Per l'eredità han dovuto resuscitare Caracciolo a giugno

L’atto porta del 19 giugno 2009, il numero di repertorio 80915/19467. E’ stato stilato dal notaio Antonio Mosca ed è stato trascritto nel registro del catasto il 20 luglio 2009. E’ un atto notarile pubblico di assegnazione a socio dei beni della società per scioglimento della stessa. Come riporta il documento è rubricato un po’ grottescamente come «atto fra vivi». Grottesco perchè la società sciolta si chiama «Tenuta di Torrecchia», ha sede a Cisterna di Latina e cede i suoi 120 beni fra porzioni di fabbricati e terreni al principe Carlo Caracciolo di Melito, nato a Firenze il 23 ottobre 1925. Ma il principe alla data dell’atto è passato a migliore vita da sei mesi: è morto il 15 dicembre 2008. Quell’atto però è necessario per l’eredità... La tenuta di Torrecchia era assai cara al principe, che ci ha vissuto gran parte del suo tempo. Lì dettò le sue ultime volontà il due agosto del 2006. L’unico testamento ritrovato al centro della contesa fra eredi sicuri (Jacaranda Falck) e presunti (figli illegittimi in causa). Fu aperto dal notaio Fabio Ricci di Aprilia alla presenza di testimoni due giorni dopo la morte del principe, il giorno successivo al rilascio del certificato di morte da parte dell’ufficio dello stato civile del comune di Roma. Una buona parte dell’eredità lasciata ad amici e conoscenti riguardava proprio terreni e fabbricati della amata tenuta di Torrecchia. Beni lasciati insieme a una consistente liquidità dallo stesso principe essenzialmente agli amici del gruppo Espresso che con lui avevano condiviso per decenni la passione per l’editoria. A Milva Fiorani ad esempio lasciò due milioni di euro, a Gianluigi Melega 500 mila euro. Somme consistenti. Ma poi il testamento continuava: “In merito alla società Torrecchia srl dispongo che le case attualemnte in uso, ovvero condotte in locazione dai signori Milvia Fiorani, Marco Benedetto, Donata Zanda ed Ettore Rosboch vengano agli stessi lasciate vita natural durante. Per tutto il resto del mio patrimonio, mobiliare e immobiliare, nomino mia erede universale Jacaranda Falck Caracciolo in Borghese”. Ma la società che aveva in carico la tenuta sarebbe da lì a poco satta messa in liquidazione e scioglimento, e il destino dei beni avrebbe dovuto essere l’assegnazione al socio per poi girare tutto ad eredi e usufruttuari secondo quanto stabilito. L’operazione non potè essere realizzata con Caracciolo in vita. E così si è fatta post mortem con quel grottesco “atto fra vivi” del giugno scorso che facilita il percorso ereditario... Franco Bechis

Mr Husky spacca gli Agnelli- Famiglia divisa sul commercialista che ha consigliato Marella sui cani mettendola nei guai con il fisco

