C’è una sola cifra
ufficiale fino ad oggi rivelata sull’entità dei risarcimenti che la Chiesa americana ha dovuto
pagare per i casi di pedofilia. E’ contenuta nel rapporto stilato dalla John JAY
College of Criminal Justice per la conferenza episcopale americana. Fino al
2002 ha
censito pagamenti totali per 572 milioni di dollari, 499 effettuati direttamente
dalle diocesi coinvolte e 72,3 sopportati da ordini religiosi. Al rapporto ogni
anno vengono allegati i nuovi risarcimenti ottenuti con trattativa diretta e
talvolta anche in seguito a veri e propri processi: il costo totale sopportato
dalla Chiesa americana fino ad oggi si avvicina al miliardo di dollari. Ed è una
cifra calcolata per difetto: molte diocesi hanno perferito tenere segreti i
patteggiamenti su casi che non erano esplosi sulla stampa locale. D’altra parte
bastano già i casi censiti ufficialmente: sono ben 4.392 nei soli Stati Uniti i
sacerdoti o i religiosi accusati di pedofilia. Per ognuno di loro su un database
pubblico all’indirizzo Internet http://app.bishop-accountability.org è archiviata tutta la documentazione raccolta negli
anni. Lì da anni sono depositati tutti i documenti relativi al caso di padre
Murphy della diocesi di Milwaukee. Anche i carteggi fra gli arcivescovi e il
cardinale Tarcisio Bertone, all’epoca segretario della Congregazione della
dottrina della Fede. Quel che sta agitando in queste ore il New York Times non è
dunque uno scoop giornalistico: gli avvocati di cinque vittime degli abusi
sessuali hanno fornito documentazione che era ampiamente pubblica (addirittura
on line) e pubblicata dalla stampa locale. Perché allora imbastire una nuova
campagna sulla base di documenti editi, già discussi e che fra il 2002 e il 2004
avevano ricevuto spiegazioni e versioni dei diretti interessati (anche queste
archiviate)? Il motivo è facile da intuire, senza correre dietro a troppi
complotti difficili da dimostrare. Il grosso dei casi di pedofilia negli Stati
Uniti è stato gestito da cinque studi legali con sede principale in America e
ramificazioni internazionali. Alcune di queste law firm hanno preso la difesa di
vittime di presunti abusi sessuali da parte della Chiesa anche in Irlanda. Non è
noto, ma è possibile che qualche studio stia valutando anche i casi tedeschi.
Fino ad ora i cinque studi legali principali hanno ottenuto dalle trattative sui
risarcimenti con le varie diocesi americane 43 milioni di dollari di fatturato,
e non capita naturalmente tutti i giorni. Una cifra rilevante, che rappresenta
la parte principale di una torta da 65 milioni di dollari (il resto è diviso fra
singoli studi legali di provincia). Ma il monte-risarcimenti finora è stato
contenuto proprio dalla decisione di delegare le trattative ad ogni singola
diocesi. Anche quando le Conferenze episcopali hanno affrontato la piaga della
pedofilia con pubbliche scuse, la linea dei legali di parte è stata quella di
addossare la responsabilità ai singoli al massimo riconoscendo le colpe dei
vertici di alcune diocesi, subito rimossi. Una linea che finora è riuscita a
fare limitare i danni e anche l’entità stessa dei risarcimenti. Alzare il tiro
sul Vaticano e ottenere un’ammissione di responsabilità da parte delle più alte
gerarchie o addirittura da parte del Pontefice, farebbe lievitare sensibilmente
il monte-cause, probabilmente provocando la bancarotta dello Stato del Vaticano.
Non sono in pochi a ritenere che il pressing straordinario che si verifica in
queste settimane abbia innanzitutto ragioni economiche. Gli interessi sono
notevoli, e non solo quelli degli studi legali. Negli Stati Uniti in bancarotta
o quasi è già andata negli anni passati la diocesi di Boston. Per fare fronte
alle cause già definite, ai patteggiamenti e alle cause di pedofilia ancora in
corso, ha dovuto mettere in vendita uno a uno gli immobili di un patrimonio che
era stato valutato in 500 milioni di dollari. Con la pistola alla tempia e la
necessità di fare cassa, è stato venduto più o meno alla metà del suo valore.
