Viva i radicali, che mettono in piazza stipendi e spese dei parlamentari
Su 945 parlamentari eletti alla Camera e al Senato italiano solo nove hanno reso pubblici i loro stipendi e il dettaglio delle spese effettuate ogni mese. Su 78 eurodeputati italiani uscenti dal Parlamento di Strasburgo solo due hanno fatto la medesima scelta. Undici in tutto su più di mille: i radicali. Mentre ancora una volta parandosi dietro regolamenti e camarille la Camera dei deputati ha rifiutato questa settimana in ogni modo un invito a rendere conto di come ogni eletto spende i rimborsi forfettari concessi (si tratta di più di 8 mila euro netti al mese per ciascuno), Marco Pannella, Emma Bonino e la piccola truppa radicale, ha messo ogni dato sul sito internet del partito, sotto la voce «anagrafe pubblica degli eletti». Grazie a questa opera di trasparenza assolutamente unica nel suo genere (è vero che c’è qualche altro singolo volenteroso che ci prova, come il giovane parlamentare del Pd, Andrea Sarubbi, ma nessuno lo fa come i radicali), è finalmente possibile sapere il netto che ogni mese viene consegnato a ciascun deputato e senatore. Per chi sta a Montecitorio si tratta di 14.778 euro netti al mese (non c’è però tredicesima), composti da una indennità base di 5.236 euro netti, dal rimborso spese di soggiorno netto di 4.003 euro al mese, di altri 4.190 euro a titolo di rimborso forfettario “per le spese inerenti al rapporto fra eletto ed elettori”, di un ulteriore rimborso forfettario mensile per le spese di trasporto di 1.091 euro e infine di un rimborso spese telefoniche da 258 euro mensili. Che quel netto resti tale dipende appunto da quanto ciascun deputato liberamente decide di mettersi in tasca o di usare per fare politica. I radicali più della metà la girano al partito, altro spendono per i collaboratori o per restare a Roma non avendovi residenza. Per ognuno di loro è elencato il dettaglio. Un senatore, grazie a regolamenti un po’ diversi, intasca ogni mese netto quasi mille euro più di un deputato: in tutto sono 15.924 euro netti, perchè l’unica voce identica a quella dei deputati è il rimborso delle spese di soggiorno. Tutte le altre sono più generose, indennità base compresa (5.614 euro). Un ex parlamentare europeo come Marco Pannella prende netto al mese un po’ più di un deputato, un po’ meno di un senatore: 15.060 euro netti fra indennità e rimborsi a forfait. Ad Emma Bonino invece arrivano ogni mese 20.693 euro netti (ma 10.375 li gira alla lista Pannella). Si tratta dei 15.294 euro dei senatori, più l’indennità da vicepresidente del Senato (2.950 euro) e la pensione da parlamentare europeo (1.819 euro). Evviva la loro trasparenza.
Franco Bechis
Fisco choc per gli abruzzesi. Da gennaio tutte le tasse con gli arretrati. Ma le Marche hanno pagato solo il 40 per cento dopo 12 anni...
I senza casa de l’Aquila in attesa di uscire dalle tende, come promesso, dal prossimo autunno dovranno comunque mettersi rapidamente in cerca di un commercialista di fiducia. Sperando che il suo studio non sia crollato e che si siano salvati documenti degli anni passati. Perché da gennaio 2010 il fisco vuole tasse e contributi sospesi all’indomani del terremoto, senza fare più distinzioni fra abitanti della zona del cratere e quelli di altre zone. Lo stabilisce un apposito articolo del decreto legge anti-crisi approvato dal consiglio dei ministri il 30 giugno scorso. I pagamenti dovranno essere integrali, ma rateizzabili fino a 24 mesi. Il 16 giugno invece i terremotati di Marche e Umbria del 1997 hanno pagato la loro prima rata di tasse sospese. La stessa amministrazione fiscale che oggi chiede indietro i soldi agli abruzzesi colpiti dal terremoto era stata molto più generosa con i loro predecessori solo 7 mesi fa. A dicembre infatti il Parlamento aveva approvato definitivamente il decreto legge che stanziava i soldi per l’organizzazione del G8 (allora previsto alla Maddalena), inserendo una norma per il recupero delle tasse sospese alle popolazioni di Umbria e Marche nel 1997, 1998 e 1999. A dodici anni di distanza il governo aveva stabilito che dal gennaio 2009 in ben 120 rate gli ex terremotati dell’epoca dovessero iniziare a pagare allo Stato tributi e contributi che all’epoca come sempre avviene in questi casi furono sospesi. Con un picco di generosità ulteriore il Senato aveva approvato un emendamento per spostare quella data da gennaio a giugno. E in effetti il 16 giugno scorso marchigiani e umbri ex terremotati hanno versato la prima delle 120 rate dei tributi di 12 anni fa. Ma a loro è stato condonato il 60 per cento di quanto dovuto. Il pagamento rateizzato riguarda quindi solo il 40 per cento degli importi ovviamente senza aggravio di sanzioni. Può darsi che la generosità mostrata nei confronti di quei contribuenti sia stata eccessiva. Certo il raffronto con l’Abruzzo fa impressione. Perché realisticamente a gennaio sarà già un miracolo avere ripreso in una parte della popolazione colpita un minimo di normalità. Pensare che abbondino lavoro e attività economiche tanto da permettersi di pagare due volte le tasse dopo avere perso tutto, è semplice utopia. In ogni caso se lo stesso governo a pochi mesi di distanza offre un trattamento tanto diverso a due popolazioni anche geograficamente così vicine, compie un errore. Se ne è accorta la stessa maggioranza che alla Camera ha già chiesto l’immediato stralcio della norma...
