nazionale». Ma il decreto legge sui rifiuti campani varato a maggio serviva proprio a derogare, vista la situazione eccezionale, dalle regole previste per tutti gli altri comuni italiani. Insomma, una sceneggiata napoletana in piena regola, che mette decisamente in ombra le piccole querelle politiche scoppiate nelle ultime ore con il più classico degli scaricabarili: Rosa Russo Jervolino (fresca di condono del premier) contro Prodi (che l’ha condonata), Antonio Di Pietro contro Antonio Bassolino, Alfonso Pecoraro Scanio in fuga da tutti e i napoletani sommersi dalla spazzatura. Certo, lo scandalo rifiuti campani è nato ben prima di questo governo, ed è prima di tutto specchio di cosa è l’Italia. Ma la sceneggiata in corso è specchio soprattutto di questo esecutivo, della sua debolezza, della sua impossibilità di prendere decisioni e farle rispettare. Di casi Napoli ce ne sono a bizzeffe, grandi e piccoli ma tutti con lo stesso destino e la finzione di un governo non in grado di governare. Ne citiamo un altro su Italia Oggi, nella sezione Diritto e Fisco. Minuscolo, ma significativo. Nella sua manovra economica per il 2008 il governo fra i tanti atti presunti di “giustizia redistributiva”, ha esonerato una serie di incapienti dal pagamento del canone Rai, per altro appena aumentato a 106 euro. Un poveretto fra i possibili beneficiari, per essere sicuro di non incorrere in sanzioni, ha spiegato alla Rai: «secondo la finanziaria non dovrei pagare il canone. Va bene? Tutto in regola?». E si è sentito rispondere dalla televisione di Stato: «Sì, lei rientrerebbe fra gli esonerati. Ma il governo ha stanziato pochi fondi per pagare al posto vostro, va a finire che molti di voi non potranno beneficiarne. La cosa migliore è che lei paghi subito quei 106 euro, così sarà fra i primi a chiederne il rimborso...». Questa è invece una sceneggiata alla romana..

UN BAMBOCCIONE A SVILUPPO ITALIA/3- Ora Visco jr è diventato un eroe

A Sviluppo Italia è arrivato un eroe. Uno che ha sfidato la sorte, lasciando un posto d'oro in un'azienda privata con i fiocchi, come Telecom Italia, per scommettere sul più classico dei carrozzoni statali, pronto ad affrontare perfino le polemiche e le bufere che deve mettere in conto qualsiasi figlio d'arte. Arriva più o meno così la conferma dell'assunzione come dirigente di Gabriele Visco, figlio di Vincenzo, viceministro di quel ministero dell'economia che controlla al 100% la stessa Sviluppo Italia. Domenico Arcuri, a.d. del gruppo pubblico, sottolinea infatti il «coraggio» del ragazzo, «di essersi assunto l'onere di un cambiamento così radicale e, perché no, una mole di allusioni e provocazioni» (...) Secondo Arcuri quel coraggio mostrato da Visco jr, unito al curriculum (che Sviluppo Italia però non rivela) e all'esperienza professionale «valgono di più del suo cognome». E siamo certi che il manager pubblico abbia ragione: il neo dirigente ha avuto una rapida carriera in Telecom, dove ha mostrato il suo valore. Certo nel nuovo incarico partirà in condizioni più difficili e non avrà nemmeno la possibilità di discutere la qualità dei benefit aziendali assegnati (cilindrata e colore dell'auto, telefonino, etc...). Siamo convinti che il merito sia fondamentale nel settore privato come in quello pubblico, e non è un cognome a deciderlo nel bene come nel male. Lo stesso Arcuri deve avere soppesato a lungo una decisione così delicata, perché sarebbe stato inevitabile poi dovere diradare il sospetto di avere voluto banalmente compiacere un viceministro che indirettamente è anche il suo azionista. Ma la preoccupazione non deve essere eccessiva. Ieri abbiamo fatto un rapido giro di opinioni con alcuni corrispondenti delle principali testate internazionali. E la risposta è stata una sola: l'assunzione avrebbe fatto notizia ovunque. Con grande probabilità negli Stati Uniti, in Francia, in Germania, in Gran Bretagna, sarebbe iniziata una campagna stampa sul caso. Accadde negli Stati Uniti quando il Wall Street Journal dedicò colonne di fuoco alla scelta di George W. Bush di mettere alla testa di una commissione federale sulle telecomunicazioni Mike Powell, figlio di Colin Powell. Per altro non fu scelta improvvisa: Powell jr già era membro di quella commissione prima che il padre assumesse l'incarico di governo. Per un caso controverso di nepotismo ha dovuto lasciare il posto il presidente della Banca mondiale, Paul Wolfowitz. All'estero, ma in Italia è diverso. Perché i figli sono pezzi di cuore, come recita un celebre detto napoletano, e su questa strada tutto può essere compreso. Basta leggersi le considerazioni sul caso fatte da tutti gli esponenti politici ieri contattati da ItaliaOggi, nel centrosinistra dove la prudenza è assai comprensibile, ma anche e soprattutto nel centrodestra dove nemmeno uno solleva il dubbio di un conflitto di interessi. Giuseppe Vegas cita la massima di Indro Montanelli, secondo cui l'Italia «è un paese non solo di padri e figli, ma anche di zii e di nipoti». E aggiunge «E' normale che ognuno cerchi di piazzare i propri figli. Non esiste nessun problema politico morale». Un ex viceministro dell'Economia autorevole esponente di Alleanza Nazionale come Mario Baldassarri, si spinge più in là: «Il cognome non deve contare nel bene nel male», e ricorda analoghe polemiche che lo avevano coinvolto quando il figlio Pierfrancesco fu assunto dalla Sogin «Io non feci nulla. Neppure lo sapevo. Lui aveva tutto il diritto di avere quell'incarico». Ci siamo fermati lì perchè temevamo di non avere abbastanza pagine per raccontare storie di figli eccellenti assunti sempre all'insaputa dei padri proprio in posti dove i loro padri erano assai influenti. Forse in una parte d'Italia, in un tempo che ormai non c'è più qualche padre così ignaro avrebbe impedito al figlio la carriera proprio lì. Ma quell'Italia non c'è più, e quella che resta emerge ogni tanto solo grazie alla caparbietà di qualche cronista che ancora ha passione per le notizie o - più facilmente- dalle intercettazioni telefoniche che qualche magistrato offre in pasto all'opinione pubblica. Così bisogna rassegnarsi alle amanti che trovano (sempre per loro capacità) una qualche particina in Rai, ai parenti del potente di turno assunti in questa o quella azienda pubblica. Che tristezza questi padri, mariti, zii, amanti così impotenti. Che possono nominare questo o quel manager pubblico, ma non evitare che quello poi offra un contrattino o un contrattone al figlio, alla moglie, al nipote, all'amante... Non c'è nulla di illegale, figuriamoci. Ma è lì che si intravede il vero declino di un paese, la sua impossibilità di rinnovare classe dirigente. L'Italia resta una nazione feudale.

