UN BAMBOCCIONE A SVILUPPO ITALIA/3- Ora Visco jr è diventato un eroe

A Sviluppo Italia è arrivato un eroe. Uno che ha sfidato la sorte, lasciando un posto d'oro in un'azienda privata con i fiocchi, come Telecom Italia, per scommettere sul più classico dei carrozzoni statali, pronto ad affrontare perfino le polemiche e le bufere che deve mettere in conto qualsiasi figlio d'arte. Arriva più o meno così la conferma dell'assunzione come dirigente di Gabriele Visco, figlio di Vincenzo, viceministro di quel ministero dell'economia che controlla al 100% la stessa Sviluppo Italia. Domenico Arcuri, a.d. del gruppo pubblico, sottolinea infatti il «coraggio» del ragazzo, «di essersi assunto l'onere di un cambiamento così radicale e, perché no, una mole di allusioni e provocazioni» (...) Secondo Arcuri quel coraggio mostrato da Visco jr, unito al curriculum (che Sviluppo Italia però non rivela) e all'esperienza professionale «valgono di più del suo cognome». E siamo certi che il manager pubblico abbia ragione: il neo dirigente ha avuto una rapida carriera in Telecom, dove ha mostrato il suo valore. Certo nel nuovo incarico partirà in condizioni più difficili e non avrà nemmeno la possibilità di discutere la qualità dei benefit aziendali assegnati (cilindrata e colore dell'auto, telefonino, etc...). Siamo convinti che il merito sia fondamentale nel settore privato come in quello pubblico, e non è un cognome a deciderlo nel bene come nel male. Lo stesso Arcuri deve avere soppesato a lungo una decisione così delicata, perché sarebbe stato inevitabile poi dovere diradare il sospetto di avere voluto banalmente compiacere un viceministro che indirettamente è anche il suo azionista. Ma la preoccupazione non deve essere eccessiva. Ieri abbiamo fatto un rapido giro di opinioni con alcuni corrispondenti delle principali testate internazionali. E la risposta è stata una sola: l'assunzione avrebbe fatto notizia ovunque. Con grande probabilità negli Stati Uniti, in Francia, in Germania, in Gran Bretagna, sarebbe iniziata una campagna stampa sul caso. Accadde negli Stati Uniti quando il Wall Street Journal dedicò colonne di fuoco alla scelta di George W. Bush di mettere alla testa di una commissione federale sulle telecomunicazioni Mike Powell, figlio di Colin Powell. Per altro non fu scelta improvvisa: Powell jr già era membro di quella commissione prima che il padre assumesse l'incarico di governo. Per un caso controverso di nepotismo ha dovuto lasciare il posto il presidente della Banca mondiale, Paul Wolfowitz. All'estero, ma in Italia è diverso. Perché i figli sono pezzi di cuore, come recita un celebre detto napoletano, e su questa strada tutto può essere compreso. Basta leggersi le considerazioni sul caso fatte da tutti gli esponenti politici ieri contattati da ItaliaOggi, nel centrosinistra dove la prudenza è assai comprensibile, ma anche e soprattutto nel centrodestra dove nemmeno uno solleva il dubbio di un conflitto di interessi. Giuseppe Vegas cita la massima di Indro Montanelli, secondo cui l'Italia «è un paese non solo di padri e figli, ma anche di zii e di nipoti». E aggiunge «E' normale che ognuno cerchi di piazzare i propri figli. Non esiste nessun problema politico morale». Un ex viceministro dell'Economia autorevole esponente di Alleanza Nazionale come Mario Baldassarri, si spinge più in là: «Il cognome non deve contare nel bene nel male», e ricorda analoghe polemiche che lo avevano coinvolto quando il figlio Pierfrancesco fu assunto dalla Sogin «Io non feci nulla. Neppure lo sapevo. Lui aveva tutto il diritto di avere quell'incarico». Ci siamo fermati lì perchè temevamo di non avere abbastanza pagine per raccontare storie di figli eccellenti assunti sempre all'insaputa dei padri proprio in posti dove i loro padri erano assai influenti. Forse in una parte d'Italia, in un tempo che ormai non c'è più qualche padre così ignaro avrebbe impedito al figlio la carriera proprio lì. Ma quell'Italia non c'è più, e quella che resta emerge ogni tanto solo grazie alla caparbietà di qualche cronista che ancora ha passione per le notizie o - più facilmente- dalle intercettazioni telefoniche che qualche magistrato offre in pasto all'opinione pubblica. Così bisogna rassegnarsi alle amanti che trovano (sempre per loro capacità) una qualche particina in Rai, ai parenti del potente di turno assunti in questa o quella azienda pubblica. Che tristezza questi padri, mariti, zii, amanti così impotenti. Che possono nominare questo o quel manager pubblico, ma non evitare che quello poi offra un contrattino o un contrattone al figlio, alla moglie, al nipote, all'amante... Non c'è nulla di illegale, figuriamoci. Ma è lì che si intravede il vero declino di un paese, la sua impossibilità di rinnovare classe dirigente. L'Italia resta una nazione feudale.