Franco Bechis
Camera, i rimborsi restano top secret. Così ai deputati in tasca fino a 15 mila euro netti al mese
I deputati italiani non renderanno conto se non volontariamente di come spendono il rimborso spese forfettario mensile di 4.190 euro che dovrebbe coprire le spese per mantenere i rapporti con il proprio collegio di appartenenza. Con 49 sì e 428 no la Camera dei deputati questa settimana ha sonoramente bocciato la proposta avanzata dalla radicale Rita Bernardini e più volte lanciata negli ultimi due anni dalle colonne di Italia Oggi. D’altra parte prima della prova del pulsante elettronico a respingere la proposta della Bernardini era stato il deputato questore Antonio Mazzocchi (Pdl), secondo cui l’idea di rimborsare ai deputati solo le spese documentate avrebbe fatto lievitare i costi della Camera dei deputati. Mazzocchi ha spiegato che per passare dal rimborso forfettario al regime a piè di lista si sarebbe comunque prima dovuto trovare un accordo anche con i senatori. E ha aggiunto: «Va osservato che tali interventi potrebbero comportare un significativo aggravamento delle procedure correlate sia per il deputato sia per gli uffici della Camera, come è noto interessati al blocco del turn over». La tesi è questa: se i deputati debbono presentare ricevuta fiscale delle spese sostenute, poi gli uffici della Camera dovrebbero controllarle prima di rimborsarle. E la fatica sarebbe eccessiva. Tesi curiosa, visto che così avviene in ogni posto di lavoro, e visto che oltre ai 630 deputati la Camera ha anche circa due mila dipendenti i cui rimborsi spesa si spera vengano controllati dall’amministrazione.Respinta anche l’idea di non rimborsare i taxi a forfait almeno a chi dispone di auto di servizio. «Non vi sono auto», ha sostenuto Mazzocchi, «riservate al singolo deputato. I deputati che ricoprono incarichi istituzionali hanno la possibilità di accedere ai servizi dell’autorimessa prevalentemente per fare fronte agli impegni istituzionali all’interno del comune di Roma. In ogni caso restano a loro carico le spese sostenute fuori dalla città di Roma». Di fronte a questo muro c’è almeno un neo deputato che ha provato a fare passare un’altra minima richiesta: quella di rendere pubbliche (anche senza ricevute e non ai fini del rimborso) le modalità di utilizzo di quei 4.190 euro mensili da parte di ogni deputato. Potrebbero essere utilizzati per pagare contratti a progetto ai collaboratori (i cosiddetti portaborse) o per altre attività. Ma anche semplicemente essere messi in tasca esentasse e fare lievitare lo stipendio. Ci ha provato Giovanni Battista Bachelet. Spiegando con il cuore in mano davanti all’assemblea: «Penso che sia un principio importante la rendicontazione delle spese. È una delle cose che più mi ha meravigliato l’anno scorso diventando deputato. Per alcune spese, giustamente, come quelle dei treni o degli aerei, chi fa politica (cioè viaggia e spende) spende, chi non fa politica non spende. Viceversa, con il rimborso forfetario, c’è un premio inverso: meno si lavora e si spende per la politica, più soldi vanno a finire nel nostro stipendio. È un risultato paradossale che la rendicontazione contribuirebbe almeno in parte a mitigare...». Il cuore in mano e la semplice ragionevolezza di questo argomento non sono bastati. Ufficialmente nessuno ha preso la parola per contestare questa richiesta. Ma poi con il ditino ha pigiato il pulsante del voto. Ed è uscito il responso: hanno votati sì in 91 (e già non sono pochissimi), ma votato no in 370 (la maggioranza assoluta dell’aula). Quindi niente trasparenza sulle spese. E tutti i deputati sulla carta potranno mettersi in tasca ogni mese l’indennità netta da 5.236 euro, più la diaria (in caso di nessuna assenza) netta da 4.003 euro, più il rimborso spese da 4.190 euro netti, più quello a forfait per i trasporti da 1.091 euro netti più altri 258 euro netti di rimborso telefono. In tutto fanno 14.778 euro netti al mese...
Che mistero quei titoli Usa sequestrati a Chiasso! Vallgono due finanziarie di Tremonti
E’ dal tre giugno scorso che la Guardia di Finanza di Como ha nei suoi uffici la valigetta più bollente che sia mai passata in Italia. Contiene titoli di Stato americani per un valore complessivo di 134,5 miliardi di dollari. E’ stata sequestrata a Ponte Chiasso a due cittadini giapponesi su un treno che avrebbe dovuto portarli in Svizzera. I due, di cui non è stata diffusa l’identità, risultano residenti dai documenti a Kanagawa e a Fukuoka e sono stati rilasciati, denunciati a piede libero. Secondo indiscrezioni uno dei due sarebbe Tuneo Yamauchi, cognato di Toshiro Muto, già vicegovernatore della Banca del Giappone. Nessuna autorità ha ancora dichiarato ufficialmente veri o falsi quei titoli. E il mistero è già un giallo internazionale. Sono state scarne quanto mai le notizie ufficiali. Abbottonatissime le fiamme gialle. Muro di silenzio alla procura di Como, titolare dell’indagine. Imbarazzo nelle autorità politiche e monetarie. Brividi corsi nelle principali cancellerie internazionali. Perché un fatto solo è certo: se quei titoli di Stato fossero apparsi palesemente falsi, i due giapponesi sarebbero dovuti essere in galera. Ma se sono autentici la legge italiana prevede l’applicazione di una multa pari al 40 per cento del loro valore: più di 50 miliardi di dollari, che da soli risolverebbero ogni problema di cassa per Giulio Tremonti. Ufficiosamente si è lasciato trapelare la probabile falsità di quei titoli, una versione che metterebbe nei guai qualche finanziere (perché non ha proceduto all’arresto dei due giapponesi), ma che non creerebbe problemi nè con gli Stati Uniti nè con paesi eventualmente possessori di quel misterioso tesoro (le ipotesi sono al momento Giappone, Cina o Russia). Ma è evidente che la versione di due ladruncoli in giro per l’Europa con una valigetta da 134,5 miliardi di titoli falsi fa acqua da tutte le parti. Chi mai li avrebbe acquistati, oltretutto senza controllarne l’autenticità? La stampa americana che si è occupata del caso ha ipotizzato che i falsari siano i solityi capi-mafia italiani. Spaghetti, pistola e secondo tradizione il caso sarebbe chiuso. Il titolare di una radio Usa, Hal Turner, ha invece sostenuto nell’etere e sul suo blog l’autenticità di quei titoli, sostenendo che l’informazione proveniva da fonti di altissimo livello. Due giorni dopo è stato arrestato, chiusa la sua radio e oscurato il blog. Un giallo nel giallo. Come anche quello sulla qualità dei titoli. Secondo la Gdf si tratta di Bond Kennedy. Ma la foto diffusa illustra dei Treasury Notes, con cedola non staccata e incassata (altra stranezza). Il mistero è sempre più inquietante...
Franco Bechis
Scaroni sfida Berlusconi a Porto Torres
Con un annuncio dato con poche ore di preavviso al presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, l’Eni guidata da Paolo Scaroni ha deciso la chiusura- al momento temporanea, per «almeno due mesi» dello stabilimento chimico di Porto Torres. Con un lungo comunicato si spiega che «l’andamento dello stabilimento di Porto Torres nei primi mesi del 2009 è stato pesantemente condizionato dalla attuale crisi finanziaria, che ha aggravato la già difficile situazione economica del sito». Le perdite sono rilevanti. Ma il caso è diventato politico. Perchè Porto Torres fu riaperto a febbraio per intervento di Silvio Berlusconi. E il gesto sa di sfida, soprattutto all’indomani della guerra del gas originata dal decreto anti-crisi (...)E’ da tempo che l’Eni sta attuando con governo e autorità locali una sorta di braccio di ferro sul caso Porto Torres. Da anni lo stabilimento perde decine di milioni di euro (circa 150 milioni fra il 2008 e la previsione di rosso 2009) e fatica a tenere un mercato già non particolarmente brillante. Da anni non mancano le pressioni delle autorità politiche regionali e nazionali per evitare una crisi che avrebbe un risvolto sociale rilevante in Sardegna. Per quetso nel dicembre scorso Scaroni era stato convocato in Parlamento, dove era uscito da un’audizione assicurando “L’Eni non chiuderà l’impianto cracking di Porto Torres”. Ai primi di gennaio invece lo stabilimento si fermò, ufficialmente “per problemi di manutenzione”. Insorsero come sempre le autorità locali e siccome si era in piena campagna elettorale per scegliere il nuovo governatore, il caso è subito diventato nazionale. A metà gennaio Silvio Berlusconi chiamò a Mosca lo stesso Scaroni, tirandolo fuori da un incontro decisivo per le sorti del gas italiano e gli impose (comunicandolo poi ufficialmente con una nota di palazzo Chigi) l’immediata riapertura dello stabilimento, dettandone anche le condizioni, i piani di sviluppo e le possibili soluzioni sindacali. Ed è stato probabilmente di nuovo il gas a intersecarsi con la vicenda della chimica sarda. All’Eni non è infatti andato giù (anche perchè letto sul testo di legge, senza preavviso) quell’articolo 3 del recente decreto legge anti-crisi che stabilisce la “riduzione del costo dell’energia per imprese e famiglie” obbligando a cedere a prezzi vincolati 5 miliardi di standard metri cubi di gas. Una norma che secondo le prime stime avrebbe un impatto negativo su Eni di almeno cento milioni di euro. Per questo nelle fila del governo il caso Porto Torres è sembrato la risposta dell’Eni. Un guanto di sfida...