UN BAMBOCCIONE A SVILUPPO ITALIA/2- La difesa (e qualche minaccia) di chi ha assunto Visco jr

Egregio direttore, ci sono alcuni elementi, relativi agli articoli apparsi sul suo giornale e inerenti all'assunzione del dott. Gabriele Visco da parte dell'Agenzia che meritano una precisazione. E' sicuramente disdicevole che ci sia stato chi, interrogato dal suo giornalista - che faceva il proprio lavoro, quello di cercare conferme ad una notizia avuta – ha invitato il cronista a parlare con i sindacati “che di solito queste cose le sanno”. Questo è un comportamento intollerabile da parte di una società pubblica. Nei confronti di chi lo ha assunto si stanno prendendo gli opportuni provvedimenti. Quanto alla trasparenza di cui lei lamenta la carenza nella nostra Agenzia, vale la pena ricordare che sul nostro sito figura l'elenco di tutte le consulenze, comprese quelle che non sono state rinnovate, (che è facile accorgersi essere più numerose) tant'è che ritengo da quella fonte abbiate appreso alcune delle dettagliate notizie riportate nell'articolo. Nulla può esserci di segreto, e nulla infatti di segreto vi è, in una società con oltre mille dipendenti in cui, come ha avuto modo di verificare, anche i centralinisti sono edotti di posizioni e ruoli, pure apicali. Sarebbe oltremodo grave, mi permetta un commento, vista l'eredità che abbiamo ricevuto, condannare per l'ennesima volta quest'azienda a reiterare comportamenti che nulla hanno a che fare con la sua natura, i suoi obiettivi e la sua attualità. Non abbiamo scheletri negli armadi, salvo quelli che non abbiamo ancora scoperto, ma persone che lavorano nelle stanze e nei corridoi con l'etichetta nominativa ben in vista su ogni porta. Persone che finalmente si sottopongono ogni giorno al giudizio, anche impietoso, dell'opinione pubblica e della stampa. E infine un commento sul protagonista suo malgrado dei suoi articoli. Il suo curriculum, la sua esperienza professionale, il coraggio di essersi assunto l'onere di un cambiamento così radicale - e, perché no, una mole di allusioni e provocazioni - credo valgano di più del suo cognome. Almeno questa è la mia opinione, quella di un capo azienda chiamato a risanare una situazione disastrosa che ha non solo il diritto, ma soprattutto la necessità di avvalersi di un gruppo di collaboratori coeso e consolidato negli anni. Cordiali saluti Domenico Arcuri* * amministratore delegato dell' Agenzia Per l'Attrazione degli investimenti e lo Sviluppo di Impresa (già Sviluppo Italia spa) Risponde Franco Bechis. Ai lettori una premessa doverosa per comprendere la lettera di Domenico Arcuri. Gabriele Visco, ex dirigente Telecom, dopo un certo periodo di rodaggio come consulente di Sviluppo Italia (per 46 mila euro da luglio a settembre) è stato assunto dallo stesso Arcuri come dirigente. Abbiamo raccontato anche qualche difficoltà nel verificare la notizia, che oggi viene autorevolmente confermata da questa lettera. Gabriele Visco è uno dei due figli del viceministro dell'Economia Vincenzo Visco. Sviluppo Italia, per quanto ribattezzata, resta una società controllata al 100 per cento dal ministero dell'Economia, come documenta il grafico sulle partecipazioni che si può trovare sulla home page del sito Internet dello stesso ministero. Sono felice che finalmente un amministratore di una società pubblica dimostri interesse per la trasparenza. Vorrei anche credergli fino in fondo, ma ho qualche dubbio per il tono minaccioso che traspare dalla lettera quando si annuncia la caccia alla fonte che avrebbe divulgato a Italia Oggi la notizia. Scusi, se l'informazione era sacrosanta, che le importa chi l'abbia data? Ha fatto solo il suo dovere...

UN BAMBOCCIONE A SVILUPPO ITALIA/1- Lo strano caso dell'assunzione del figlio di Vincenzo Visco

