Il partito di Bersani è già vecchio. La politica deve staccare dalla Resistenza e dal risorgimento
Da un paio di mesi a questa parte Silvio Berlusconi ha un ambasciatore in più e probabilmente manco lo sa. Eppure è un fiore di ambasciatore, perché fa la spola fra la sua Perugia, dove Paolo Mancini, classe 1948, è Professore Ordinario di Sociologia delle Comunicazioni presso la Facoltà di Scienze Politiche, e Londra. Oxford University, Westminster università, London School of economics. Domani sarà al Reuter institute di Londra a fare da controparte a Carlo De Benedetti. “E mi ha chiamato già un altro conferenziere, John Loyd, credo preoccupato di riequilibrare quel che dirà l’ Ingegnere”. Conferenze, seminari, piccoli corsi universitari. Tutti su un solo tema: Berlusconi e la sua rivoluzione nella politica italiana e non solo. Ad Oxford ha appena tenuto un ciclo di seminari sul tema. Ad ottobre è stato l’ospite centrale in un lungo speciale della tv moscovita in lingua inglese (vista in tutto il mondo), Rt, dal titolo “Lo strano caso di Silvio Berlusconi”. Lo ha difeso con garbo e moderazione, anche sui temi più scivolosi, come la vicenda escort spiegando che questo in Italia è un problema per l’opinione pubblica e le gerarchie cattoliche, non per l’opinione pubblica in generale: perché semmai la maggiore parte degli italiani, ma anche dei russi, degli inglesi, dei francesi o degli spagnoli, vorrebbe essere al posto di Berlusconi Ed è curioso, perché il professore Mancini non è un tifoso del cavaliere. Anzi: in università raccontano venga dalle radici socialiste e sia un moderato di sinistra. Però studia, come racconta lui stesso a Libero il fenomeno politico del cavaliere. E lo esporta come materia davanti agli studenti britannici, spiegando come il modello Berlusconi, seguito da quello Blair e da quello Obama sia soprattutto una rivoluzione nel modo di fare politica e abbia travolto i partiti tradizionali su una via senza ritorno. “Vero”, spiega Mancini, “all’estero c’è un grande interesse verso il fenomeno politico Berlusconi. Ad Oxford il titolo del seminario che ho tenuto era “Behind of the common sense”, cioè al di là del senso comune. E infatti secondo me con il premier italiano c’è qualcosa di molto più importante del senso comune: ed è il mutamento radicale delle forme della politica”. Con lui, sostiene il professore perugino (che invero è nato a Foligno) si segna “la fine dei partiti tradizionali di massa, nel bene e nel male. Con Berlusconi ha preso una strada, con altri che sono seguiti ne ha preso diverse. Ma da lì è finito il modello del partito ideologico di massa”. Eppure quel modello in Italia è ancora forte, e vi pianta le sue radici anche il Pd di Pierluigi Bersani: “Non voglio attaccare dicendo questo”, si schermisce Mancini, “il nuovo partito della sinistra italiana., ma è certo che non avrà più spazio nelle forme che hanno ormai preso la democrazia e la politica. Forme che Berlusconi ha appunto riempito dei suoi contenuti e che Obama ha riempito di contenuti assai diversi. Ma non ha più futuro una forma ideologica di partito”. E cosa saranno allora i partiti del dopo Berlusconi? “Il fatto”, spiega Mancini, “è che ognuno vuole ritrovare se stesso, con la propria vita di ogni giorno, molto pragmatica, nella forma di un partito. Il valore ideologico c’è sempre di meno, è destinato a spegnersi”. Cioè? “Sono a Perugia, la famiglia di mia moglie viene dalle radici più consolidate della sinistra cattolica. Ma quando loro e quelli della loro generazione avranno terminato l’esperienza della resistenza, quando quella generazione sarà scomparsa, si porterà via con sé quelle radici. Mio figlio ad esempio vive una esperienza totalmente diversa, c’è poco da fare. Quei partiti, nonostante sforzi come quello di Bersani, sono assolutamente destinati a scomparire. Sopravviverà nell’area solo qualche esperienza totalmente diversa, pensi a cosa è stato ad esempio il Labour di Tony Blair…”
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