Franco Bechis
Non si va in Paradiso passando dai paradisi fiscali. Così il Papa prepara la sua strada al rientro dei capitali
Sono passati più di 40 anni da quel 26 marzo 1967 quando Paolo VI tuonò contro l’esportazione illecita dei capitali dalle pagine della Populorum progressio, un’enciclica chiave nella storia della dottrina sociale della Chiesa. E quel passaggio, in un mondo così lontano da quell’epoca, riecheggia con forza nella nuova enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate, che questa mattina verrà presentata ufficialmente in Vaticano e di cui Italia Oggi anticipa tre capitoli. «Paolo VI», ricorda papa Ratzinger, «invitava a valutare seriamente il danno che il trasferimento all’estero di capitali a esclusivo vantaggio personale può produrre alla propria Nazione». Insomma, non si va in Paradiso passando per i paradisi fiscali.
La nuova enciclica sostiene che “tutto questo è valido anche oggi, nonostante che il mercato dei capitali sia stato fortemente liberalizzato e le moderne mentalità tecnologiche possano indurre a pensare che investire sia solo un fatto tecnico e non anche umano ed etico”. Non è tenero, Benedetto XVI, con gli imprenditori e con i manager che spesso sono stati all’origine della crisi finanziaria che sta mettendo in ginocchio il mondo. E per quanto un’enciclica sia fatta per attraversare il tempo, non mancano riferimenti anche di dettaglio all’attualità. Per il Papa uno dei rischi maggiori “è senz’altro che l’impresa risponda quasi esclusivamente a chi in essa investe e finisca così per ridurre la sua valenza sociale. Sempre meno le imprese, grazie alla crescita di dimensione ed al bisogno di sempre maggiori capitali, fanno capo a un imprenditore stabile che si senta responsabile a lungo termine, e non solo a breve, della vita e dei risultati della sua impresa, e sempre meno dipendono da un unico territorio. Inoltre la cosiddetta delocalizzazione dell’attività produttiva può attenuare nell’imprenditore il senso di responsabilità nei confronti di portatori di interessi, quali i lavoratori, i fornitori, i consumatori, l’ambiente naturale e la più ampia società circostante, a vantaggio degli azionisti, che non sono legati a uno spazio specifico e godono quindi di straordinaria mobilità». Ma non sono solo gli imprenditori ad avere perso il senso della propria responsabilità sociale: “Negli ultimi anni si è notata la crescita di una classe cosmopolita di manager, che spesso rispondono solo alle indicazioni degli azionisti di riferimento costituiti in genere da fondi anonimi che stabiliscono di fatto i loro compensi”. Per anni, sostiene il Papa, “la perdurante prevalenza del binomio mercato-Stato ci ha abituati a pensare esclusivamente all’imprenditore privato di tipo capitalistico da un lato e al dirigente statale dall’altro”. La realtà non è più quella. E con parole che farebbero felici il ministro dell’Economia italiano, Giulio Tremonti, e che fotografano con lucidità l’attuale situazione internazionale, il Papa spiega che “l’economia integrata dei giorni nostri non elimina il ruolo degli Stati, piuttosto ne impegna i governi ad una più forte collaborazione reciproca. Ragioni di saggezza e di prudenza suggeriscono di non proclamare troppo affrettatamente la fine dello Stato. In relazione alla soluzione della crisi attuale, il suo ruolo sembra destinato a crescere, riacquistando molte delle sue competenze». Sarà grazie a questo ruolo riconquistato da stati e governi che si potranno riprendere in mano le redini della globalizzazione oggi sfuggite. Basta non assolutizzare i processi economici e ricordare che questi dipendono e sono governati sempre dagli uomini. “La globalizzazione”, dice Benedetto XVI citando in questo il suo immediato predecessore, “a priori non è buona nè cattiva (...) Opporvisi ciecamente sarebbe un atteggiamento sbagliato, preconcetto, che finirebbe per ignorare un processo contrassegnato anche da aspetti positivi (...) I processi di globalizzazione, adeguatamente concepiti e gestiti, offrono la possibilità di una grande redistribuzione della ricchezza a livello planetario come in precedenza non era mai avvenuto”. E’ qui il senso vero del mercato come è inteso da Benedetto XVI: non giustifica più la sua esistenza con il solo criterio della giustizia commutativa (lo scambio classico fra bene e prezzo), che portata all’esasperazione lo distrugge, ma vivrà se saprà costruire una economia di mercato anche attraverso la giustizia distributiva e quella sociale. Una ricetta non banale proprio per il G8 alle porte...
Franco Bechis
Trovato il leader del Pd. E' un pastore sardo che da 30 anni batte Berlusconi
Non c’è bisogno di congresso, e nemmeno di lotte estenuanti fra le fazioni. Il leader ideale del Partito democratico c’è già, anche se pochi lo conoscono. Vive in Sardegna, a due passi dalla costa Smeralda. Pochi chilometri da villa Certosa. E’ il campione dell’opposizione a Silvio Berlusconi. E non usa colpi bassi nè campagne di stampa organizzate: solo le regole del gioco. Potrebbe piacere perfino ad Antonio Di Pietro. Si chiama Paolo Murgia. Di mestiere fa il pastore. E’ l’unico italiano che da ben 30 anni riesce a tenere in scacco proprio Berlusconi. Che le ha provate tutte, proprio tutte. Anche offrendo montagne di soldi. Ma gli è andata sempre male. Perché Murgia gli tiene testa e non molla... Ne sanno qualcosa i poveri amministratori di Edilizia Alta Italia, società del gruppo Fininvest. Dal 1980 stanno cercando di realizzare il progetto “Costa turchese”, un comprensorio di ville, abitazioni e alberghi e un porto turistico da 2 mila posti barca. Ma una parte del terreno non viene liberata da Murgia e dalle sue pecore. “Ci pascolo da una vita”, sostiene lui, “su questa terra ho l’usucapione. Non la cedo”. E via a guerre di carta bollata davanti a Tar e tribunale di Tempio Pausania. “Nel novembre 1984”, racconta nell’ultimo bilancio il presidente di Edilizia Alta Italia, “con verbale di conciliazione giudiziaria che pose fine all’ennessimo procedimento, la società concesse a Murgia, a titolo gratuito e sino a revoca, il diritto di pascolo su una parte dei terreni in località Murta Maria confidando con ciò di porre fine alle pretese e alle azioni prevaricatrici del soggetto”. Murgia mica se è accontentato, i suoi pascoli avevano bisogno di più terra. E ha sconfinato. Altre guerre di carta bollata, ma per la società di Berlusconi nulla da fare. Nessuna sentenza definitivamente favorevole. E pastore e pecore lì sul per tutti gli anni ‘90. Quando sembrava arrivata la svolta, ecco nel 2004 giungere invece Renato Soru e la sua legge ambientale che vieta ogni nuova costruzione vicina alla costa. Qualche mese fa nuova speranza. Via Soru, arriva Ugo Cappellacci. Edilizia alta Italia esulta: “le recenti elezioni amministrative”, nota la relazione al bilancio 2008, “permettono di ipotizzare nel medio periodo un allentamento e una migliore definizione degli odierni vincoli...”. Si può costruire dunque. Ma c’è sempre Murgia di mezzo. Il pastore ha rifiutato un’offerta in denaro. E anzi, ha sconfinato prendendosi altri terreni da pascolo. Di nuovo carta bollata. Tutto fermo, davanti al tribunale. Ma il pastore è lì. E Berlusconi non riesce a costruire...