Alla fine ce l'ha fatta. Domenico Arcuri, il dinamico amministratore delegato di Sviluppo Italia (da qualche mese ribattezzata Agenzia), è riuscito a portare a lavorare con sé come dirigente il giovane e bravo Gabriele Visco. Per alcuni mesi nell'estate scorsa l'aveva chiamato come consulente (per 46 mila euro da luglio a settembre), poi il rapporto si era interrotto, rischiando di reinserire il manager in quell'esercito di bamboccioni mal sopportati dal ministro dell'economia Tommaso Padoa-Schioppa. Un rischio per fortuna scongiurato: ci sarà un bamboccione in meno. Anche se non troppo lontano da casa: Gabriele è il figlio di Vincenzo Visco. Sviluppo Italia è controllata al 100% dal ministero dell'economia (...) Formalmente non scatta il conflitto di interessi, perché se l'azionista unico di Sviluppo Italia è lo stesso ministero di cui papà Visco è viceministro, la delega sugli indirizzi di gestione spetta al ministro dello Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, che a sua volta ha affidato l'incarico al suo viceministro, Sergio D'Antoni. Sicuramente Gabriele Visco avrà le caratteristiche professionali necessarie all'incarico, e già dopo le prime polemiche sulla consulenza affidata Arcuri aveva spiegato di conoscere personalmente il giovane manager e di averne potuto apprezzare le qualità in passato quando si erano incontrati ognuno dei due lavorando per un'azienda privata. Ma certo non ci sono stati megafoni ad amplificare una notizia che qualche rilievo politico o per lo meno di costume, sembra avere. L'avrebbe in qualsiasi paese del mondo. Per noi è stato difficile se non quasi impossibile verificarla nell'ultima settimana, anche se l'avevamo appresa casualmente da fonte assai qualificata. Stefano Sansonetti, il giornalista di Italia Oggi che da settimane conduceva un'inchiesta sulle consulenze dello Stato e delle società controllate e sulla scarsa trasparenza che ancora le circonda, ha provato a percorrere la strada maestra, telefonando direttamente alla società. L'ufficio stampa ha sostenuto di non potere essere utile, non avendo possibilità di verificare questo tipo di informazioni. E si è dovuto aggirare in una selva di no comment, di mezze ammissioni, di affermazioni “non ufficiali”, perfino invitato a rivolgersi ai sindacati “che di solito queste cose le sanno”. Non male per chi è tenuto dalla legge alla più assoluta trasparenza. Ma d'altra parte anche sulle consulenze Sviluppo Italia comunica un po' quel che vuole. Qualcosa ha messo sul proprio sito Internet- come dice la legge- la capogruppo, molte società controllate e quasi tutte le società regionali invece rimandano a un chiarimento interpretativo sulle norme stabilite dalla finanziaria del 2007 su cui evidentemente non è riuscito in più di un anno a fornire lumi il ministero dell'Economia. Alla fine sono stati assai più utili e trasparenti in questi giorni i vari centralinisti di Sviluppo Italia, che non solo hanno provato inutilmente a passare Gabriele Visco al telefono (non c'era come la maggiore parte dei dirigenti del gruppo), ma alla bisogna hanno fornito l'interno e perfino la qualifica in azienda come riportata sul loro elenco telefonico aziendale. Se si basa sulla predisposizione dei centralinisti la trasparenza tanto vantata dal governo e dalla pubblica amministrazione, temo che le polemiche sulla casta e le successive promesse di cambiamento abbiano prodotto risultati assai scarsi. Basta leggersi le tre pagine di inchiesta che oggi pubblichiamo su cosa avviene negli Stati Uniti nel cuore della campagna elettorale per le presidenziali che stanotte ha avuto il suo primo significativo test nello Iowa. Mentre qui bisogna arrangiarsi alla meglio per strappare qualche notizia, negli Usa ogni minimo particolare del presidente in carica, del suo staff, dei suoi familiari, dei candidati alla successione con relativo staff e famiglia e in pari modo di ogni membro del congresso è esposto al pubblico non volontariamente, ma in base a una legge federale. Non solo: tutto è verificato da una apposita commissione indipendente (la Fec) che rende immediatamente pubblici i risultati dell'esame. George W. Bush è stato costretto a dichiarare di avere ricevuto dal cantante Bono in regalo un banale Ipod così come ogni movimento finanziario (acquisto o vendita di azioni) compiuto da lui e da membri della sua famiglia. La senatrice Hillary Clinton è tenuta a pubblicare i nomi di tutti gli esponenti del suo staff che, recandosi in un qualunque posto dell'America per tenere una conferenza hanno ricevuto gratuitamente un passaggio aereo. Ogni tre mesi viene aggiornata anche questa lista, con l'indicazione di chi ha usufruito del piccolo benefit, del valore economico dello stesso, con tanto di nome del benefattore. Qualsiasi membro del congresso americano, oltre a tutti i movimenti finanziari che direttamente o indirettamente lo riguardano, è obbligato a rendere pubbliche tutte le linee di credito concesse. Perfino se si tratta di una carta di credito rateale. Prima, durante e dopo le elezioni...

CHE DISASTRO CALABRESE TESTIMONIAL! Il 26 fa lo spot pro Kenya sul Tg1 e il paese sprofonda nella guerra civile...

Gianni Riotta l'aveva scelto come testimonial sul Tg1 per non scoraggiare gli italiani vacanzieri in Kenya. Così il 26 dicembre scorso, subito dopo la notizia sull'uccisione a pochi km da Malindi dell'animatore torinese Andrea Pace durante una rapina, il primo telegiornale italiano si è collegato per telefono con Pietro Calabrese, ex direttore di Panorama. Pronto, come molti vip italiani, a festeggiare in Kenya il Capodanno 2008. E lo spot sembrava riuscito: "Vengo a Malindi", ha raccontato Calabrese quella sera, "da tanti anni. E' un posto dove i rischi che si corrono sono certamente inferiori ai rischi che si corrono in una qualunque grande città italiana". Nemmeno otto ore dopo l'infausto spot di Calabrese il Kenya è precipitato nella guerra civile. Città messe a ferro e fuoco, centinaia di vittime civili, una chiesa bruciata con numerosi bambini periti nell'incendio. E la Farnesina, che già il 27 mattina aveva messo in guardia i turisti italiani dalla recrudescenza della criminalità comune, che ora consiglia a tutti di non partire per il Kenya, preparandosi ad organizzare il rimpatrio dei 3 mila italiani lì in vacanza. Compreso il serafico e sfortunato Calabrese...

GESUALDI IN FILA PER IL DOPO SACCA'

L'unico dubbio è che avvenga con un braccio di ferro fra legali o attraverso un accordo consensuale e relativo pagamento di buonuscita, ma il divorzio fra la Rai di Claudio Petruccioli e il direttore di Rai fiction Agostino Saccà è ormai scontato. Tanto che si stanno scaldando i muscoli numerosi pretendenti. Molti all'interno dell'azienda, dove si esclude la possibilità di un nuovo interim al vicedirettore generale, Giancarlo Leone (da sempre critico su Saccà). Ma la candidatura più accreditata è esterna: si tratta dell'attuale segretario generale della Regione Lazio, Francesco Gesualdi, che prima di intraprendere la carriera di burocrate pubblico, è stato lunghi anni al vertice del gruppo Cinecittà. Prima come assistente di Luigi Abete, poi per cinque anni consigliere di amministrazione e membro del comitato esecutivo di Cinecittà spa e per più di 4 anni anche come direttore generale di Cinecittà holding e presidente di Cinecittà cinema. Gesualdi, che ha presieduto anche Mediaport spa e Globalmedia srl (secondo gruppo italiano di multiplex) e dal luglio scorso è diventato membro del comitato di direzione di Romafictionfest, ha dalla sua una discreta militanza nel centrosinistra e buoni rapporti con alcuni autorevoli esponenti del centrodestra, in testa Gianni Letta. Ma sopratutto non va più d'accordo con il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, che farebbe qualsiasi cosa pur di mandarlo a Rai fiction...

DIVENTANO UN BUSINESS I BAMBOCCIONI DI TPS

Dopo mesi, in un'intervista al Corriere della Sera, il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa Schioppa, ha fatto una mezza retromarcia sulla sua infelice battuta di inizio autunno sui "bamboccioni" che se ne restano troppo lungo a casa, a pesare sulle finanze familiari. Tps ora sostiene di pensare positivo sui giovani, e che quella battuta fu male interpretata e strumentalizzata. Eppure, proprio alla vigilia della retromarcia del ministro, Roma è stata tappezzata di manifesti di una campagna che rigirava a fini pubblicitari la scivolata del ministro dell'Economia. Per Confalone, azienda di arreddamento, i bamboccioni sono infatti diventati un business. E a loro, cacciati di casa da Tps, vengono offerti comodi divani al 50% del prezzo di listino su cui poltrire in una nuova casa. Svendita speciale per bamboccioni, per un'Italia sempre più in declino...