L’uomo che con il suo appunto rischia di mettere nei guai con il fisco Marella Agnelli, e cioè il commercialista torinese Gianluca Ferrero che suggerì all’indomani della morte dell’Avvocato di non intestarsi i cani husky posseduti a Torino per non fare sembrare fittizia la residenza in Svizzera, ha provocato una frattura finora inedita fra gli altri eredi. E’ proprio su Mr Husky che la famiglia si è spaccata all’interno della cassaforte societaria, la Giovanni Agnelli & c e per la prima volta nella sua storia non ha votato all’unanimità una proposta del presidente, rischiando di causare le dimissioni di un irritato Gianluigi Gabetti. Lo rivela il verbale integrale dell’assemblea straordinaria della accomandita depositato presso MF-Honeyvem... L’autore di quel memorandum con i consigli alla vedova Agnelli che ora sono al centro della indagine del fisco italiano sull’eredità dell’Avvocato fu infatti nominato socio accomandatario della Giovanni Agnelli & c il 15 maggio 2008 per addirittura un trentennio, fino “all’assemblea di approvazione del bilancio al 31 dicembre 2008”. La proposta arrivò da Gabetti, che di conseguenza sottopose all’assemblea della famiglia anche la modifica dell’articolo 10 dello statuto sociale con l’elenco dei soci accomandatari, convinto che per semplice alzata di mano la pratica sarebbe stata chiusa in un baleno. Mr Husky, il giovane Gianluca, era figlio di Cesare Ferrero, presidente del collegio sindacale della stessa Giovanni Agnelli & C. Come ricordò lo stesso Gabetti quel giorno, fu l’Avvocato prima di morire a raccomandarglielo: “si tenga stretto il dottor Ferrero”. Gianluca era pure nipote di un altro professionista di fiducia, Giorgio Giorgi, rappresentante comune degli azionisti. Tanto che con la nomina di Mr Husky a socio accomandatario quello stesso giorno si sono dovuti dimettere per incompatibilità padre e zio. Ma la rapida alzata di mano non ci fu. Per la prima volta nella storia della cassaforte degli Agnelli uno dei capostipite, la sorella dell’ Avvocato, Maria Sole Agnelli Teodorani Fabbri, alzò la mano per dire no. Nulla di personale verso Mr Husky, ma «lo spirito che ha sempre contraddistinto la società dalla sua costituzione è stato quello di circoscriverne la partecipazione ai componenti della famiglia. Ritengo che ciò trovi conferma nella norma che vuole in capo agli accomandatari il requisito di azionista. Si tratta pertanto non di semplici amministratori, ma di persone di famiglia. Vero che ci sono state le dovute eccezioni, di cui Gianluigi Gabetti è autorevole e ben voluto rappresentante, ma come è noto, l’eccezione conferma la regola e non la modifica». Maria Sole precisò con cortesia di non fare “alcuna valutazione sul candidato proposto, che anzi considera persona degna della massima stima”, e dopo una discussione anche accesa confermò la sua contrarietà alla nomina di Mr Husky decidendo però di astenersi nel voto per non provocare eccessiva frattura con un no, decisa comunque “ad attenersi allo spirito delle norme che governano la società”. Non la prese bene Gabetti, che replicò: “Ho sempre rispettato l’opinione degli azionisti, non sono mai venuto meno allo spirito che regola lo statuto della società e in questo spirito i fondatori, l’avvocato Giovanni Agnelli e l’ingegnere Giovanni Nasi, vollero che a fianco dei familiari vi fossero due amministratori indipendenti. Oggi io sono l’unico rimasto e la mia preoccupazione è che alla mia scomparsa possa non esserci più nessuno”. In effetti in passato altri due autorevoli esterni alla famiglia ebbero il ruolo proposto a Mr Husky: Cesare Romiti e Gabriele Galateri di Genola. Nessuno contestò le scelte. Ma il precedente non ha convinto Maria Sole. Provocando la frattura e il commento di Gabetti: «Prendo nota con tristezza che per la prima volta nella storia dell’accomandita una delibera non è stata assunta all’unanimità su tutto». Un precedente che non avrebbe potuto avere un bis: “altrimenti il mio impegno morale verso gli azionisti verrà riveduto perché è stato assunto alla condizione di potere sempre rappresentare l’opinione unanime degli azionisti stessi”. All’uscita dell’assemblea Gabetti fu avvicinato dalle agenzie di stampa: “Con il consenso di tutti Gianluca Ferrero è il nuovo accomandatario». Il caso Mr Husky è restato in famiglia... Franco Bechis

I cani mettono nei guai Marella Agnelli con il fisco

L’Agenzia delle Entrate, che ha aperto un fascicolo sull’eredità di Gianni Agnelli per verificare eventuali profili di evasione fiscale, sta accertando anche l’effettiva residenza svizzera di Marella Caracciolo vedova Agnelli. A fare rischiare qualche brivido alla signora, secondo quanto risulta a Italia Oggi, sarebbe la passione di Marella per gli amati husky, i cani che prediligeva anche l’Avvocato, la cui permanenza sarebbe accertata in suolo italiano, principalmente a Torino per più dei fatidici sei mesi annui, data limite per considerare fittizia la residenza estera di un cittadino italiano. Ad avere attirato l’attenzione un appunto del commercialista torinese Gianluca Ferrero, con riferimento ai cani e ai domestici di casa Agnelli. Ad avere attirato l’attenzione degli ispettori del fisco italiano sono sostanzialmente due passaggi del memorandum firmato da Ferrero il 16 maggio 2003 con l’elenco dei beni posseduti dall’Avvocato al momento della morte, relativi all’assunzione dei 15 domestici in servizio nella residenza di famiglia sulla collina di Torino e all’intestazione dei cani. Il suggerimento dei commercialisti a Marella fu quello di non caricarsi nè dipendenti nè animali, intestando (così sta scritto nell’appunto) i domestici a John Elkann e i cani a un prestanome. L’avvertenza dei commercialisti di fiducia, scritta nel memorandum, fu infatti quella che con quei passaggi si poteva mettere a rischio l’effettiva residenza in Svizzera, «paese in cui l’amministrazione fiscale italiana non riconosce ai cittadini italiani lo status di residenti anche ai fini fiscali, salvo prova contraria da prodursi a cura del contribuente». Con il trasferimento a Marella di cani e domestici sarebbe divenuta secondo lo studio Ferrero «un domani molto complessa la possibilità di provare la propria residenza estera». Il testo di quel memorandum, reso noto per la pubblicazione sulla stampa italiana a fine luglio, è entrato ora nel fascicolo predisposto dalla Agenzia delle Entrate. Ufficialmente la struttura guidata da Attilio Befera non conferma e non smentisce l’indagine sulla effettiva residenza svizzera di Marella, ma spiega che gli ispettori del fisco “si stanno muovendo a 360 gradi”, partiti per il momento da ritagli di stampa, e che quindi tutti gli accertamenti del caso verranno effettuati “come prevede la procedura secondo routine”, anche se al momento nessuna contestazione formale è stata notificata. Naturalmente il tema della residenza della vedova Agnelli come di tutti gli eredi dell’Avvocato ha rilievo anche a proposito di eventuale liquidità che potrebbe emergere al di fuori dei confini italiani (la polpa di quell’indagine riguarderebbe infatti due miliardi di euro di fondi non ricompresi negli accordi ereditari e contestati dalla figlia dell’Avvocato, Margherita Agnelli). Indagini come queste sono svolte ogni anno dal fisco italiano su centinaia di grandi contribuenti e su migliaia di sospetti evasori. Non c’è da scandalizzarsi dunque se tocca anche agli eredi della più importante famiglia italiana di questi decenni. Come spesso capita le liti sugli assi ereditari provocano guai collaterali, e quel che è accaduto in casa Agnelli non poteva sfuggire agli occhi nè del fisco nè della stampa. Nessuno è colpevole di nulla fino a quando non viene accertata quella che è solo un’ipotesi in via definitiva, e il fisco italiano non sempre ha brillato in rapidità in casi simili. Giusto quindi invocare prudenza e garantismo, che sono bandiere sventolate in Italia quasi sempre secondo le convenienze e gli schieramenti del momento. Chi fa spallucce sul caso Agnelli e magari si indigna pure accusando chi ne riferisce di macchiare la memoria di chi non può più difendersi, spesso ha trasformato ipotesi giudiziarie che riguardavano per esempio le aziende di Silvio Berlusconi in titoli simili a sentenze passate in giudicato. Non c’è dubbio alcuno sul fatto che imprese e grandi patrimoni italiani abbiano cercato di evitare la mannaia del fisco per decenni secondo formule più o meno raffinate. Stuoli di consulenti hanno lavorato per questo. La confusione legislativa ha offerto più di una via di fuga, è vero. Ma la sostanza è che ricchezza prodotta in Italia è stata sottratta con più o meno furbizia al fisco, e cioè al bene collettivo. Poi magari chi lo ha fatto è stato in prima fila a fare predicozzi sullo Stato che non funziona, sulle infrastrutture che mancano, sui servizi sociali scadenti. E cioè sulle conseguenze di quella furbizia. Ci saremmo risparmiati almeno la beffa delle prediche inutili... Franco Bechis

