Giovanni Conso non è solo uno
dei più importanti giuristi viventi (forse il più grande esperto di procedura
penale), è anche un’icona vivente della storia d’Italia. Un’icona di
quell’Italia che si considera perbene, migliore. Ha guidato il Csm, è stato
voluto a quella Corte Costituzionale di cui è ancora presidente emerito da
Sandro Pertini. E’ stato il simbolo del governo del Presidente quando al
Quirinale regnava Oscar Luigi Scalfaro, che lo impose a Giuliano Amato come
ministro della Giustizia in sostituzione di Claudio Martelli e poi a Carlo
Azeglio Ciampi nel governo di emergenza che sarebbe seguito. E’ cattolico, ma
era considerato di area repubblicana e per questo amato e idolatrato anche da
chi proveniva dalle altre aree culturali del Cln, quella azionista e quella
comunista. Per questo Conso è la madonnina ideale, il santino perfetto di
quella armata che in queste settimane si è coalizzata contro Silvio Berlusconi.
E invece proprio uno così, che ogni 12 febbraio da 30 anni si reca al Csm per
commemorare Vittorio Bachelet (ogni tanto si vede pure Rosy Bindi, che fu sua
assistente), giovedì 11 novembre ha tirato uno scherzetto da prete a tutta la
banda. Conso si è presentato davanti alla commissione antimafia guidata da
Beppe Pisanu e raccontato perché nel novembre 1993 non fu rinnovato il regime
di carcere duro (il 41 bis dell’ordinamento penitenziario) a ben 140 detenuti
mafiosi nel carcere dell’Ucciardone. Attenti, perché quel fatto è un po’ il
pilastro della riscrittura della storia di Italia che stanno compiendo da
qualche anno le procure di Palermo e Firenze (che indagano su stragi e
attentati del 1992- 1993). E’ il cuore del teorema giudiziario base, che
partendo da rivelazioni di pentiti come Gaspare Spatuzza e dai celebri papelli
di Vito Ciancimino custoditi dal figlio Massimo, ipotizza che Silvio Berlusconi
prima di trasformarsi in politico avesse stretto un patto di sangue con i
vertici di Cosa Nostra. Per farlo avrebbe utilizzato Marcello Dell’Utri, un po’
di servizi più o meno deviati, dirigenti dell’amministrazione come Nicolò Amato
e il co-fondatore dei Ros, Mario Mori. Il patto prevedeva da una parte
l’abbandono di Cosa Nostra della opzione stragista e dall’altra la concessione
ai boss di un regime carcerario meno duro. Questo è il centro delle tesi
giudiziarie che percorrono mezza Italia e che avevano trovato una sponda non da
poco perfino nell’ultima relazione della commissione antimafia scritta da
Pisanu. Conso giovedìn scorso si è presentato lì e con la soavità di un santino
vivente a cui nessuno osa replicare, ha distrutto in un colpo solo l’intera
operazione politico-giudiziaria in corso. “Trattativa?Ricatto?”, si è stupito
l’ex guardasigilli di Ciampi, “ Per quanto riguarda il sottoscritto e posso
garantirlo sotto ogni forma di giuramento che non c’è mai stato il più lontano-
da parte mia- barlume di trattativa. In via di principio non avrei mai trattato
con nessuno di questi appartenenti a questa parte anti-Stato”. E allora chi ha
deciso di non prorogare quel 41-bis ai boss di Palermo? “Io, me ne assumo tutta
la responsabilità”, ha spiegato senza esitazioni Conso. E perché? “Per vedere
di frenare la minaccia di altre stragi…L’arresto di Totò Riina (avvenuto nel
gennaio 1993, ndr) che era il capo indiscusso e di altri suoi accoliti, ha
avuto un ruolo determinante nel cambiare un po’ le strategie della stessa
mafia. Con il capo della mafia in carcere il potere è passato al suo vice, che
aveva una visione diversa, molto economica. Aveva dichiarato, rivolgendosi ai
suoi: “Io nell’assumere questo incarico direi che la mafia deve puntare
sull’aspetto economico. La sua potenza va dimostrata non facendo stragi, ma
utilizzando il suo fascino, il suo peso, sul piano economico. Invadendo appunto
i settori economici. Quindi un cambiamento di strategia che allontanava dalle
stragi… Io, in assoluta solitudine, avevo preso questa determinazione, magari
rischiando…. Sperando in bene… E’ andata bene”.
Conso ha spiegato di essere
pronto anche sotto qualsiasi forma di giuramento a escludere di avere mai fatto
cenno di questa sua scelta né a collaboratori né a vertici di polizia. Non lo
disse nemmeno ai suoi colleghi di governo “altrimenti il giorno dopo sarebbe
finito tutto sui giornali”.
Una deposizione- quella di
Conso- dunque micidiale per chiunque avesse sposato le tesi della trattativa
fra Stato e mafia e dei possibili complotti bersluconiani. L’audizione è stata
una mazzata per i magistrati di Palermo e Firenze e per le due gazzette che più
di altre avevano soffiato sul fuoco delle loro tesi: il Fatto quotidiano di
Marco Travaglio e la Repubblica di Giuseppe D’Avanzo (le firme che più si erano
esposte). Si trovano di fronte alla verità di una loro icona, e non possono sparare
come di solito si fa sulla credibilità personale del testimone. Hanno accusato
il colpo e da qualche giorno provano a metterci una toppa. Prima sottolineando
l’anziana età di Conso (88 anni, ma è lucidissimo). Poi l’incongruenza di parte
della sua ricostruzione: il vice di Riina è ricordato come Bernardo Provenzano,
ma all’epoca la stampa aveva dato per morto il boss. Non è vero: ci sono ampie
cronache di Repubblica che lo identificano come successore di Riina, anche dopo
la pubblicazione in dieci righe di una misteriosa deposizione a Palermo di
teste che sarebbe stato a conoscenza della morte di Provenzano (non gli avevano
creduto né magistrati né giornalisti). Infine ecco spuntare nuovi documenti in
grado di smentire la ricostruzione di Conso, come un verbale del Dap del 12
febbraio 1993 in
cui si fece riferimento alla possibilità di attenuare il 41bis. Quel 12
febbraio Conso era al Csm come privato cittadino. Da lì venne tirato fuori da
Scalfaro e Amato che poche ore dopo lo fecero giurare come nuovo guardasigilli.
Quindi quell’appunto del Dap- se vero- poteva essergli del tutto oscuro.
L’estensore- Nicolò Amato- per altro fu sollevato dall’incarico a giugno perché
troppo garantista (lo era stato tutta la vita) per decisione di Scalfaro,
Nicola Mancino e dello stesso Conso. A novembre quando quel 41bis non fu
rinnovato per i 140 boss dell’Ucciardone, quasi nessuno dei presunti
protagonisti della trattativa fra Stato e Mafia era più in carica. La verità di
Conso dunque è difficile da picconare. Anche se costringe a gettare a mare anni
di teoremi giudiziari che ora poggiano sul nulla.
1 commento:
anche se fosse un iniziativa presa da solo da Conso ( ma io non ci credo) è un fatto gravissimo: di fatto Lo Stato si è calato le braghe di fronte alla mafia
Le stragi, lo stop di Conso al 41 bis sullo sfondo della trattativa tra Stato e mafia
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