AUGURI A TUTTI, E UNA CURIOSITA'

Ringraziando chi li ha fatti direttamente o su questo sito, auguri di cuore a tutti. Quelli inviati per Natale via sms contenevano una frase di Rainer Maria Rilke, uno dei miei autori preferiti. Un verso di una poesia, Annunciazione: "So kam ich vollendete/dir tausendeinen Traum./ Gott sah mich an: er blendete.../Du aber bist der Baum" (Sono venuto a compiere/la visione Santa./Dio mi guarda, mi abbacina.../ Ma tu, tu sei la Pianta"). Buone feste a tutti. E una curiosità: sono stato a Torino, dove sono nato. E ho dato una sbirciata alle foto tenute in solaio da mio nonno e recuperate da mia madre. Alcune sono piene di storia non solo familiare. Una mi ha incuriosito più di altre. Ed è questo autografo strappato da mio nonno materno, Aldo Colombo, a Parigi nel 1927. Non riesco a decifrare bene la firma: il nome è Renato, il cognome sembra Nirvana, Niwana o simile. Vestito da Lawrence d'Arabia come è, sarà stato un attore dell'epoca, e probabilmente il nome è d'arte. Chissà se si riesce a rintracciarne l'identità... Magari, chi passa di qui, può essere utile... PS. Fino al 30 sarò a Barcellona, spero di potere inviare qualche post di lì...

Da Italia Oggi in edicola/ BERLUSCONI AL TELEFONO NON HA DIRITTO ALLA PRIVACY

Silvio Berlusconi ha presentato al garante della privacy, Franco Pizzetti, un esposto contestando la pubblicazione su un sito internet del gruppo Espresso della registrazione audio di una sua telefonata con il direttore di Rai fiction, Agostino Saccà, risalente a poco più di un mese fa. Si tratta del colloquio, in parte già noto, in cui il leader dell'allora Forza Italia raccomandava al dirigente della tv di stato due attrici per una particina. Nella telefonata, che ItaliaOggi pubblica integralmente alle pagine 4 e 5, Berlusconi si lascia andare a considerazioni pesanti sui consiglieri di amministrazione Rai della Cdl e si crogiola nelle adulazioni di Saccà: «Mi scambiano per il Papa», dice gongolante. Nella telefonata oltre a raccomandare la messa in onda di una fiction su Federico Barbarossa che sta tanto a cuore di Umberto Bossi, Berlusconi chiede a Saccà di ricevere due attrici. Esordisce andando al sodo: «Allora ascoltami». Saccà, che è abbastanza furbo da capire che quella visita della Guardia di finanza nel suo ufficio qualche giorno prima porta qualche conseguenza (ad esempio quella di avere il telefono sotto controllo), risponde: «Lei è l’unica persona che non mi ha chiesto mai niente ... voglio dire ...». A Berlusconi, assai meno guardingo, devono tornare in mente le immagini estive, lui a Villa Certosa con cinque splendide fanciulle sulle ginocchia. E si bea con Saccà: « Io qualche volta di donne ... e ti chiedo ... perché ..». Il povero direttore di Rai Fiction, che non sa come fargli capire di avere il telefono sotto controllo, riprova: « Sì, ma mai...». Lo sventurato Berlusconi, ormai dimentico dell’esordio della telefonata in cui spiegava che la gente lo venera come il Papa, si cala nel nuovo look da superuomo, che va in giro con una t-shirt a due gradi sotto zero e con uno sguardo fa cadere ai suoi piedi mille femmine: «Io qualche volta di donne... e ti chiedo... perché... per sollevare il morale del capo...». Inutile il disperato, eroico tentativo di Saccà di allontanare quelle parole dell’appuntato in ascolto: « Eh, esatto, voglio dire ... ma, mi ha lasciato una libertà culturale di ... ideale totale .. voglio dire .. totale .. e questo lo sanno tutti » Fin qui il testo della telefonata più celebre dell’anno. Innocua forse dal punto di vista penale (se poggia solo su queste parole l’accusa di corruzione, Berlusconi ha ben poco di cui preoccuparsi), ma non inutile a descrivere ambienti, personaggi e costumi. Ha fondamento in questi come in altri casi il lamento del Cavaliere nei confronti di una magistratura così curiosa sopra e sotto le lenzuola della vita di un solo politico italiano. Basta andare a rileggere il diario di Paolo Murialdi che fu consigliere di amministrazione della Rai fra il 1993 e il 1994 per avere persone, fatti e addirittura date di analoghi comportamenti da parte di autorevoli esponenti del centrosinistra. Pressioni e interventi sulla gestione, sulla scelta dei direttori e dei conduttori tv vennero perfino da Claudio Petruccioli, che oggi finge di indignarsi da presidente Rai e allora- da politico- chiedeva o intimava. Vera questa storia dei due pesi e delle due misure, ma è talmente scoperta ed evidente che si trasforma in forza politica per Berlusconi: per gran parte d’Italia lui è sempre vittima. Detto questo, il ricorso al Garante della privacy appare fuori luogo. Porterà magari a un nuovo editto come quello che fu emanato ai tempi di Silvio Sircana e se così non fosse, finirebbe tritato dalle polemiche il povero Pizzetti, colpevole nel caso dei soliti due pesi e due misure. Scrisse all’epoca Mario Cervi sulla prima pagina de Il Giornale: «Per i personaggi pubblici, gratificati da mille privilegi, il diritto alla privacy deve ritenersi secondo molti - me incluso – attenuato fin quasi a scomparire. È troppo comodo crogiolarsi nel bozzolo dorato dei vip e poi rivendicare l’oscurità dei signori nessuno». Valeva per i Sircana o per i Piero Fassino, Nicola Latorre e Massimo D’Alema pizzicati al telefono con Giovanni Consorte, vale anche per Berlusconi. Che cosa dovrebbe essere protetto dalla privacy? Il fatto che un leader politico- per altro proprietario di tre tv- chieda a un dirigente di un’azienda mantenuta dal canone pagato da tutti gli italiani di produrre una fiction che sta tanto a cuore di Bossi, e di pagare una comparsata in telenovela a qualche bella donna che «tira su il morale del capo» o che è utile per convincere un senatore della maggioranza a passare dalla sua parte? Questi non sono fatti privati, ma pubblici. Come deve essere pubblico ogni aspetto della vita privata di chi si candida alla guida di un Paese. E’ così in Francia, in Gran Bretagna, in Olanda, in Spagna, negli Stati Uniti in cui fior di politici- ministri e presidenti in carica- hanno dovuto affrontare fatti per così dire privati in pubblico, giocandosi o meno la carriera. Sono gli elettori che poi sanno digerire o meno quelle rivelazioni. Ma a quel giudizio in democrazia bisogna sottoporsi...

