Per sostituire Silvio
Berlusconi e affrontare la grave situazione economica e istituzionale il Partito
democratico vorrebbe un governo come quello che nel 1993 calò le braghe di
fronte alla mafia dandola vinta alla massima organizzazione criminale italiana:
il governo guidato da Carlo Azeglio Ciampi. Proprio nelle ore in cui emerge la
grave responsabilità di quell’esecutivo che disapplicò il 41bis (il carcere duro
ai boss) come i mafiosi volevano, ricattando lo Stato di strage in strage, uno
dei leder del Pd, Walter Veltroni, se ne è uscito con una proposta incredibile:
“Si deve dare vita a un governo istituzionale che, come il governo Ciampi,
rassereni e dia sicurezza al Paese. Chi vuole votare ora è nemico dell’Italia”.
Va bene che il Pd è ormai famoso per non averne azzeccata mai una da quando è
nato, ma l’uscita di Veltroni ha fatto strabuzzare gli occhi a molti dei suoi.
Proprio quando dentro il partito si stava perfino accarezzando l’idea di
accasare (c’è chi dice perfino come leader) un uomo-simbolo dell’antimafia come
Roberto Saviano, è sembrato follia uscirsene con quel “modello governo Ciampi”
proprio nel bel mezzo delle rivelazioni sui favori fatti dall’esecutivo in quel
1993 ai boss di Cosa Nostra accettando di fatto le condizioni poste dal papello
Ciancimino trovato un anno fa. Prudenza avrebbe consigliato di cancellare
perfino il ricordo di quel governo, che tutto fece meno che rassicurare
l’Italia, ma il Pd- si sa- è fatto così: se trova l’occasione per un hara-kiri
ci si butta a capofitto.
Proprio mentre Veltroni
confessava al Corriere il suo modello, ieri davanti al pm fiorentino della Dna,
Gabriele Chelazzi, si è svolto l’interrogatorio di Nicolò Amato, che nel 1993
era direttore delle carceri italiane. L’ex collaboratore del ministro della
Giustizia dell’epoca, Giovanni Conso, ha confermato che la decisione di
disapplicare il carcere duro ai mafiosi venne proposta dall’allora capo della
polizia, Vincenzo Parisi, un fedelissimo del presidente della Repubblica Oscar
Luigi Scalfaro, e che vi furono anche “pressanti insistenze” per la revoca della
carcerazione dura da parte del Viminale, che era guidato da Nicola Mancino.
Grazie a questo pressing il governo Ciampi adottò due decreti di revoca del
carcere duro ai mafiosi. Uno a maggio e l’altro a novembre e i destinatari erano
in tutto 280 boss detenuti nelle carceri di Secondigliano, di Poggioreale e
dell’Ucciardone.
Amato ha confermato
parzialmente la versione di Conso, dicendo che non vi fu trattativa con le
organizzazioni mafiose (non avrebbe per altro potuto dire diversamente), ma
discussione politica sì, tutta nelle sedi istituzionali. Lo scopo sarebbe stato
quello già rivelato dall’ex ministro della Giustizia: fare finire la stagione
delle stragi allentando la morsa di quel 41bis che a tutti era chiaro fosse
all’origine degli attentati e degli assassinii del 1992-’93.
Ci sarà da indagare
naturalmente sulle versioni e sui motivi di quella scelta, ma intanto i nuovi
fatti emersi, le testimonianze e le documentazioni per la prima volta acquisite
agli atti sono in grado di riscrivere la storia di quegli anni e probabilmente
buona parte della storia di Italia così come l’abbiamo conosciuta. Sentenze
comprese.
La vicenda dei rapporti fra
Stato e Mafia invece di essere studiata e indagata con prudenza viene spesso
utilizzata in modo distorta come manganello di uno schieramento contro l’altro.
Ha brandito questo argomento in modo maldestro lo stesso Saviano contro la Lega,
scatenando le ira del ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Incidente simile è
accaduto ai primi di novembre al Fatto quotidiano ditretto da Antonio Padellaro.
Che ha pubblicato l’anticipazione di un libro-intervista alla prima moglie di
Flavio Briatore titolando “Quando Mr. Billionaire frequentava i mafiosi” e
prendendosi una querela dal diretto interessato. Il Fatto si scandalizzava per
la presunta frequentazione da parte di Briatore alla fine degli anni Ottanta di
due personaggi: Gaetano Corallo, il re del casinò delle Antille e Rosario
Spadaro, re degli hotel delle Antille. Erano loro i mafiosi individuati dal
Fatto, e Briatore ha querelato perché sostiene di non averli mai frequentati.
In effetti i due personaggi
frequentavano all’epoca il bel mondo. Non la famiglia Briatore, però. Si
trattava della famiglia Ciampi. E in particolare del rampollo di Carlo Azeglio,
Claudio, che all’epoca era dirigente dell’ufficio di New York della Bnl, in
mezzo a mille polemiche per non avere controllato la filiale di Atlanta ed
evitato lo scandalo internazionale dei fondi all’Iraq. Ciampi jr aveva rapporti
strettissimi con Spadaro, tanto da essere stato intercettato dall’Alto
commissario antimafia, Domenico Sica (le carte sono ancora in archivio) numerose
volte al telefono con lui e nell’estate del 1989 addirittura mentre erano
insieme in barca. Un missino dell’epoca, per anni fiero oppositore di Gianfranco
Fini e ora finito fra le sue braccia, il barone Tommaso Staiti di Cuddia,
presentò una interrogazione parlamentare che fece molto rumore, ipotizzando che
nelle Antille con Spadaro fosse finito anche il governatore della Banca di
Italia, Carlo Azeglio Ciampi. In effetti nelle telefonate con Ciampi jr c’erano
numerosi riferimenti di Spadaro a un imminente incontro con “il Governatore”.
Interrogati poi i due sostennero che il riferimento era al Governatore della
isola di Sant Marteen. Ciampi jr per diradare le ombre che si addensavano sul
padre ammise la frequentazione con Spadaro, prima sostenendo “non ho letto da
nessuna parte che Spadaro sia stato giudicato colpevole di qualche reato”, poi
aggiungendo: “Rosario è cliente della Bnl da molti anni, più di dieci. Siccome
io mi occupo dell’area commerciale, mi sembra naturale che io abbia contatti con
lui. Credo non sia reato e tantomeno peccato andare in barca con qualcuno..”.
Spadaro è stato arrestato due volte. Nel 1993 dalla polizia olandese nelle
Antille per un’inchiesta sulle tangenti. Nello stesso anno è stato indagato
dalla procura di Messina per traffico internazionale di armi. Nel 2005 Spadaro è
stato arrestato una seconda volta per ordine della procura antimafia di Reggio
Calabria nell’ambito dell’inchiesta “Gioco d’azzardo”. Reati che non hanno
portato al momento a condanne in via definitiva. Resta il fatto che Spadaro in
barca andava con il figlio di Ciampi e non con Briatore. Banale particolare che
però insieme a quelli ben più seri e sostanziosi che emergono fra i segreti
dell’attività del governo Ciampi nei confronti della mafia, racconta una storia
assai diversa dalla favola ufficiale narrata. Particolare che sconsiglia
vivamente di utilizzare questi temi in modo strumentale: spesso si rivelano
armi a doppio taglio.