Per non pagare un euro il pm Spataro invoca il suo lodo Alfano
Il procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro, invoca per sé una sorta di lodo Alfano per proteggersi dall’azione giudiziaria di un collega. Il pm che è stato uno dei più fieri oppositori del lodo Alfano e dell’immunità parlamentare in genere (il prossimo 24 marzo spiegherà la sua avversità in un convegno a Napoli), condannato dopo una lunga battaglia legale in appello a risarcire simbolicamente con un euro la diffamazione di un collega, Angelo Di Salvo, ha appena presentato ricorso in Cassazione invocando l’immunità riservata ai consiglieri del Csm. I fatti oggetto della controversia fra magistrati che ha visto capitolare Spataro risalgono infatti al 2002, quando il procuratore aggiunto di Milano era membro togato del Csm. E la legge sull’immunità per tutte le espressioni di pensiero e gli atti compiuti durante la permanenza del Csm esiste davvero: è la numero 1 del 31 gennaio 1981. Pochi magistrati hanno fatto ricorso a quello scudo previsto dall’articolo 5 della legge. E nessuno l’ha mai impugnata davanti alla Corte Costituzionale, anche se nel dibattito scientifico quella norma è stata assai criticata. E’ praticamente identica al lodo Alfano: una legge ordinaria (che secondo la recente pronuncia della Corte Costituzionale sarebbe dunque illegittima) che introduce una immunità identica a quella prevista dall’articolo 68 della Costituzione per i parlamentari anche per tutti i membri del Csm che è un organo solo di rilevanza costituzionale.
La contesa fra i due magistrati da cui Spataro oggi vorrebbe essere protetto grazie a quel Lodo Alfano ad hoc per il Csm risale al 2002. Fu allora che il giudice campano Angelo Di Salvo si iscrisse alla maling list “Civilnet” di cui era fondatore e amministratore l’attuale procuratore aggiunto di Milano. A Di Salvo qualche collega aveva spiegato che grazie a quello strumento via e-mail avrebbe potuto leggere in anteprima circolari e interpretazioni giurisprudenziali utili al suo lavoro. Dopo qualche settimana il magistrato campano si accorse che quella mailing list era assai poco tecnica. Era invece una sorta di manifesto politico di giudici assai schierati. In una delle mail arrivò una lunga dissertazione di un magistrato di Lecce sul “riconglionimento” (testuale) degli italiani che avevano votato per Silvio Berlusconi. Di Salvo raccolse il materiale ricevuto, lo inviò al Csm ponendo un quesito: “è così che si può difendere l’imparzialità e l’obiettività della nostra categoria?”. Invece di essere ringraziato dal supremo organo della magistratura, fu lui ad essere messo sotto processo. A intentarglielo, in seduta pubblica e trasmessa da Radio radicale, proprio Spataro. Che lo accusò di violazione della privacy e – per farla breve- annunciò di volere proporre l’apertura di un fascicolo sul collega, descrivendolo come inattendibile e già coinvolto in procedimenti penali e disciplinari. Quei fatti a cui Spataro alludeva risalivano a 11 anni prima, e per altro si erano chiusi con la piena assoluzione di Di Salvo. Questi, ascoltando la seduta, si risentì e querelò Spataro per diffamazione. In primo grado il procuratore aggiunto di Milano è stato assolto, e anzi ha ottenuto lui un risarcimento di 12 mila euro subito richiesto con atto ingiuntivo e pignoramento di un quinto dello stipendio del collega che lo aveva querelato. In secondo grado la sentenza è stata ribaltata, e Spataro condannato al risarcimento simbolico del collega per un euro, oltre alla restituzione di quanto pignorato e al pagamento di parte delle spese processuali. Ora il caso approda in Cassazione, di fronte a cui è stato invocato quel lodo Alfano per i giudici del Csm che se applicato d’ora in avanti potrà essere ribattezzato “lodo Spataro”. A meno che sia il ministro Angelino Alfano questa volta a impugnarlo per ripicca di fronte alla Corte Costituzionale.
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