Tasse, gli industriali hanno già avuto troppi sconti. Tocca alle famiglie
La stragrande maggioranza degli italiani, circa il 68% dei lavoratori dipendenti, paga più tasse oggi di tre anni fa. La stragrande maggioranza delle imprese- tutti i grandi gruppi, la maggioranza assoluta di quelli medi e perfino una percentuale consistente di quelle piccole paga meno tasse oggi di tre anni fa. Forse è da questo dato che dovrebbe partire Silvio Berlusconi e con lui il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti prima di prendere una decisione su un eventuale programma di riduzione del carico fiscale. Se urgenza c’è- dati alla mano- non è quella di una riduzione dell’Irap, ma quella di una riduzione dell’Irpef su gran parte dei redditi. Il sistema fiscale oggi in vigore sulle persone fisiche è quello disegnato da Vincenzo Visco nella finanziaria 2007, stravolgendo quell’inizio di riduzione della pressione fiscale avviato da Berlusconi e Tremonti durante la legislatura precedente. Oggi l’Irpef è quella di Visco, nonostante un anno e mezzo di governo Berlusconi. Il sistema di tassazione sulle imprese invece è stato ritoccato al ribasso prima dal governo di centro destra e poi ulteriormente da quello di centrosinistra, che non si può proprio dire sia stato avaro con le imprese e particolarmente con le grandi imprese.
Tre anni fa l’aliquota base Irap era del 4,25%. Oggi è al 3,90% che si applica oltretutto su un perimetro più ristretto grazie a nuove norme sulla parziale deducibilità di interessi passivi (deducibili fino a concorrenza degli interessi attivi e l’eccedenza fino al 30% del risultato operativo lordo dell’impresa) e a quelle sulla riduzione del cuneo fiscale per le imprese stabilito con la finanziaria 2008 (si può dedurre 4.600 euro per ogni lavoratore dipendente impiegato a tempo indeterminato nel periodo di imposta- e prima non era consentito farlo). Il reddito di impresa era tassato con l’Irpeg, al 34,5%. Poi è stata introdotta l’Ires, con aliquota del 33%. Oggi l’aliquota Ires è del 27,5%. La tassazione media sugli utili dei primi 25 gruppi industriali italiani era nel 2004 del 42,6%, nel 2008 è stata del 26,6%.
Un lavoratore dipendente non può raccontare lo stesso percorso in discesa. Nel 2001 la maggioranza degli italiani votò Berlusconi grazie allo slogan elettorale “Meno tasse per tutti”. Ci fu l’11 settembre, poi il crack Enron, la grande depressione dei mercati azionari e l’operazione fisco leggero non fu possibile così come era stata immaginata. Quando Tremonti vi mise mano, semplificando aliquote e procedendo alla prima riduzione, perse la poltrona su pressing proprio dei sostenitori del taglio all’Irap. Era il 2004, per un po’ non si fece né un taglio né l’altro, poi uno scaglione di riduzione dell’Irpef. Il tempo di assaporare quel caffè al giorno offerto dal fisco italiano, e Berlusconi ha perso le elezioni. Al comando è salito Romano Prodi che ha varato la sua finanziaria dalle cento tasse. Alle finanze comandava il viceministro Visco, che ha stracciato la riformina Irpef di Tremonti, e l’ha rifatta a modo suo intorcigliandosi fra un errore e l’altro. Rimise cinque aliquote Irpef, cancellò il sistema vigente di deduzioni (che abbassano il reddito imponibile) e reintrodusse quello delle detrazioni (togliendo cioè direttamente dalla imposta dovuta). La sua idea era di fare pagare meno tasse ai redditi sotto i 40 mila euro e più tasse a quelli sopra quella soglia. Già alla prima prova della busta paga di gennaio 2007 gli italiani scoprirono che i calcoli erano campati in aria. Il complesso di norme Visco era neutro per i redditi fra i 20 e i 25 mila euro lordi, peggiorativo per tutti i redditi sopra quella soglia. Mancava però ancora un elemento, quello delle addizionali Irpef comunali e regionali. Il servizio Bilancio della Camera aveva per altro già messo in guardia il governo dell’epoca: attenti, perché avendo eliminato le deduzioni, anche a parità di aliquota delle addizionali, queste aumenteranno di 406 milioni di euro, perché senza deduzioni verranno calcolate su un reddito imponibile più alto. Cifra generosa quella prevista, perché in realtà nel 2007 il 75% degli enti locali ha aumentato le proprie addizionali. Risultato? Per avere un beneficio certo dalla riforma Visco i lavoratori dipendenti non avrebbero dovuto guadagnare più di 10 mila euro lordi all’anno. Fra 10 e 15 mila rispetto al 2006 la condizione era neutra o peggiorativa a seconda dei carichi familiari avuti. Sopra i 15 mila nella stragrande maggioranza dei casi i lavoratori italiani dal 2007 pagano più tasse di prima. Come reagì il governo di centro sinistra? Prima dicendo che non era vero nulla. Poi, dopo mesi, riconoscendo l’errore e promettendo “ripareremo”. Ma nulla fu fatto nella finanziaria 2008, e l’errore contribuì alla vittoria elettorale di Berlusconi. Non fu ininfluente per quel successo la promessa di ridurre la pressione fiscale. Ma dopo pochi mesi è scoppiata la crisi dei mercati finanziari. Nella finanziaria 2009 non c’è stato spazio per correggere almeno quell’errore dell’Irpef di Visco. E’ arrivato il decreto anticrisi del novembre 2008: sull’Irpef nulla, ma sull’Irap sì. E’ stato concessa la deduzione del 10 per cento dell’Irap pagata dall’Ires, sulla quota imponibile relativa agli interessi passivi e oneri assimilati (al netto degli interessi attivi) e sulla quota di spese per il personale dipendente e assimilato al netto delle deduzioni già spettanti.
Sono argomenti un po’ tecnici ma il risultato è semplice: le imprese che strepitano perché si riduca l’Irap pagano già meno tasse (e hanno già ottenuto in parte quello che chiedono). Le persone fisiche che lavorano (finchè un lavoro c’è) e tacciono, ne pagano di più. Anche un bambino capirebbe dove è più urgente mettere mano per riparare a un’ingiustizia fiscale. Vogliamo aggiungere un altro elemento? Quei capitali ora rimpatriati con lo scudo fiscale a una tassazione di assoluto favore (sulla carta il 5%, ma grazie al buon marketing degli intermediari sostanzialmente allo 0%), apparterranno più a chi chiede “giù l’Irap” o a quella massa silenziosa che guadagna 15, 20, 25 o 30 mila euro lordi l’anno e a cui il fisco ha ingiustamente portato via di più promettendo l’esatto contrario? E allora, non è il caso di pensare prima di tutto all’Irpef? Meditino Berlusconi e Tremonti. Perché l’equità fiscale non può partire da un gesto in questo momento iniquo.
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