Il cavaliere inseguito dal Fisco. Anche sotto Tremonti

In un anno per ben tre volte il fisco ha bussato, con modi un po’ rudi, alla porta principale dell’impero di Silvio Berlusconi, quella del gruppo Fininvest. Per due volte, alla fine del 2007 e all’inizio del 2008, lo ha fatto regnante Romano Prodi e con Vincenzo Visco viceministro delle Finanze. La terza volta è capitata con lo stesso Berlusconi a palazzo Chigi e con Giulio Tremonti al ministero dell’Economia. Porta perfino una data simbolo di disgrazie, quella dell’11 settembre 2008, giorno in cui è stato consegnato a Fininvest un verbale di contestazione relativo a partite Ires, Irap e Iva dell’anno 2004. A rivelarlo è la nota integrativa al consolidato della capogruppo di Berlusconi da poco depositata al registro delle imprese. Con stile asciutto, la capogruppo guidata dalla primogenita del premier, Marina Berlusconi, spiega che “sul finire del 2007 e del 2008 alla società sono stati notificati due avvisi di accertamento- riferiti alle annualità 2002 e 2003- emessi dall’Ufficio delle Entrate- Roma I in esito alla verifica parziale condotta da personale della Direzione regionale della Lombardia». Per farla breve, nel primo si contesta la deduzione di una svalutazione della partecipazione in Trefinance sa, che è la finanziaria estera del gruppo, e nella seconda l’indebita fruizione del credito di imposta sui dividendi percepiti da un’altra partecipata, Euridea (la ex Standa) prima che questa venisse ceduta a terzi. Fininvest ha chiesto all’amministrazione, come fanno tutti, la formulazione di una proposta di accertamento con adesione. Ma è stata respinta: il regalino finale di Prodi e Visco. Alla società non è restata altra arma che avviare il contenzioso tributario “per vedere annullate entrambe le pretese dell’amministrazione finanziaria”. Ma ancora sotto il governo di centro sinistra è arrivata la richiesta di dare un’occhiata anche ai conti 2004. Da lì è partita l’indagine che si è concretizzata nel verbale di contestazione a Fininvest dell’11 settembre 2008. Per contestare “l’indebita deduzione di costi ai fini Ires e Irap e la mancata regolarizzazione ai fini Iva di movimenti finanziari ritenuti corrispettivi di prestazione di servizi”. Ritenendo di avere ragione, Fininvest non ha stanziato alcun fondo rischi, e quindi non si conosce l’entità delle tre contestazioni. Ma il gruppo è ormai abituato insieme a quello con i pm anche al braccio di ferro con il fisco. Avvenne anche in Spagna, dove nel 2008 dopo 10 anni un giudice ha dato ragione a Berlusconi, liberandogli 21,6 milioni... Franco Bechis