ALITALIA, E' NATO IL GOVERNO CROZZA

Il governo di Romano Prodi ha chiesto a quello francese di spingere Air France a mettersi d'accordo con Air One e Banca Intesa presentando una proposta comune sull'acquisto di Alitalia. Che su richiesta di Walter Veltroni o di Maurizio Crozza (non è ancora chiarissimo) verrà acquistata dai francesi ma anche dagli abruzzesi ma anche dalla prima banca italiana, che è lombarda. Così d'altra parte aveva chiesto il segretario del Partito democratico nella lunga intervista pubblicata martedì sulla prima pagina de Il Foglio. Un testo che ha lasciato qualche dubbio in chi leggeva: non pochi avevano infatti immaginato una beffa di Giuliano Ferrara. Perché mai il nuovo leader del Partito democratico si era calato così perfettamente nei panni della sua caricatura più nota e riuscita. Solo il Maurizio Crozza-ma-anche-Veltroni poteva rispondere così alla domanda su quale compratore- Air One-Gruppo Intesa o Air France- avrebbe preferito per Alitalia: "La cosa che mi piacerebbe di più è che le proposte di Air France e Air One si incrociassero. Per garantire la forza di un soggetto come Air France e la forza di un soggetto finanziario come banca Intesa, e al tempo stesso però il radicamento nel paese di una compagnia nazionale. Conta l'offerta che viene fatta, contano le strategie industriali, conta sapere per il paese che esito avrà la sua compagnia nazionale". Triplo salto, che nemmeno Crozza avrebbe mai immaginato: uno, ma anche il suo opposto, ma anche la via di mezzo. Un sogno, e non sorprende che esca dal politico sognatore per eccellenza. Uno che nella stessa intervista dice a proposito del mancato registro romano sulle coppie di fatto: "Alla mia domanda ai presentatori della proposta del registro sulle coppie di fatto, 'cosa cambia nella vita delle coppie di fatto di cui parliamo?', la risposta è 'Nulla, ma ha un valore simbolico'. Ecco a me piacciono le cose concrete. Mi piace dedicare una strada a un omosessuale che è stato ucciso e che è vittima dell'omofobia. Mi piacciono le cose che hanno una loro concretezza nella vita delle persone". Beh, a parte il finale grottesco di una via dedicata a un morto che ha però "concretezza nella vita delle persone", Veltroni è proprio fatto così. Un taglio di nastro, una targa commemorativa nelle sue mani restano il nulla che sono ma anche diventano tutto. Crozza ci sorride, ma quello è davvero un metodo di governo. Basta ripercorrere gli ultimi anni a Roma. Immaginarsi la città moderna, profondamente cambiata, ripulita, senza traffico descritta in questi anni dalla stampa locale. Tenersi a mente i nastri tagliati, le cerimonie ufficiali, l'agiografia di Veltroni. Fissarla nella mente, e provare ad andare in giro: sulle prime non sembrerà così, ma alla fine ci si convincerà. Un po' di realtà ma anche tanta immaginazione, e si vive tutti meglio. Se davvero Alitalia riuscirà ad andare ad Air France, ma anche ad Air One, ma anche a Banca Intesa, non resterà che arrendersi: il metodo Crozza è quello giusto, vincente. Si varerà una legge proporzionale ma anche maggioritaria, che regala tutto ai due partiti principali (Pdl e Pd): è il Vassallum. Si tiferà per la Juventus ma anche per la Roma, come ha già fatto Veltroni in questi anni. Per l'Inter, ma anche per il Milan: così finirà la violenza nel calcio. Si pagherà il canone alla Rai e anche a Mediaset, il colpo di ghigliottina ideale a tutti gli inciuci fra i due gruppi tv. Quanto al proprio credo, si andrà alla funzione il venerdì in moschea, ma anche il sabato in sinagoga, ma anche la domenica in Chiesa: un po' faticoso ma anche molto profondo, e con un bel vantaggio: dal lunedì al giovedì si potrà peccare fregandosene del Corano, ma anche del Talmud, ma anche del Vangelo. Si potranno fare coppie di fatto da sfoggiare nelle serate che contano, ma anche essere sposati per le occasioni in cui serve. Finalmente finirà il carico di lavoro che opprime tutti i tribunali: tutte le cause pendenti verrano sciolte dando ragione a uno ma anche all'altro. Crozza non lo sa, ma facendo ridere ha anche indicato a Veltroni il suo vero modello di governo per un paese. Si inizia dalla compagnia di bandiera, ma si applicherà all'intera Italia. Seppellendo sotto quel "ma anche" secoli di guerre intestine, fra guelfi e ghibellini, fra fascisti e comunisti, fra Prodi e Berlusconi...

CONSORTE ACCUSATO DI VIOLARE LA LEGGE AL TELEFONO CON FASSINO, LATORRE D'ALEMA. E dall'altro capo del telefono?

Pubblico qui il testo del reato di insider trading previsto dal testo unico della finanza. Eccolo: Art. 180 Abuso di informazioni privilegiate 1 . È punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da venti a seicento milioni di lire chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della partecipazione al capitale di una società, ovvero dell'esercizio di una funzione, anche pubblica, di una professione o di un ufficio: a) acquista, vende o compie altre operazioni, anche per interposta persona, su strumenti finanziari avvalendosi delle informazioni medesime; b) senza giustificato motivo, dà comunicazione delle informazioni, ovvero consiglia ad altri, sulla base di esse, il compimento di taluna delle operazione indicate nella lettera a). 2 . Con la stessa pena è altresì punito chiunque, avendo ottenuto, direttamente o indirettamente, informazioni privilegiate dai soggetti indicati nel comma 1, compie taluno dei fatti descritti nella lettera a) del medesimo comma. 3 . Ai fini dell'applicazione delle disposizioni dei commi 1 e 2, per informazione privilegiata si intende un'informazione specifica di contenuto determinato, di cui il pubblico non dispone, concernente strumenti finanziari o emittenti di strumenti finanziari, che, se resa pubblica, sarebbe idonea a influenzare sensibilmente il prezzo. Questa ipotesi di reato è stata contestata dalla procura di Milano all’ex presidente di Unipol, Giovanni Consorte. Per avere comunicato notizie riservate, in grado di incidere sull’andamento dei titoli coinvolti, ad alcuni interlocutori al telefono: Piero Fassino e Nicola Latorre, che durante una di queste telefonate passa il suo cellulare a Massimo D’Alema, cui Consorte offre altri particolari della scalata Unipol a Bnl. Se la procura contesta questo reato significa che Clementina Forleo non era poi così sola quando scriveva la richiesta di utilizzo di quelle intercettazioni alle Camere. Ma sarebbe curioso che la stessa ipotesi di reato non venga contestata a quegli interlocutori al telefono. Se è colpevole Consorte infatti, potrebbero esserlo anche i suoi interlocutori, messi nelle condizioni di sfruttare a proprio vantaggio o vantaggio di terzi quelle informazioni riservate. Per appurarlo- come accadrebbe a qualsiasi altri cittadino- bisognerebbe iscrivere nel registro degli indagati Fassino, Latorre e D’Alema, fare le relative indagini e magari scoprire che il reato non è mai esistito, avendo tenuto ognuno per sé quelle informazioni privilegiate. Per escludere questa ovvia ipotesi di reato bisognerebbe avere già indagato, e avere raccolto le prove dell’innocenza dei tre politici Ds. Che quindi sarebbero indagati da tempo. La terza ipotesi non si può nemmeno prendere in considerazione: che a Milano ci siano magistrati in grado di concedere un’immunità di principio a Fassino, Latorre e D’Alema. Pm che più o meno procedano così: “Ma no, quei tre sono persone per bene. Non possono avere nemmeno per ipotesi utilizzato a proprio vantaggio quelle informazioni riservate che contestiamo a Consorte di avere loro rivelato. Né a vantaggio loro, né a vantaggio del loro partito, di un banchiere o imprenditore amico successivamente raggiunto al telefono… Indagare su questo? Sarebbe come mettere in discussione la verginità della Madonna”. Sono certo che un magistrato così non esista né a Milano né in un’altra qualsiasi procura di Italia Quindi per l’insider trading di Unipol sono certamente indagati tutti e tre i politici diessini. E certamente tutti e tre sapranno dare prova della propria innocenza…