UN BAMBOCCIONE A SVILUPPO ITALIA/2- La difesa (e qualche minaccia) di chi ha assunto Visco jr

Egregio direttore, ci sono alcuni elementi, relativi agli articoli apparsi sul suo giornale e inerenti all'assunzione del dott. Gabriele Visco da parte dell'Agenzia che meritano una precisazione. E' sicuramente disdicevole che ci sia stato chi, interrogato dal suo giornalista - che faceva il proprio lavoro, quello di cercare conferme ad una notizia avuta – ha invitato il cronista a parlare con i sindacati “che di solito queste cose le sanno”. Questo è un comportamento intollerabile da parte di una società pubblica. Nei confronti di chi lo ha assunto si stanno prendendo gli opportuni provvedimenti. Quanto alla trasparenza di cui lei lamenta la carenza nella nostra Agenzia, vale la pena ricordare che sul nostro sito figura l'elenco di tutte le consulenze, comprese quelle che non sono state rinnovate, (che è facile accorgersi essere più numerose) tant'è che ritengo da quella fonte abbiate appreso alcune delle dettagliate notizie riportate nell'articolo. Nulla può esserci di segreto, e nulla infatti di segreto vi è, in una società con oltre mille dipendenti in cui, come ha avuto modo di verificare, anche i centralinisti sono edotti di posizioni e ruoli, pure apicali. Sarebbe oltremodo grave, mi permetta un commento, vista l'eredità che abbiamo ricevuto, condannare per l'ennesima volta quest'azienda a reiterare comportamenti che nulla hanno a che fare con la sua natura, i suoi obiettivi e la sua attualità. Non abbiamo scheletri negli armadi, salvo quelli che non abbiamo ancora scoperto, ma persone che lavorano nelle stanze e nei corridoi con l'etichetta nominativa ben in vista su ogni porta. Persone che finalmente si sottopongono ogni giorno al giudizio, anche impietoso, dell'opinione pubblica e della stampa. E infine un commento sul protagonista suo malgrado dei suoi articoli. Il suo curriculum, la sua esperienza professionale, il coraggio di essersi assunto l'onere di un cambiamento così radicale - e, perché no, una mole di allusioni e provocazioni - credo valgano di più del suo cognome. Almeno questa è la mia opinione, quella di un capo azienda chiamato a risanare una situazione disastrosa che ha non solo il diritto, ma soprattutto la necessità di avvalersi di un gruppo di collaboratori coeso e consolidato negli anni. Cordiali saluti Domenico Arcuri* * amministratore delegato dell' Agenzia Per l'Attrazione degli investimenti e lo Sviluppo di Impresa (già Sviluppo Italia spa) Risponde Franco Bechis. Ai lettori una premessa doverosa per comprendere la lettera di Domenico Arcuri. Gabriele Visco, ex dirigente Telecom, dopo un certo periodo di rodaggio come consulente di Sviluppo Italia (per 46 mila euro da luglio a settembre) è stato assunto dallo stesso Arcuri come dirigente. Abbiamo raccontato anche qualche difficoltà nel verificare la notizia, che oggi viene autorevolmente confermata da questa lettera. Gabriele Visco è uno dei due figli del viceministro dell'Economia Vincenzo Visco. Sviluppo Italia, per quanto ribattezzata, resta una società controllata al 100 per cento dal ministero dell'Economia, come documenta il grafico sulle partecipazioni che si può trovare sulla home page del sito Internet dello stesso ministero. Sono felice che finalmente un amministratore di una società pubblica dimostri interesse per la trasparenza. Vorrei anche credergli fino in fondo, ma ho qualche dubbio per il tono minaccioso che traspare dalla lettera quando si annuncia la caccia alla fonte che avrebbe divulgato a Italia Oggi la notizia. Scusi, se l'informazione era sacrosanta, che le importa chi l'abbia data? Ha fatto solo il suo dovere...