Franco Bechis
Nemmeno ai medici di Obama riesce il miracolo di RESUSCITARE il re del pop!
Attenzione a come la sera del 25 giugno il Tg5 ha dato la notizia della probabile morte del re del pop, Michael Jackson. Sostenendo che nemmeno nell'amatissima America di Barack Obama riescono proprio tutti i miracoli. A un minuto e 15 secondi dalla messa in onda nell'edizione condotta da Simonetta Di Pillo la corrispondente dagli Usa, Francesca Forcella, spiega infatti che in ospedale i soccorritori "hanno provato a resuscitare" il re del pop, ma senza successo, perché ormai non respirava più... Che per altro è una delle condizioni essenziali per potere poi "resuscitare". essere prima morti....
Ma che flop per Repubblica, umiliata dal Corriere nella guerra a Berlusconi
Silvio Berlusconi tira fuori- manco a dirlo- l’ultimo sondaggio che gli darebbe nonostante tutto una popolarità al 61 per cento e manda a quel paese l’inchiesta di Bari e gli inchiestisti di Repubblica e Corriere della Sera: «Non muterò le mie abitudini. Io sono fatto così e non cambio. Se mi vogliono, sono così. E gli italiani mi vogliono: ho il 61 per cento dei consensi. Mi vogliono perché sentono che sono buono, generoso, sincero, leale, che mantengo le promesse». Certo, ammette il presidente del Consiglio, «all’estero tutto ciò non ha fatto bene, ma la verità viene sempre fuori». E liquida il caso Tarantini-escort così: «Purtroppo abbiamo sbagliato l’ospite e lui ha sbagliato l’ospite dell’ospite». Per la prima volta Berlusconi è pure sceso nel dettaglio delle accuse della escort, facendosi tirare a un faccia a faccia che farà venire i brividi a molti suoi collaboratori. “Ho fatto una promessa?”, ha sostenuto il premier, “ma veramente voi pensate che io mi metta a fare una pratica edilizia per qualcuno in un comune rosso, in una provincia rossa, in una regione rossa? Dovrei essere uscito di testa. Ma tanto le menzogne vengono fuori”. Insomma, è già qualcosa che il presidente del Consiglio abbia ammesso di avere sbagliato a frequentare un imprenditore non proprio da Financial Times come Giampaolo Tarantini e ancora di più a fare la corte a una delle sue invitate (così almeno risulterebbe dalle registrazioni divulgate alla stampa). Probabilmente sarebbe stato più prudente non entrare nei particolari della promessa sulla pratica edilizia, tanto più che a detta della diretta interessata che per questo coverebbe rabbia nei confronti di Berlusconi, la pratica è ancora lì sepolta come un tempo. Ma la scelta di affrontare perfino gioiosamente il “dossier Bari” che sta causando un maldipancia notevole ai suoi collaboratori di palazzo Chigi e perfino a non pochi parlamentari del Pdl, non è stata un passo falso. Quel “mi dovete prendere così” bagna parecchie munizioni di quelle che un po’ negli uffici giudiziari, un po’ sulle colonne della stampa, si stavano preparando. Munizioni per altro non di particolare efficacia. Da un mese e mezzo a questa parte, con buona pace di Ezio Mauro e del suo staff di Repubblica che hanno cercato la pistola fumante, gli unici due colpi giornalistici degni di qualche nota li ha messi a segno il Corriere della Sera, senza farne nemmeno una campagna stampa. Il primo è stato naturalmente l’intervista a Patrizia D’Addario che ha sostenuto di avere conosciuto Berlusconi di sfuggita e alla seconda volta di essere finita nel letto regalato da Vladimir Putin al premier italiano. Il povero Giuseppe D’Avanzo da più di un mese cercava anche solo l’ombra di un fatto così passandosi uno dopo l’altro parenti, amici, ex fidanzati e semplici conoscenti di Noemi Letizia. E si è trovato con un pugno di mosche in mano. Il secondo colpo l’ha messo a segno ieri di nuovo il quotidiano di Ferruccio De Bortoli. Il giornale avversario, stordito dal primo scoop, ha provato subito a sguinzagliare i suoi segugi a Bari. Nuovo buco nell’acqua: interviste all’amica del cuore di Patrizia, all’amico-amica transessuale, a qualche altra ragazza allegra, e nessuna che avesse mai frequentato il lettone di Putin! Ne è venuto fuori un servizio di coda di Verissimo. Mentre gli inchiestisti di Mauro si stavano specializzando in storie da Via col Vento 2000, quelli del Corriere si sono fatti la domanda giusta: ma se questo Tarantini portava a tutti belle ragazze, ha avuto o almeno provato ad avere qualcosa in cambio? Ieri la risposta: provare ci ha provato. E il Corriere ha trovato un imprenditore barese, Enrico Intini, che ha pagato 150 mila euro a Tarantini per essere introdotto negli affari del palazzo che conta. Quello gli ha combinato un appuntamento con Guido Bertolaso, ma è stata aria fritta: di commesse nemmeno una. Mezza notizia, e forse vale la pena ancora indagare. Ma almeno mezza il Corriere l’ha portata a casa. Rossi di rabbia (e un po’ di vergogna) i concorrenti diretti ieri hanno provato a sfoderare la loro pistolina fumante: un video di una festa a villa Certosa dell’11 agosto 2008. Tutti a tavola, una vecchia gloria del pop che suona (Simon Le Bon), qualche ragazza che si fa trascinare dalla musica e balla. C’è anche Berlusconi che saluta gli ospiti. Tutto qui? Tutto qui, roba che l’11 agosto trovi anche dal vicino di casa ad Ostia. Commento del corsivista dell’Espresso: in quelle ore “il mondo vive ore di angoscia per la crisi Russia-Georgia”. E il premier che fa? Balla. Ma andassero a fare un altro mestiere!
