La bomba è stata gettata quasi in assoluto silenzio dal presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, durante l’audizione di martedì sulla manovra alle commissioni bilancio riunite di Camera e Senato. “a proposito del contributo al risanamento dei conti pubblici da darsi senza pregiudiziali esclusioni”- ha sussurrato Giampaolino- “deve esseer consentito alla Corte di richiamare la doverosità, oltre che l’opportunità, che venga portato a compimento il troppo lungo processo di riscossione del residuo tuttora dovuto dai condonati del 2002-2003”. Non si tratta di una somma banale. La stesa Corte dei conti in una sua lunga indagine effettuata nel 2008 insieme al dipartimento politiche fiscali del ministero dell’Economia e alla Agenzia delle Entrate, aveva scoperto che dei 26 miliardi di euro di sanatoria dichiarata da chi aveva aderito al condono, ne mancavano all’appello ben 5,2 miliardi. Cosa era accaduto? Che una parte consistente dei contribuenti – persone fisiche e società- che aderirono ai due condoni tombali varati all’epoca da Giulio Tremonti, si limitarono a pagare la prima rata del dovuto non versando più nulla. Una doppia fregatura allo Stato, perché grazie a quel primo gesto il condono era valido e quindi non si poteva più perseguire chi aveva versato quella rata. Ma evidentemente evasori incalliti che da una vita evadevano in quel modo si erano protetti con uno scudo penale e fiscale garantito dallo Stato, ma hanno evaso un’altra volta. Un esercito di evasori della sanatoria con cui avrebbero scontato ogni peccato- veniale o mortale- commesso in passato.
Il buco di quei 5,2 miliardi di euro è stato segnalato per le vie brevi all’esecutivo e al Parlamento nel 2008. Non deve essere scattato però l’allarme rosso. Perché da allora alla data del 31 luglio 2011 sono stati recuperati coattivamente un miliardo e 10,5 milioni di euro. Resta quindi ancora la beffa di 4,2 miliardi di euro mai versati dai condonati dell’epoca.
Altra curiosità: se la Corte dei Conti è arrivata a quella scoperta con un certo ritardo, dai documenti della loro ricerca è chiaro che il governo nel 2006 a condono concluso aveva tutte le dimensioni del buco esistente. A palazzo Chigi c’era Romano Prodi, alla guida della macchina delle Finanze c’era il viceministro dell’Economia, Vincenzo Visco. Entrambi nemici giurati del condono varato da Tremonti e con una pistola fumante in mano a loro disposizione. Ci si sarebbe immaginati una caccia grossa senza pietà ai furbetti del condono. E invece la pistola è stata risposta nel cassetto e non un euro del dovuto recuperato. Strano. Per capirne le ragioni bisognerebbe avere l’elenco dei furbetti, persone fisiche e società. Perché anche nella pancia della sinistra (addirittura quasi tutte le società per azioni dei Democratici di sinistra) quel condono tanto avverso era stato preso al balzo manco fosse miele. E nei bilanci di molte di quelle società effettivamente la prima rata risulta versata. Negli anni successivi non c’è traccia di altri versamenti. Un mistero.
La caccia ai furbetti del condono non ha più appassionato nemmeno il governo attualmente in carica, che pure ha dato missioni difficilissime alla Agenzia delle Entrate per il recupero dell’area di evasione (10 miliardi di euro nel 2010 e ben 20 nel 2011). Eppure se su molte aree di evasione fiscale chi cerca non trova, perché è difficile, l’elenco di chi ha fatto il furbo con il vecchio condono è lì nei cassetti della amministrazione. C’è il nome di chi non ha pagato pensando di farla franca. E per recuperare i 4,2 miliardi di euro che mancano all’appello basta andare a bussare alla sua porta usando maniere spicce e più che giustificate. Forse ci proveranno adesso, perché la denuncia di Giampaolino ha scosso davvero il ministero dell’Economia. Una delle ipotesi è quella di rimodulare ad hoc solo per i furbetti del condono le ganasce fiscali che erano state allentate e di molto in questi ultimi mesi. Meglio andare a caccia lì che fare altri pasticci.
1 commento:
evidentemente gli evasori del condono sono imprese fallite
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