UN BAMBOCCIONE A SVILUPPO ITALIA/1- Lo strano caso dell'assunzione del figlio di Vincenzo Visco

Alla fine ce l'ha fatta. Domenico Arcuri, il dinamico amministratore delegato di Sviluppo Italia (da qualche mese ribattezzata Agenzia), è riuscito a portare a lavorare con sé come dirigente il giovane e bravo Gabriele Visco. Per alcuni mesi nell'estate scorsa l'aveva chiamato come consulente (per 46 mila euro da luglio a settembre), poi il rapporto si era interrotto, rischiando di reinserire il manager in quell'esercito di bamboccioni mal sopportati dal ministro dell'economia Tommaso Padoa-Schioppa. Un rischio per fortuna scongiurato: ci sarà un bamboccione in meno. Anche se non troppo lontano da casa: Gabriele è il figlio di Vincenzo Visco. Sviluppo Italia è controllata al 100% dal ministero dell'economia (...) Formalmente non scatta il conflitto di interessi, perché se l'azionista unico di Sviluppo Italia è lo stesso ministero di cui papà Visco è viceministro, la delega sugli indirizzi di gestione spetta al ministro dello Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, che a sua volta ha affidato l'incarico al suo viceministro, Sergio D'Antoni. Sicuramente Gabriele Visco avrà le caratteristiche professionali necessarie all'incarico, e già dopo le prime polemiche sulla consulenza affidata Arcuri aveva spiegato di conoscere personalmente il giovane manager e di averne potuto apprezzare le qualità in passato quando si erano incontrati ognuno dei due lavorando per un'azienda privata. Ma certo non ci sono stati megafoni ad amplificare una notizia che qualche rilievo politico o per lo meno di costume, sembra avere. L'avrebbe in qualsiasi paese del mondo. Per noi è stato difficile se non quasi impossibile verificarla nell'ultima settimana, anche se l'avevamo appresa casualmente da fonte assai qualificata. Stefano Sansonetti, il giornalista di Italia Oggi che da settimane conduceva un'inchiesta sulle consulenze dello Stato e delle società controllate e sulla scarsa trasparenza che ancora le circonda, ha provato a percorrere la strada maestra, telefonando direttamente alla società. L'ufficio stampa ha sostenuto di non potere essere utile, non avendo possibilità di verificare questo tipo di informazioni. E si è dovuto aggirare in una selva di no comment, di mezze ammissioni, di affermazioni “non ufficiali”, perfino invitato a rivolgersi ai sindacati “che di solito queste cose le sanno”. Non male per chi è tenuto dalla legge alla più assoluta trasparenza. Ma d'altra parte anche sulle consulenze Sviluppo Italia comunica un po' quel che vuole. Qualcosa ha messo sul proprio sito Internet- come dice la legge- la capogruppo, molte società controllate e quasi tutte le società regionali invece rimandano a un chiarimento interpretativo sulle norme stabilite dalla finanziaria del 2007 su cui evidentemente non è riuscito in più di un anno a fornire lumi il ministero dell'Economia. Alla fine sono stati assai più utili e trasparenti in questi giorni i vari centralinisti di Sviluppo Italia, che non solo hanno provato inutilmente a passare Gabriele Visco al telefono (non c'era come la maggiore parte dei dirigenti del gruppo), ma alla bisogna hanno fornito l'interno e perfino la qualifica in azienda come riportata sul loro elenco telefonico aziendale. Se si basa sulla predisposizione dei centralinisti la trasparenza tanto vantata dal governo e dalla pubblica amministrazione, temo che le polemiche sulla casta e le successive promesse di cambiamento abbiano prodotto risultati assai scarsi. Basta leggersi le tre pagine di inchiesta che oggi pubblichiamo su cosa avviene negli Stati Uniti nel cuore della campagna elettorale per le presidenziali che stanotte ha avuto il suo primo significativo test nello Iowa. Mentre qui bisogna arrangiarsi alla meglio per strappare qualche notizia, negli Usa ogni minimo particolare del presidente in carica, del suo staff, dei suoi familiari, dei candidati alla successione con relativo staff e famiglia e in pari modo di ogni membro del congresso è esposto al pubblico non volontariamente, ma in base a una legge federale. Non solo: tutto è verificato da una apposita commissione indipendente (la Fec) che rende immediatamente pubblici i risultati dell'esame. George W. Bush è stato costretto a dichiarare di avere ricevuto dal cantante Bono in regalo un banale Ipod così come ogni movimento finanziario (acquisto o vendita di azioni) compiuto da lui e da membri della sua famiglia. La senatrice Hillary Clinton è tenuta a pubblicare i nomi di tutti gli esponenti del suo staff che, recandosi in un qualunque posto dell'America per tenere una conferenza hanno ricevuto gratuitamente un passaggio aereo. Ogni tre mesi viene aggiornata anche questa lista, con l'indicazione di chi ha usufruito del piccolo benefit, del valore economico dello stesso, con tanto di nome del benefattore. Qualsiasi membro del congresso americano, oltre a tutti i movimenti finanziari che direttamente o indirettamente lo riguardano, è obbligato a rendere pubbliche tutte le linee di credito concesse. Perfino se si tratta di una carta di credito rateale. Prima, durante e dopo le elezioni...