Franco Bechis
Franceschini si è venduto tutti i Bot per fare flop alle europee
Per pagare la campagna elettorale delle ultime europee e il lancio di alcuni volti nuovi della politica come David Sassoli, il Partito democratico di Dario Franceschini ha messo all’asta all’inizio della primavera ben 19 milioni di euro di Bot e Cct. Titoli di Stato in cui erano stati investiti l’anno precedente da Walter Veltroni i primi rimborsi elettorali arrivati nelle casse del neo-partito, assai superiori alle spese per le elezioni politiche 2008. Lo rivela il tesoriere del Partito democratico, il senatore Mauro Agostini, nella nota integrativa al primo bilancio della storia Pd, pubblicato ieri sui due quotidiani che ancora fanno riferimento al partito, L’Unità ed Europa... Il disinvestimento dal tesoretto accumulato in titoli di Stato è annunciato dal tesoriere fra i fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio e si spiega che è stato necessario “al fine di fare fronte agli impegni della campagna elettorale relativa al Parlamento europeo e delle altre elezioni amministrative. Quei 19 milioni fanno capire quanto Franceschini abbia davvero puntato su Sassoli e questa tornata elettorale di provinciali e comunali. Perché secondo lo stesso bilancio Pd il partito l’anno precedente aveva speso per le politiche e le contemporanee amministrative 18 milioni di euro nei quali però erano compresi ben 9 milioni spesi dalle strutture regionali e provinciali del partito. Quindi Franceschini questa volta ha raddoppiato l’investimento, rendendo ancora più doloroso il tonfo elettorale. Una ferita politica e non finanziaria, perché grazie al generoso sistema dei rimborsi elettorali nel 2008 il Pd pur dichiarando spese per 18 milioni si è visto concedere dallo stato una cambiale da 182 milioni di euro. Grazie a questo maxi-rimborso (che in realtà verrà rateizzato fino al 2012) il primo bilancio del Pd segna un utile che nella storia della sinistra non si è mai visto: 146,5 milioni di euro. Un po’ virtuali, perché il bilancio è stato costruito di competenza e non di cassa (come per altro da anni usa fare Forza Italia), ma con gli altrettanto generosi rimborsi delle europee anche il 2009 sarà da record. Assoluta novità del nuovo partito anche l’assenza totale di indebitamento con il sistema bancario. Finanziariamente Franceschini ha tagliato tutte le radici con la storia passata ( i debiti ci sono, ma restano in carico a Ds e Margherita) e per la prima volta simbolicamente la sinistra italiana non ha più in bilancio quel rosso che l’aveva sempre contraddistinta...
Franco Bechis
Berlusconi-Sircana, le morali capovolte (ma il premier ritiri il ddl anti-prostituzione)
C’è un disegno di legge approvato dal consiglio dei ministri guidato da Silvio Berlusconi nel settembre 2008 e trasmesso in Senato dal primo firmatario, il ministro delle Pari Opportunità, Mara Carfagna, che rischia di dovere essere cestinato. Porta il numero 1079 e il titolo «Misure contro la prostituzione». E’ molto duro e punisce anche i clienti delle belle di notte. Spiegando «Se la prostituzione come tale deve considerarsi fenomeno di allarme sociale, non può ammettersi un distinto trattamento fra chi la eserciti e chi se ne avvalga (il cliente)». Per entrambi quindi, in casi dettagliati dalla norma, si rischia l’arresto da 5 a 15 giorni. Norme ancora più dure per chi «compie atti sessuali con minori»... Secondo le norme in vigore salvo rari casi specificati un minore sopra i 16 anni (e con una casistica più ristretta sopra i 14 anni) può decidere liberamente di avere una relazione sessuale con un adulto maggiorenne, indipendentemente dalla sua età. Secondo il ddl Berlusconi-Carfagna invece «Chi compie atti sessuali con minori in cambio di denaro o qualunque tipo di utilità (anche non economica), anche solo promessi, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da 1.500 a 6 mila euro». Norme assai dure proposte dal legislatore, allo scopo di punire severamente la tratta delle ragazzine- quasi sempre straniere- costrette spesso con la violenza a prostituirsi in Italia. E’ proprio per questo disegno di legge e per i suoi contenuti particolarmente cogenti e limitanti la libertà dei cittadini che nessun membro del governo in carica ha diritto ad invocare la privacy sulle proprie abitudini sessuali. Chi avendo nelle mani il potere legislativo restringe anche in questo campo limitandola (anche per ottime ragioni) la libertà di tutti, è tenuto poi a rendere conto anche dei suoi comportamenti privati nello stesso campo. Questa- che nessuno invoca- è la vera questione politica che emerge dalla inchiesta di Bari nata sugli appalti nella Sanità pugliese e poi deviata sulle feste, le cene e i ricevimenti del premier Silvio Berlusconi nelle sue residenza private. L’unico tema politico in un paese liberale è che chi ha il potere legislativo non vieti ad altri quello che invece concede a se stesso. Per questo oggi quel disegno di legge, che il governo per altro ha abbastanza abbandonato nel suo iter legislativo, stride con quanto sembrerebbe emergere dalle deposizioni di alcune ragazze davanti alla procura di Bari. Lo dico perché non è uno scandalo, anzi, è legittimo che la vicenda Bari si trasformi in polemica politica. E non è invocabile la privacy sullo stesso tema su cui il premier legifera oltretutto in modo assai restrittivo della libertà altrui.
Detto questo appare evidente come la vicenda barese sia stata utilizzata dagli avversari politici esclusivamente come clava da bandire in campagna elettorale, e non per sventolare un vessillo liberale. E’ una vicenda da prendere assai con le molle, frutto di dichiarazioni di una ragazza che si reca dal presidente del Consiglio italiano allo scopo confessato di vendicarsi di un presunto torto subito e poi provare a ricattarlo. Vicenda cui una fuga di notizie che non si sa se provenga dalla magistratura inquirente o dalla forze di polizia giudiziaria offre il detonatore, e alcuni quotidiani e uomini politici la cassa di risonanza buona per consentirle di fare il giro del mondo. Curioso tanto scandalo in un paese che ha concesso la massima onorificenza pubblica, il seggio da senatore a vita a Emilio Colombo, e lo ha fatto per il suo ruolo politico, mettendo giustamente in secondo piano ogni aspetto della sua vita privata o sanitaria. Il paese che oggi dedica tanta attenzione alle foto-ricordo di due ragazze in un bagno di palazzo Grazioli è lo stesso che due anni fa linciò in ogni modo Maurizio Belpietro, reo di avere pubblicato una foto che era stata sequestrata: quella di Silvio Sircana, portavoce del premier Romano Prodi, in auto fermo a parlare con un travestito. Molti di quelli che oggi si scandalizzano per la vita privata di Berlusconi, allora si indignarono per il “fango” gettato su Sircana e sull’utilizzo di alcuni media per fare solo “gossip senza rilevanza penale”. Walter Veltroni chiese di “rispettare le persone ed evitare che finiscano nel frullatore. Non si può rovinare la vita delle persone per vendere mille copie in più». Berlusconi prese le parti di Sircana e perfino delle veline intercettate da un pm di Potenza. Fu coerente e liberale, anche se oggi non ha par condicio. Ma è proprio per quella coerenza che dovrebbe riporre nel cassetto quel ddl sulla prostituzione. O rivederne alcune norme, che rischiano di essere assai illiberali...