PECORARO SCANIO, IL PORTOGHESE SUI MEZZI DELLE FIAMME GIALLE

Che cosa emerge se si opera un confronto reale fra quanti passaggi più o meno istituzionali abbia chiesto alla Guardia di Finanza il governo di Silvio Berlusconi rispetto a quello di Romano Prodi? Che il centrosinistra si trova più a suo agio in mare e sembra avere più paura di volare rispetto al centro destra. Perchè alla Finanza entrambi i governi hanno chiesto circa tre passaggi al mese, senza particolari variazioni. In 59 mesi infatti 19 membri del governo Berlusconi hanno chiesto 200 passaggi alle Fiamme Gialle. Di questi 117 sono avvenuto in aereo o elicottero e 83 via mare. La media è 3,3 passaggi al mese. Il ritmo è rimasto più o meno identico con il governo successivo: 55 passaggi in 18 mesi, con una media di 3,05 passaggi al mese. Solo che in questo caso le Fiamme Gialle hanno dovuto imbarcare il governo 31 volte via mare e 24 volte per via aerea. Per altro i due più assidui portoghesi sui mezzi della Finanza sono entrambi ministri del governo Prodi: il titolare dell'Economia, Tommaso Padoa Schioppa, ha utilizzato barche e aerei al ritmo di 1,11 volte al mese. Al secondo posto il ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio: 0,88 passaggi al mese. Terzo posto per l'ex ministro delle attività produttive, Antonio Marzano: 0,74 passaggi al mese. Solo al quarto posto l'ex ministro dell'Economia, Giulio Tremonti: 0,64 passaggi al mese. Se si escludono dunque i titolari del ministero dell'Economia, che hanno diritto istituzionale a viaggiare in certe condizioni sui mezzi della Finanza, il re dei portoghesi sui mezzi delle Fiamme Gialle è proprio Pecoraro Scanio, che evidentemente vede nei finanzieri i suoi tassisti di fiducia...

DA ITALIA OGGI IN EDICOLA/ Berlusconi e le sue raccomandate

L'iscrizione nel registro degli indagati della procura di Napoli di Silvio Berlusconi con l'ipotesi di corruzione e soprattutto la divulgazione dei contenuti di alcune telefonate intercettate hanno improvvisamente riportato indietro di parecchio tempo il clima della politica. Con una pioggia di esposti e istanze degli indagati al ministro della giustizia Clemente Mastella (vittima peraltro in estate di analogo caso mediatico-giudiziario) e più di una pietra di inciampo al nuovo asse politico che si stava creando sull'asse fra il Cavaliere e il leader del Partito democratico, Walter Veltroni. Un caso esploso per la raccomandazione di quattro attrici in Rai da parte dell'uomo politico proprietario di tre reti tv...Sì, perché la vera domanda che nasce da quelle intercettazioni- al di là dell'eventuale rilievo penale (a prima vista assai scarso) è: ma perchè mai se a Berlusconi stava a cuore il destino professionale di questa o quell'attrice, non la raccomandava a Mediaset, dove avrebbe avuto voce in capitolo senza il rischio di scatenare polemiche politiche? Non ci fa una gran figura, proprio lui, il signor tv, il politico miliardario, a essere pizzicato come un qualsiasi portaborse mentre telefonava al dirigente Rai compiacente per piazzare la protagonista di una fiction e in qualche caso per favorire una semplice comparsata. Non solo perché proprio lui, che si vantava di pagare di tasca sua gli arredi di palazzo Chigi e la scorta per una sicurezza dovuta, alla fine scarica il piccolo piacere (personale o ad amici) sulle tasche degli italiani che pagano con il canone anche attrici e comparse. Ma semplicemente perché non lo si fa. E tanto meno dovrebbe farlo un leader politico che è stato presidente del Consiglio e l'ambizione di tornare ad esserlo. Questa premessa è doverosa per spazzare l'eccesso di lagna che sta circondando una vicenda giudiziaria probabilmente destinata a concludersi con un nulla di fatto. Perché certo non è simpatico per chi ne è vittima leggersi sulla stampa mozziconi di telefonate intercettate. Giusto invocare la privacy per i comuni cittadini italiani: è una battaglia di civiltà. Ma quella protezione degli aspetti anche personalissimi della vita privata non deve valere per nessun uomo politico, figurarsi se può essere invocata per un leader maximo come Berlusconi. Chi è parlamentare, chi orienta il voto del legislatore, chi- come il cavaliere- è stato presidente del Consiglio, ha esercitato un potere enorme sulla vita di tutti i cittadini. Varando leggi e stabilendo regole che -direttamente o indirettamente, stabiliscono che cosa sia lecito o meno fare anche nella vita privata, perfino nell'intimo, sotto le lenzuola, come si dice. Chi ha questo potere immenso e assai invadente (tanto più quando male esercitato), non può invocare per se stesso l'ombrello della privacy. Anzi: è un diritto, di chi vota e tanto più di chi non vota Berlusconi ma se lo è trovato presidente del Consiglio, conoscere i contenuti di quelle telefonate intercettate. Si tratta di mozziconi che ne stravolgono il senso? Berlusconi ha tutto il diritto di mandare a Napoli i suoi avvocati e reclamarne con urgenza il testo integrale. E il dovere poi di divulgarlo- naturalmente con tutte le spiegazioni del caso- a tutti. Queste stesse cose noi abbiamo scritto e ha invocato a gran voce la stampa cosiddetta di centrodestra, quando emerse la vicenda delle foto che ritraevano Silvio Sircana, portavoce del presidente del Consiglio, fermo in auto davanti a un transessuale in periferia di Roma. Non si poteva invocare la privacy allora, e reclamare “fuori tutta la verità”, e usare altro peso e altra misura oggi per Berlusconi. Può essere che qualcuno sulla vicenda giudiziaria abbia ricamato o voglia oggi ricamare tele politiche che ne sono estranee: ad esempio cercando di minare anche in questo modo l'asse fra Berlusconi e Veltroni. Il tentativo- se esiste- è destinato al fallimento, perché nessuno dei due sembra intenzionato a fermarsi per questo. Ma attaccare la magistratura sventolando il solito complotto delle toghe rosse non è buon inizio per questa Terza Repubblica della pacificazione generale che si vorrebbe costruire. Così come non porta lontano l'aggressione al giornalista, Giuseppe D'Avanzo, e al quotidiano, la Repubblica diretta da Ezio Mauro, che ha rivelato quelle telefonate con uno scoop davanti a cui togliersi il cappello. Le avessi avute io, non avrei esitato a darne resoconto ai lettori di Italia Oggi. Se anche quando pizzicati e se ne sarebbe fatto volentieri a meno, si affrontassero gli avvenimenti con tono pacato e molta trasparenza, i casi montati a soufflè si sgonfierebbero da . Resterebbe solo la sostanza. Ci auguriamo che dopo questa prima reazione con il pilota automatico innestato, Berlusconi sappia ricredersi, e rispettare come deve un leader politico, la libertà di stampa e l'autonomo dovere della magistratura...