C’è addirittura un gruppo imprenditoriale nato e cresciuto sul business della
pedofilia negli Stati Uniti: quello italo-americano dei Follieri. Il giovane
erede Raffaello alla fine si è messo nei guai ed è stato arrestato due anni fa
con accuse assai pesanti. Ma nel frattempo è riuscito a fare incetta di immobili
(anche grazie ad alcune vantate entrature vaticane) dalle principali diocesi
coinvolte negli scandali, comprandoli in tre casi in blocco a un prezzo scontato
oltre il 50% i valori di mercato e poi rivendendo il tutto con ampio guadagno.
Follieri non è l’unico. E a molti fa gola una torta che se il Vaticano venisse
messo ko potrebbe valere qualche decina di miliardi di
euro.
Santoro e Annozero sono il peggio. Fanno danni alla giustizia. A dirlo non è il cav, ma una toga rossa
Chissà se Edmondo Bruti Liberati, procuratore aggiunto di Milano ed esponente di spicco di Magistratura democratica ieri sera ha visto anche il nuovo processo via web tv e satellite imbastito da Michele Santoro a Bologna. Un mix fra processo politico a Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi e di un processo vero, una docu-fiction con primo attore Marco Travaglio e per sceneggiatura le carte della procura di Trani. In scena anche i soliti attori che recitavano coordinati da Sandro Ruotolo i brogliacci delle intercettazioni. Chissà se l’ha visto. Perché cosa ne pensi anche una delle più autorevoli “toghe rosse” di Italia, non è più un mistero. Bruti Liberati lo ha detto fuori dai denti il 23 marzo scorso, partecipando a un seminario di formazione del Csm a Roma. Spiegando che Annozero e Santoro sono nocivi alla giustizia, e come per i fumatori di tabacco, bisognerebbe proprio dire loro di smettere. “Con le trasmissioni di Matrix su Erba”, ha detto Bruti Liberati, “è stato insidiato il primato, per me negativo, fino ad allora detenuto da Porta a Porta: si è passati decisamente al genere della docu-fiction, con verbali di intercettazione recitati da attori. Ma poiché la gara al peggio è sempre aperta, ecco Michele Santoro che con Annozero si spinge oltre e la docu-fiction si espande con la messa in scena di interi verbali di dichiarazioni recitati da attori, il tutto sotto gli occhi di una nuova sua compagnia di giro”. Benvenuta allora, secondo il procuratore aggiunto di Milano, la decisione dell’Autorità di garanzia nelle comunicazioni che ha posto un freno alle docu-fiction giudiziarie. Ma Bruti Liberati va oltre, perché secondo lui bisognerebbe impedire anche ai magistrati per dovere deontologico di partecipare ad Anno zero o trasmissioni simili se si mandano in onda docu-fiction giudiziarie. L’imperativo è uno solo, secondo il procuratore aggiunto di Milano: “il magistrato non coopera, nemmeno con la sua semplice presenza, a legittimare trasmissioni nelle quali si imbastisce il processo parallelo”. Bruti Liberati è nettissimo: “dai delitti di sangue si è passati ai processi di mafia, criminalità organizzata e criminalità economica, affrontati anche essi con il canone della spettacolarizzazione, che ha trovato nuovi moduli. La presenza di magistrati in trasmissioni di questo tipo a prescindere dalle dichiarazioni che rendono e anche se la vicenda non è trattata dal loro ufficio, ineluttabilmente conferisce autorevolezza al processo parallelo. Ed è il colmo che, sempre ‘a fin di bene’, si intende, per evidenziare la vera VERITA’ (maiuscolo testuale, ndr), siano proprio magistrati a sponsorizzare il processo parallelo. Da certi contesti invece un magistrato, a mio avviso, deve puramente e semplicemente tenersi alla larga. Agli inviti a partecipare a certi dibattiti televisivi è possibile rispondere NO grazie (anche se ciò- e ne ho avuta personale esperienza, suscita lo sbalordimento degli interlocutori, abituati a ricevere pressanti sollecitazioni a partecipare piuttosto che dinieghi)”. Secondo il procuratore aggiunto di Milano i magistrati non debbono accettare nemmeno la proposta di una “dichiarazione pre-registrata”, perché sarà comunque “oggetto di un montaggio e rimane incontrollabile il come la dichiarazione preregistrata sarà inserita nel corso della trasmissione”.
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