Franco Bechis
Il lato scoperto del governo
Da più di cinquanta anni la vita privata dei presidenti dei Consiglio italiani, ma anche di importanti leader politici e di rappresentanti delle istituzioni viene protetta e blindata in ogni modo dalla sicurezza pubblica. Non sono mancati premier e importanti esponenti di ogni partito, anche della Dc, che nella vita privata hanno razzolato assai meno bene di quel che sarebbe apparso nelle dichiarazioni e battaglia pubbliche. Amanti, relazioni anche omosessuali, feste private non sono mancate. Non una foto, un video, un resoconto, un’indagine è scappata. E’ questo il lato che più preoccupa perfino gli esponenti più seri dell’opposizione delle vicende che riguardano Silvio Berlusconi: il tema è l’assenza di protezione e sicurezza... All’ora di pranzo sotto il mio ufficio ho incontrato ieri un uomo serio e cristallino come l’ex tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti, oggi parlamentare del Pd. Il colloquio è stato privato, mi perdonerà però se ne rivelo parte del contenuto, perché le sue osservazioni raccontano molto del disagio che si vive anche in quel partito e soprattutto centrano il tema più delicato di quel che sta avvenendo in queste ore. “Ho incontrato a cena ieri sera dei colleghi del Pdl”, spiegava Sposetti, “e ho chiesto loro se sono impazziti: volete preoccuparvi di garantire una volta per tutti la sicurezza del presidente del Consiglio? Ma non è un tema solo loro. Berlusconi è il presidente del Consiglio d’Italia, io ho rispetto per le istituzioni. Qui non è questione di vita privata o meno. Come è possibile in Sardegna o a Portofino fare cinquemila fotografie che ritraggono il premier e i suoi ospiti in casa? Certo, si è trattato di un flash. Ma come ci riesce un flash può arrivarci una pallottola. Che fa la sicurezza? E nessuno è preoccupato della gravità di quanto sta accadendo? E’ protetta così la residenza romana del premier? Chiunque può introdurvisi, scattare foto, effettuare registrazioni, farle circolare senza che nessuno sia in grado di impedirlo o di saperlo prima?”. Sposetti è appunto politico limpido, di quelli rari. Ha senso delle istituzioni come chi è cresciuto a quella grande scuola politica del partito comunista. Ma la sua preoccupazione non è solitaria. “Beh, certo che tentare di sfruttare politicamente quel che sta accadendo è da matti”, sostiene ad esempio Bobo Craxi, pur ritenendo che un presidente del Consiglio dovrebbe evitare situazioni che lo mettano troppo a rischio, “ma sbagliamo noi a non capire la gravità”. Non è un tema di donnine. Ma di sicurezza delle istituzioni
Franco Bechis
Pd e Pdl, l'unica cosa che amano insieme è la guerra
L’unica cosa che li unisce tutti è la guerra. Non solo perchè se la fanno tutti i giorni e quasi sempre senza indossare l’alta uniforme e per ragioni assai banali. Ma perché in mezzo a tante polemiche e colpi bassi c’è un posto quasi nascosto nel Parlamento in cui Pd e Pdl (e perfino Udc, Lega Nord e Italia dei Valori), marciano insieme e colpiscono uniti. E’ la commissione Difesa del Senato, guidata da una vecchia volpe della politica come Giampiero Cantoni (Pdl). A lui è riuscito, proprio di questi tempi, un mezzo miracolo: tenere compatte le truppe di maggioranza e opposizione. E in due sole sedute (l’ultima martedì) ha fatto licenziare programmi di acquisto d’arma per circa un miliardo di euro... C’è un po’ di tutto nelle decisioni votate all’unanimità dalla commissione di Cantoni: sistemi di protezione radaristica, acquisizione di missili di nuova generazione, armi anti-carro e perfino alcune ambulanze blindate per il soccorso ai feriti nelle zone di guerra (per 45 milioni, utili certo in Afghanistan). La raffica di approvazioni nell’ultima settimana ha sbloccato programmi pluriennali per un valore di un miliardo e 50 milioni, sia pure spalmati su più anni. Ma non è un precedente alla commissione Difesa, perchè in tutta la legislatura i partiti hanno marciato insieme in quasi tutte le occasioni. Unica eccezione vistosa l’8 aprile scorso, quando una parte del Pd non ha partecipato alla votazione sul programma di acquisizione del caccia americano Joint Strike Fighter, rilevando come di fronte a un investimento di oltre 1 miliardo di dollari ci sarebbe stato un ritorno certo per Finmeccanica non superiore ai 150 milioni. Nella decisione c’era poi l’antica divisione fra i sostenitori del caccia JSF e quelli di Eurofighter, l’analogo velivolo dell’industria europea. Ma si è trattato di un’eccezione alla regola. Nella concordia della commissione certo ha un peso il fatto che i rappresentati dei vari partiti siano ex militari, come i generali Mauro Del Vecchio (Pd) e Luigi Ramponi (Pdl). Ma anche questo può diventare un esempio: quando i partiti inviano in commissione esperti reali dei temi che si discutono, è più facile raggiungere intese sul bene comune senza giocare alla guerriglia inutile fra le parti. Non sarebbe stato male potere marciare in questo modo anche sui provvedimenti economici contro la crisi, con un po’ di capacità e buona volontà nelle fila dell’uno e dell’altro fronte. Ma purtroppo l’unica cosa che unisce tutti è proprio la guerra...
Franco Bechis
Primo golpino? Già sventato
Se golpe (o golpino) era davvero in corso, bisogna dire che in poche ore il suo primo atto è fallito. Finito ko in poche ore fra la casa Bianca e il Quirinale. Con Barack Obama che a colpi di «my friend» ha smontato in pochi minuti il caso di un presunto isolamento internazionale di Silvio Berlusconi. E con il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, che in pochi minuti ha sedato la rivolta del Csm contro il governo, fermando la spallata, respingendo le dimissioni di tre magistrati e chiedendo ai giudici di stare al loro posto e di rispettare il Parlamento che fa il suo dovere: legiferare. Un successo l’incontro negli Usa, per quanto minimizzato da parte della stampa italiana... Solo poche ore prima dell’incontro alla Casa Bianca Massimo D’Alema aveva preconizzato scenari tragici per un Berlusconi già quasi sotto scacco. E chi lo aveva intervistato davanti alle telecamere Rai, e cioè l’ex presidente della tv di Stato, Lucia Annunziata, aveva tradotto subito dopo: “‘c’è la sensazione che la stagione di Berlusconi stia entrando in un grave momento di debolezza, da cui potrebbe scaturire, o deflagrare, una crisi istituzionale più ampia. A innescare la crisi potrebbe essere l’arrivo di altri scandali, di altre foto spiacevoli. Temo storie torbide, credo che l’immagine internazionale di Berlusconi, già complicata nei rapporti con l’amministrazione Obama, possa risultare ulteriormente danneggiata’’. IL ritornello è simile a quello più volte recitato in questi mesi dallo stato maggiore del Pd: quel che un’opposizione non è in grado di fare facendo il suo mestiere, cioè mettere in crisi il governo e dargli la spallata grazie ai responsi delle urne, è affidato in modo un po’ torbido ad altri poteri: media, tycoon internazionali, pressing dall’estero, e soprattutto giudici (unico potere su cui il Pd esercita ancora influenza). Basta ripercorrere le cronache politiche di questi mesi per leggere la soddisfazione Pd per una presunta crisi fra il governo italiano e l’amministrazione Obama. Fantasie, e si è visto alla Casa Bianca, dove a parte le manifestazioni di simpatia personali il presidente Usa ha quasi nominato Berlusconi consigliere per i rapporti con la Russia in vista del G8. Anche sul fronte dei giudici Napolitano ieri ha inviato un messaggio di una chiarezza esemplare, proteggendo il senso stesso della democrazia italiana. Una dimostrazione in più che la spallata non verrà da poteri oscuri, perché c’è ancora chi ha il senso dello Stato. Gli unici errori che Berlusconi deve temere sono negli atti del suo governo...