SABINA GUZZANTI infiltrata speciale dietro le quinte del Cavaliere

Chi c'era dietro le quinte dell'ennesima presentazione de libro di Bruno Vespa, santificata martedì 11 dicembre a Roma da Silvio Berlusconi e Barbara Palombelli al Tempio di Adriano? Sorpresa: nascosta a fondo sala dietro i telecineoperatori, Sabina Guzzanti. Sì, proprio l'attrice-comica che tante volte ha imitato Berlusconi ed è andata lì a farsi una ripassatina. Struccata e vestita come una qualsiasi passante, la Guzzanti è passata inosservata. Solo l'occhio indiscreto della mia videocamerina l'ha colta alla sprovvista. Appena se ne è accorta la Guzzanti si è portata le mani sugli occhi per non farsi riconoscere. Lontano dalla telecamera ha preso però ad armeggiare sussurrando al bavero della sua giacca: «Ora Berlusconi si riferisce allo sciopero dei Tir...». Già, perché sul bavero la Guzzanti aveva pinzato un microfono. Con cui sembrava trasmettere a qualcun altro il Berlusconi in diretta...

BERLUSCONI, QUI LO DICO E LO DISDICO!

Qui lo dici e qui io lo disdico! Silvio Berlusconi, arrabbiato con quei partiti del centro destra troppo "frammentizzati"- come ha ripetuto martedì 11 dicembre due volte a Roma alla presentazione del libro di Bruno Vespa, ha la carica del grande innovatore. Anche linguistico...

DA ITALIA OGGI IN EDICOLA/Vince Speciale, altro schiaffo a TPS

La sentenza verrà depositata alla vigilia di Natale o nella settimana successiva, entro Capodanno. E rischia di trasformarsi nell'ennesimo capitombolo per il ministro dell'economia, Tommaso Padoa-Schioppa. Secondo quanto risulta a ItaliaOggi infatti il Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato dall'ex comandante generale della guardia di Finanza, Roberto Speciale, contro la sua epurazione dall'incarico alla fine di un lungo braccio di ferro con il viceministro dell'economia, Vincenzo Visco, e il governo. Riconoscendo eccesso di potere nella rocambolesca sostituzione, il Tar ritiene giustificata anche la domanda di risarcimento avanzata da Speciale, accolta in parte: 3 invece dei 5 milioni chiesti. Nel suo ricorso contro la destituzione il generale Speciale (tramite i suoi tre avvocati, Filippo Satta, Gianluca Esposito e Anna Romano), aveva sostenuto l'illegittimità della rimozione perché non era ricorso “alcuno dei presupposti di legge per la cessazione dal servizio”, e aveva interpretato l'atto come una sorta di sanzione disciplinare “in violazione dei fondamentali principi sul procedimento, sul contraddittorio e quindi sul diritto di difesa”. Speciale aveva insistito nel ricorso sull'argomento più evidente: se al generale si contestava una condotta illegittima, perché mai rimuovendolo lo avevano promosso alla Corte dei Conti? Scriveva infatti nel ricorso: “Il ministro accusa di slealtà e di una gestione personalistica della Gdf lo stesso soggetto in favore del quale ha disposto, in contemporanea, la nomina di consigliere della Corte dei Conti. Allora, delle due l'una: o la funzione giurisdizionale svolta dalla Corte dei Conti non ha goduto di alcuna considerazione, o l'accusa di slealtà e le altre accuse mosse sono destituite di qualsiasi fondamento”. Anche per il Tar il ragionamento non ha fatto una grinza. Come giustificata è apparsa la considerazione in base a cui veniva chiesto un maxi-risarcimento economico al governo: “la rimozione dall'incarico è ritenuta lesiva non tanto e non solo dal punto di vista economico-professionale, quanto sotto l'aspetto dell'immagine, della dignità e della onorabilità professionale”. Fin qui la battaglia di carta bollata. Già da qualche settimana peraltro stavano circolando indiscrezioni sulla possibile nuova sconfitta del ministero dell'Economia. Una disfatta, visto il fresco doppio ceffone appioppato al ministro da Tar e Consiglio di Stato dopo la maldestra sostituzione di Angelo Maria Petroni dal consiglio di amministrazione della Rai. La sentenza sul generale Speciale, pronta da tempo, ha bisogno ancora di essere limata nella stesura e per questo non verrà depositata prima che la legge finanziaria riceva la doppia benedizione finale di Camera e Senato. Un gesto di responsabilità dei giudici amministrativi che certo non dispiace al governo in questo momento. Ieri mattina, moderando i lavori di una tavola rotonda sull'outsourcing ho ascoltato una divertente tesi del viceministro dell'Economia, Sergio D'Antoni (nella foto). «Per mesi si è parlato del fattore “c” che avrebbe aiutato Romano Prodi. Forse quel fattore (chiamiamolo così, la fortuna- ndr) non funziona più. Ma ce ne è un altro che consente a questo governo di durare: il fattore “P”, quello della Provvidenza. Noi andiamo avanti grazie alla Provvidenza. Se ne è accorto anche Silvio Berlusconi, tanto è che subito dopo la fallita spallata sulla finanziaria è corso ad incontrare il segretario di Stato Tarcisio Bertone presentandogli il suo nuovo partito. La vera sfida fra noi è su quel terreno: vincerà chi è più aiutato dalla Provvidenza». Se si guarda la reazione della Chiesa al provvedimento anti-omofobia inserito dal governo nel decreto sicurezza, sembrerebbe che quel fattore “P” sia in questo momento sfavorevole a Prodi. Ma come dice un vecchio detto popolare “Aiutati che il ciel t'aiuta”. E per tornare alle brucianti sconfitte di Padoa Schioppa è proprio lì il difetto dell'esecutivo in carica. Non fa nulla per ottenere l'aiuto del cielo della terra. Anzi. Perché onestamente è un diritto dell'esecutivo- di qualsiasi governo- scegliersi uomini di fiducia. Potremmo discettare quanto si vuole sulla terzietà che dovrebbe contraddistinguere alcune cariche, ma un comandante della Guardia di Finanza, dei carabinieri o un capo della Polizia viene scelto da un governo pensando anche al rapporto fiduciario. Questo rapporto può resistere anche a un cambio di governo. Accade. Ma è accaduto anche il contrario. Stesso discorso può valere per un consigliere di amministrazione di una società pubblica, come la Rai. Non fa scandalo l'applicazione nell'uno e nell'altro caso del principio dello spoil system. Solo che a questo governo- zeppo di pasticcioni con altissima e mal riposta autostima - non basta lo spoil system. Vergognandosi di lottizzare come tutti gli altri, ha preferito gettare fango sugli uscenti: così non stava semplicemente occupando poltrone, ma compiendo un atto purificatore. Già, ma il fango è brutta materia: lo tiri addosso e magari gli schizzi rimbalzano...

