Quanti dei 22.604 sfollati
del terremoto in Umbria del 26 settembre 1997 un anno dopo hanno avuto
sistemazione in una casa? Nemmeno uno. E alla data del 26 settembre 1999, a due anni esatti dal
sisma? A quella data era stata consegnata una abitazione, una villetta in
legno, a 28 famiglie sulle 9.285 colpite dal sisma. Un ano dopo, e cioè a tre
anni dal sisma, risultavano consegnati alloggi alternativi a 821 nuclei
familiari dei 9.285 originari. Per mesi i terremotati umbri hanno vissuto in
tenda, poi sono arrivati i container. E quelli sono restati per anni. Al 31
dicembre 2009, e cioè dodici anni e tre mesi dopo il sisma, ancora 8 famiglie
vivevano nei containers.
In Abruzzo gli sfollati hanno
toccato la vetta di 67.459 persone, 35.690 delle quali sistemate in tendopoli,
gli altri in hotel e case private. Otto mesi dopo in tenda non c’era più
nessuno. A un anno dal terremoto il problema di una abitazione permanente
riguarda solo 1.750 persone che in gran parte hanno visto classificata la loro
abitazione come inagibile dopo il mese di agosto 2009. Non sono né in tenda né
per strada: ospiti in albergo o in alloggi temporanei ad affitto agevolato.
Tutti gli altri hanno avuto sistemazione in una vera casa, spesso costruita a
tempo record. Quelle previste nel progetto C.a.s.e. (complessi antisismici
sostenibili e ecocompatibili) sono state tutte realizzate e consegnate: 4.449
abitazioni completamente arredate per 15 mila persone. In più il progetto Map,
villette in legno, previsto per 8.500 persone, è già stato realizzato in ampia
parte e consegnato a 5.700 persone. Tanto per fare un raffronto, le prime
villette in legno in Umbria hanno iniziato a sostituire i containers solo nel 2001, a quattro anni esatti
dal terremoto. L’Osservatorio sulla ricostruzione della Regione Umbria così
dopo mesi descriveva il “successo”: “Noi che
sappiamo cosa significa aver paura della terra che trema, noi che
dormiamo fuori anche se le nostre case sono agibili, invidiamo "la gente
dei container", loro non devono preoccuparsi più della terra che trema,
hanno un'abitazione sicura. Poi il tempo passa, la paura si attenua, allora i
container sono sì un ambiente sicuro e protetto ma piccolo, caldo in estate e
freddo in inverno (…)Passano gli anni, e aumenta il disagio di vivere nel
container, ma stanno per arrivare le casette di legno, e le case in muratura ed
altre soluzioni alternative al container. Entro il 2001 i villaggi di container
vengono trasformati in villaggi fatti prevalentemente da casette molto più
confortevoli e per molti il container resta solo un ricordo, per i più piccoli
l'unico ricordo della propria abitazione per molti vecchi l'ultimo ricordo e
per molti il ricordo di un forte disagio ma un grande insegnamento: tutti
possiamo vivere con molto meno di ciò che abbiamo”. Cioè quattro anni in una
stamberga di latta che diventa una ghiacciaia di inverno e un forno di estate,
e bisognava pure ringraziare il governo di Romano Prodi, quello di Massimo D’Alema,
quello di Giuliano Amato e la giunta rossa umbra perché vivendo da clochard si
poteva scoprire che “tutti possiamo vivere con molto meno di ciò che abbiamo”.
Altro che rivolta delle carriole, ci sarebbe stata da fare. Ma laggiù nessuno è
stato così sciacallo da mettersene alla testa e organizzarla. Bisogna avere
anche lo stomaco per fare cose così, e nel centro destra nessuno se l’è sentita
di speculare così sui guai dei terremotati.
In Umbria l’unica cosa che tentarono di
fare subito era la concessione di contributi diretti per la riparazione di
edifici privati attraverso programmi denominati di “ricostruzione leggera”, ma
anche lì l’amore smodato della sinistra di governo per la burocrazia mandò
gambe all’aria l’intero progetto. Ecco come lo spiega la relazione stessa
dell’Osservatorio: “Dopo la presentazione, entro i termini, delle domande e la
pubblicazione, in fasi successive, di quelle finanziate, è iniziata, nel periodo aprile-agosto 1998, la progettazione degli
interventi da concludersi entro novembre 1998 (120 giorni dalla pubblicazione). Tale termine è stato
prorogato per consentire l’integrazione dei progetti ed è stato fissato a febbraio 2000 il termine ultimo per il rilascio delle
concessioni contributive”. Quel che si poteva fare in pochi mesi è stato così
sbloccato solo in due anni e mezzo. Nel solo comune de L’Aquila a un anno dal
sisma hanno già ricevuto senza tante pastoie burocratiche contributi definitivi
per riparazione e ricostruzione simile a quella “leggera” dell’Umbria 6.242
persone sulle circa 9 mila che avevano fatto domanda. Altre 27.316 persone hanno
ricevuto il cosiddetto “Cas”, contributo di autonoma sistemazione che può
arrivare fino a 700 euro al mese.
Per arrivare a qualcosa di
vagamente paragonabile a quello realizzato finora in Abruzzo per l’Umbria ci è
voluto più di un lustro, e non è stata quella la gestione più scandalosa di una
ricostruzione post terremoto in Italia.
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