Franco Bechis
Abruzzo, Berlusconi rischia di scivolare
Il 6 giugno scorso una nuova ordinanza della presidenza del Consiglio dei ministri ha stabilito che non tutti i residenti nei comuni della provincia de L’Aquila potevano rinviare la presentazione della loro dichiarazione dei redditi e il pagamento di quanto dovuto al fisco. Dopo averlo concesso appena due mesi prima, agli abitanti di Sulmona (1.118 edifici inagibili), di Raiano (395 edifici inagibili), di Pratola Peligna (293 edifici inagibili) e di decine di altri comuni in analoghe situazioni è stato chiesto di preparare insieme ai loro commercialisti la dichiarazione dei redditi in 22 giorni e versare tutto il dovuto entro il prossimo 16 luglio. E’ l’ultimo pasticcio governativo sulla gestione dell’emergenza Abruzzo. Naturale che la decisione prima in un senso poi in quello opposto su uno dei temi che in caso di terremoto si danno quasi per scontati (la sospensione dei termini fiscali) abbia fatto insorgere gli esclusi, i sindaci dei comuni e i commercialisti, che protestano per la palese violazione dello Statuto del contribuente, il testo per altro fra i più elusi dal fisco italiano. Il caso riguarderà qualche migliaio di contribuenti, e forse non è il più importante in Abruzzo a oltre due mesi dal sisma. Ma è indicativo di quanto sta accadendo una volta spentesi le luci dei riflettori, ed è contenuto in un corposo dossier di cose che non funzionano. Molte sono emerse questa settimana quando alla Camera sono stati sentiti informalmente il sindaco e il presidente della provincia de L’Aquila e il presidente della Regione (che è Pdl). Si può capire un po’ di confusione nelle prime settimane, ma il tempo passato dovrebbe avere schiarito le idee. E invece il decreto legge per la ricostruzione dell’Abruzzo si è riempito di molte norme nel suo già faticoso percorso parlamentare, ma continua ad avere coperture ballerine (si pensi ai fondi Fas fra 2 e 4 miliardi di euro, e c’è una bella differenza) e in alcuni casi proprio nessuna copertura. Così capita che si sia stabilita una zona franca per investimenti per attrarre imprese nella ricostruzione, e i fondi a disposizione (45 milioni di euro, non una follia) sono relativi solo al 2009: chi investirà mai con una mini-agevolazione per un anno solo? Ma l’elenco è lungo. Se hai perso casa e capannone industriale, lo Stato ti aiuta o sull’uno o sull’altro, e chissà perchè. Visto l’impegno personale del premier Silvio Berlusconi sulla vicenda, il caso Abruzzo rischia di trasformarsi in questo modo in una buccia di banana per il governo...
Franco Bechis
36° giorno di caccia a Noemi- Flop internazionale della stampa di inchiesta
La caccia è giunta al 36° giorno, ma la volpe si è conservata intatta la sua pelliccia, fuggendo ai migliori cani da caccia sguinzagliati in mezzo mondo, che finora hanno rimediato una tale figuraccia da rischiare la condanna a una vita con la pantofola fra i canini... Sissignori, per incastrare sul caso di Noemi Letizia il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi non si è badato a mute nè a spese. Ma il risultato sembra al momento assai magrolino. Repubblica ha messo in campo il suo migliore cacciatore, uno che dovrebbe scoprire tartufi anche a mille metri di profondità. Ma il povero Giuseppe D'Avanzo ha rimediato sì e no quel tubero-patata di Gino Flaminio, perfino con il dubbio di non averlo scovato, ma rimediato al mercato a 7-800 euro all'etto...Dopo 36 giorni in mancanza di meglio ha dovuto virare su un passaggio a bordo in aereo di Stato per Mariano Apicella, roba che perfino Clemente Mastella se l'era cavata all'epoca con una alzatina di spalle. Michele Santoro con la sua potenza di fuoco non è riuscito nemmeno a fare una direttina che sia una dal celebre ristorante di Casoria, cosa che 24 ore dopo è riuscita perfino a Lorenzo Cesa e Ciriaco De Mita che quelle sale hanno occupato per un tradizionalissimo pranzo elettorale. Il Corriere di Ferruccio De Bortoli, all'insegna del vorrei ma non posso si è dovuto accontentare una volta sola del bollettino degli umori del giorno di Veronica Lario. Il temutissimo Espresso è sceso in campo, ha sparato le sue rivelazioni sull'harem berlusconiano ma avendo il braccino corto non è riuscito nemmeno a rimediare una fotina di quelle che un anno fa fecero boom sulla prima pagina di Oggi. Magro bottino anche nella caccia al fotografo che avrebbe ben 1200 scatti sul Capodanno in allegria di villa Certosa. Pieno di topa- si dice. Ma l'unico topo beccato come mamma ha fatto è Mirek Topolanek, premier ceco. Sì, è proprio il simbolo della caccia grossa: ti attendi la topa, ti rimane in mano un Topolanek. Ma visto che la caccia è internazionale è scesa in campo perfino la stampa straniera. Antipastino offerto da Tana de Zulueta su The Guardian. Lei fu celebre giornalista (senza firma, è la regola) del "prestigioso" The Economist. Per due legislature è stata pure parlamentare italiana. Da più di venti anni vive in Italia, ma parla più o meno come Alberto Sordi in "Un americano a Roma". E con questa perfetta conoscenza del paese che la ospita e della sua professione ha spiegato ai lettori del Guardian che Berlusconi ormai ha occupato anche il Corriere della Sera, mettendoci alla guida Gianni Riotta. Complimenti! A parte la scoperta della militanza di Riotta nel Pdl, a noi tutti era sembrato fosse divenuto direttore del Sole 24 Ore, non del Corriere. Ma il meglio è venuto dal Times, altra "prestigiosa testata". Qui il tartufo scovato al mercato da Richard Owen era niente meno che un'intervista alla mamma di Noemi Letizia, pronta a minacciare: "Silvio dovrà fare per lei quello che non ha fatto per me". Evviva, solo che poi messo alle strette lo stesso Owen ha dovuto ammettere che la signora non era mai stata intervistata e che anzi aveva scopiazzato male da un giornale italiano "che non mi ricordo più quale sia!". Fatto sta che non Berlusconi invocava mamma Letizia, ma nostro Signore! Ironia della sorte il Times che voleva dare la spallata a Berlusconi è finito per scambiarlo con Dio... E lì le spallate hanno poca speranza. D'altra parte si tratta dello stesso giornale che in un editoriale stigmatizza che "Berlusconi si accompagni a donne 50 anni più giovani di lui". Già, il Times, quello di Rupert Murdoch, classe 1931. Sposato con Wendy Deng, classe 1968. Trentasette anni di differenza. L'età giusta- di più no- per il bon ton oltremanica...