IL CASO BINETTI/ QUI CASCA IL PD: SONO ANCORA COMUNISTI

Sono passate 36 ore, e Walter Veltroni non ha ancora drammaticamente preso le distanze dall'intervista di Anna Finocchiaro pubblicata su L'Unità di sabato. Eppure il capogruppo del Partito democratico ha avuto parole molto dure sul caso Binetti. Parole non diverse da quelle espresse nei confronti delle opinioni dissenzienti dai vecchi comitati centrali del Pcus. "Se se ne dovrà andare dal Pd si vedrà", esordisce la novella purgatrice Finocchiaro, e aggiunge "Vorrei che fosse chiara una cosa: il dissenso di Binetti appare anche per il modo con cui è stato espresso, così radicale da non potere essere iscritto dentro quella discussione che è in atto nel Pd e che riguarda la ricerca di una soluzione condivisa rispetto ai temi cosiddetti eticamente sensibili". Ma non basta. Aggiunge la Finocchiaro: "Non credo sia un problema solo del Pd, riguarda la democrazia. Quando si è chiamati a pronunciarsi su temi delicati, come sono quelli eticamente sensibili, si deve procedere secondo un principio condiviso: la razionalità democratica (...) A quel principio non si può derogare, è la precondizione del confronto, considerando che siamo senatori della Repubblica e non liberi pensatori...". Dunque per il nuovo Pd, come per il vecchio Pcus e tutti i regimi totalitari, la coscienza dei singoli non può derogare al (peraltro assai oscuro) "principio della razionalità democratica". A parte l'aspetto grottesco di un atteggiamento così discriminatorio nei confronti di una coscienza non allineata proprio quando si discute dei diritti delle minoranze (i gay), il caso Binetti rischia di polverizzare quanto di buono si poteva intravedere nella nascita del partito democratico. Che sembra restare nell'alveo della tradizione comunista più oscurantista.

DA ITALIA OGGI IN EDICOLA/ D'Alema, condannato speciale

Fuori gioco Clementina Forleo, si è persa nei meandri del palazzo di giustizia di Milano il faldone da inviare al Parlamento europeo per richiedere l'autorizzazione a utilizzare le intercettazioni telefoniche che riguardano Massimo D'Alema. L'invio, preannunciato dagli uffici del tribunale meneghino a fine ottobre e atteso per i primi di novembre, è stato congelato dal processo intentato prima sui media poi davanti al Csm al giudice Forleo. C'è da scommettere che con la sua uscita di scena, quel faldone non prenderà più la via di Strasburgo. Condannando lo stesso D'Alema a non liberarsi più dal sospetto e a non potere dimostrare, come avrebbe fatto qualsiasi altro cittadino, la sua innocenza. Avendo tutti potuto leggere il testo delle intercettazioni fra lo stesso D'Alema e Giovanni Consorte, resteranno in piedi tutti i dubbi che da quelle righe emergono: ci fu o meno in quella telefonata un passaggio di informazioni riservate prima che le stesse fossero a disposizione del mercato? E se, come parrebbe da quei brogliacci, il passaggio di informazioni ci fu, se ne fece uso da parte di chicchessia? Altro dubbio che resterà fissato in quei brogliacci, senza possibilità di indagine e di difesa del sospettato, sarà quello del possibile favoreggiamento. In un passaggio di quella telefonata infatti D'Alema sembrò avvisare con una certa insistenza Consorte sulle intercettazioni effettivamente in corso sulle linee telefoniche dell'ex manager di Unipol. Sospetti, dunque, e dubbi sul capo di uno dei principali leader del nuovo partito democratico, politico fra i pochi preparati, intelligenti e competenti. Un aspetto, quello di D'Alema, che rende ancora più drammatico il siluramento della Forleo. E si sommano a numerosi altri dubbi che emergono dalla terza e ultima parte dell'audizione del gip milanese davanti al Csm che oggi pubblichiamo all'interno. Cito un particolare fra tutti: proprio quando un consulente del tribunale di Milano aveva appena finito di trascrivere le telefonate intercettate, su qualche giornale ne trapelarono degli spezzoni testuali. Uno di questi non coincideva, perché il consulente della Forleo non aveva compreso la registrazione, ritenendola troppo disturbata. Appuntò «frase incomprensibile». Riascoltata più volte, era proprio come era stata compresa dai giornali che l'avevano pubblicata. Ci fu dunque una fuga non di notizie, ma di bobine. Chissà se non scattò proprio in quel modo la trappolona alla Forleo. Sarebbe interesse proprio di D'Alema prima di tutti, dare una risposta chiara a questi interrogativi, chiedere ai magistrati di procedere con le indagini e di essere interrogato. È la sola fine nobile di questa indegna vicenda...

P.S. Nel primo post la terza e conclusiva puntata dell'audizione di Clementina Forleo al Csm.