Resta in questa grande caccia lo spazio per la contraerea. E anche lì, risultati magrolini. Alle mute di Repubblica ha provato a resistere (legittima difesa, certo) Mario Giordano con il suo Giornale. Ha cercato in questi 36 giorni la prova regina: quella che il teste (teste, beh...) chiave di D'Avanzo, Gino Flaminio, avesse raccontato solo dietro compenso. La prova è arrivata. Con tanto di foto e filmato: Flaminio per vuotare il sacco ha chiesto soldi. E la consegna di 500 euro è stata documentata. Glieli ha dati un giornalista. Del Giornale...
Per avvicinare lady B bisogna fare i conti con Alberto
Al telefono è ancora raggiungibile, e ne sanno qualcosa i giornalisti di Repubblica e talvolta del Corriere della Sera che provano a chiamarla quasi tutti i giorni. Ma se esce da casa e perfino all'estero, nella residenza di Londra o a New York Veronica Lario è ormai inavvicinabile. Protetta senza tanti complimenti per nessuno da Alberto Orlandi, classe 1972, un professionista con i fiocchi. Un bodyguard proprio come quello del celebre film che spopolò all'inizio degli anni '90 (interpretato da un Kevin Costner travolto dall'appassionante storia di amore per la cantante che doveva sorvegliare, Whitney Houston). Alberto è uno dei due capiscorta a villa Macherio, ed è un vero mastino. Ha iniziato la sua carriera in una società privata, poi è entrato nel gruppo Fininvest-Publitalia come autista di fiducia finendo con la stessa mansione circa dieci anni fa a Macherio. Visto il fisico e le capacità. è diventato subito uno degli uomini della scorta di famiglia, facendo una gran carriera. Da quasi sette anni Veronica rifiuta chiunque non sia lui a proteggerla in ogni spostamento in villa, in Italia e perfino all'estero, tanto da costringere l'Orlandi a un superlavoro che spesso lo tiene lontano dal figlio.
Monica Franchi
(da Italia Oggi- Sabato 30 maggio 2009)
Ilda la rossa procuratore aggiunto di Milano all'unanimità
Ilda Boccassini è il nuovo procuratore aggiunto di Milano. Il pm soprannominato non solo per il suo colore dei capelli "Ilda la rossa" un anno dopo Francesco Greco è riuscita finalmente ad essere promossa nell'ufficio in cui più ha lavorato. La nomina, già proposta dalla quinta commissione del Csm con la sola astensione di Michele Saponara, ha ottenuto invece l'unanimità nel plenum del Csm poco dopo le 12 di giovedì 28 maggio. La Boccassini è stata pubblico ministero nel processo Imi-Sir e in numerosi altri procedimenti che hanno riguardato Silvio Berlusconi e il suo gruppo Fininvest-Mediaset. La sua promozione probabilmente non è una buona notizia per il premier
Nati dopo il 25 aprile
In Italia ci sono regolari 61.682.417 abitanti. Di questi 2.063.127 sono stranieri non residenti ma in possesso di regolare permesso di soggiorno. I residenti sono 59.619.290. Di questi 3.432.651 sono stranieri che vengono da ogni parte del mondo e hanno ottenuto la cittadinanza italiana. A tutti questi della storia di Italia importa relativamente, perchè per loro la storia ha altre radici. Restano dunque 56.186.639 italiani nati e cresciuti in Italia. Fra loro 46.416.637, pari all’82,61%, ha meno di 63 anni. E’ cioè nato dopo il giorno della liberazione, dopo il 25 aprile 1945. Considerando tutta la popolazione residente sul territorio solo il 15% ha vissuto quel giorno. Più o meno da protagonista. Perchè di quel 15% vivo e presente in Italia il 25 aprile 1945 uno su tre aveva fra zero e cinque anni, e presumibilmente ha ricordi un po’ confusi di quel giorno.
Quindi l’assoluta stragrande maggioranza di questo paese non ha vissuto i giorni del fascismo nè quelli della seconda guerra mondiale, nè quelli della liberazione. Non ha sentito sulla propria pelle lo scontro fra l’una e l’altra fazione, e naturalmente non fa di quel giorno una bandiera o una religione per i motivi che vorrebbe chi organizza cortei, palchi e comizi in piazza. Per molti, quasi tutti, quello è soprattutto un giorno di festa. La festa di una nazione, il paese in cui si vive, la memoria del giorno natale dell’Italia libera, democratica e repubblicana. Queste parole hanno un senso, più o meno sentito per tutti. Non lo ha invece la contrapposizione, la divisione sul giorno della liberazione che di alcuni e non di altri. Non lo ha perchè quel giorno non rappresenta questo per nove italiani su dieci. Ci si contrappone? Sì, certo. Come quando la Cgil sfila in corteo davanti al circo Massimo. Come quando l’onda degli studenti occupa le scuole contro la riforma di Maristella Gelmini. Ma una contrapposizione che ha le ragioni dell’oggi, non quelle del 1945. Ci si divide fra l’Italia di Silvio Berlusconi e quella che non si riconosce in lui, anzi. Le polemiche sui cortei del 25 aprile nascono lì, non in una storia non vissuta sulla propria pelle. Ha senso allora porre oggi l’accento come ha fatto il capo dello Stato Giorgio Napolitano, sulla necessità di tenere «fermo un limite invalicabile rispetto a qualsiasi forma di denigrazione o svalutazione di quel moto di riscossa e riscatto nazionale cui dobbiamo la riconquista anche per forza nostra dell’indipendenza, dignità e libertà della Nazione italiana»? Ha senso invitare a celebrare «tutti uniti»? No, perchè diventa un modo per fare risaltare quella divisione che è più nella testa, nel ricordo e certo anche nel cuore di chi organizza le manifestazioni di ogni 25 aprile che nel vissuto e nella coscienza degli italiani.
Certo, si fa memoria della storia, ed è sacrosanta la memoria delle proprie radici. Accade in tutti altri paesi. Ma è evidente che la presa della Bastiglia per i francesi è una festa che ha radici e valori che si sono trasformati dal 1789 ad oggi seguendo il vissuto di una nazione. Così il 4 luglio, festa dell’indipendenza americana. Si fa memoria anche il giorno di Natale e di Pasqua per i cristiani, conservandone le radici autentiche. Ma non una storia che non ha più senso. C’è una barzelletta che ogni tanto si racconta. Anno 2009, un cristiano incontra un ebreo per strada. Lo ferma e comincia a riempirlo di pugni. Arriva un altro cristiano e gli urla “Ma che fai, sei impazzito?”. E lui: “ma è un ebreo!”. L’altro, fermandogli il braccio: “e allora?”. “Ha crocifisso Cristo!”. “Duemila anni fa!”. “Sì, ma io l’ho saputo solo ieri sera…”. Beh, il 25 aprile come è oggi vissuto in Italia da una parte e dall’altra sembra assai simile a questa barzelletta. I continui distinguo, la stucchevole radicalizzazione nelle due parti contrapposte, fomentata da chi ancora ha il ricordo di quello scontro (partigiani e fascisti), non è più anima di questa nazione. Bisognerebbe prenderne atto e smetterla una volta per tutte. Questo è l’anno buono, che sia una festa per tutti.
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