CHE DISASTRO CALABRESE TESTIMONIAL! Il 26 fa lo spot pro Kenya sul Tg1 e il paese sprofonda nella guerra civile...

Gianni Riotta l'aveva scelto come testimonial sul Tg1 per non scoraggiare gli italiani vacanzieri in Kenya. Così il 26 dicembre scorso, subito dopo la notizia sull'uccisione a pochi km da Malindi dell'animatore torinese Andrea Pace durante una rapina, il primo telegiornale italiano si è collegato per telefono con Pietro Calabrese, ex direttore di Panorama. Pronto, come molti vip italiani, a festeggiare in Kenya il Capodanno 2008. E lo spot sembrava riuscito: "Vengo a Malindi", ha raccontato Calabrese quella sera, "da tanti anni. E' un posto dove i rischi che si corrono sono certamente inferiori ai rischi che si corrono in una qualunque grande città italiana". Nemmeno otto ore dopo l'infausto spot di Calabrese il Kenya è precipitato nella guerra civile. Città messe a ferro e fuoco, centinaia di vittime civili, una chiesa bruciata con numerosi bambini periti nell'incendio. E la Farnesina, che già il 27 mattina aveva messo in guardia i turisti italiani dalla recrudescenza della criminalità comune, che ora consiglia a tutti di non partire per il Kenya, preparandosi ad organizzare il rimpatrio dei 3 mila italiani lì in vacanza. Compreso il serafico e sfortunato Calabrese...

GESUALDI IN FILA PER IL DOPO SACCA'

L'unico dubbio è che avvenga con un braccio di ferro fra legali o attraverso un accordo consensuale e relativo pagamento di buonuscita, ma il divorzio fra la Rai di Claudio Petruccioli e il direttore di Rai fiction Agostino Saccà è ormai scontato. Tanto che si stanno scaldando i muscoli numerosi pretendenti. Molti all'interno dell'azienda, dove si esclude la possibilità di un nuovo interim al vicedirettore generale, Giancarlo Leone (da sempre critico su Saccà). Ma la candidatura più accreditata è esterna: si tratta dell'attuale segretario generale della Regione Lazio, Francesco Gesualdi, che prima di intraprendere la carriera di burocrate pubblico, è stato lunghi anni al vertice del gruppo Cinecittà. Prima come assistente di Luigi Abete, poi per cinque anni consigliere di amministrazione e membro del comitato esecutivo di Cinecittà spa e per più di 4 anni anche come direttore generale di Cinecittà holding e presidente di Cinecittà cinema. Gesualdi, che ha presieduto anche Mediaport spa e Globalmedia srl (secondo gruppo italiano di multiplex) e dal luglio scorso è diventato membro del comitato di direzione di Romafictionfest, ha dalla sua una discreta militanza nel centrosinistra e buoni rapporti con alcuni autorevoli esponenti del centrodestra, in testa Gianni Letta. Ma sopratutto non va più d'accordo con il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, che farebbe qualsiasi cosa pur di mandarlo a Rai fiction...

DIVENTANO UN BUSINESS I BAMBOCCIONI DI TPS

Dopo mesi, in un'intervista al Corriere della Sera, il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa Schioppa, ha fatto una mezza retromarcia sulla sua infelice battuta di inizio autunno sui "bamboccioni" che se ne restano troppo lungo a casa, a pesare sulle finanze familiari. Tps ora sostiene di pensare positivo sui giovani, e che quella battuta fu male interpretata e strumentalizzata. Eppure, proprio alla vigilia della retromarcia del ministro, Roma è stata tappezzata di manifesti di una campagna che rigirava a fini pubblicitari la scivolata del ministro dell'Economia. Per Confalone, azienda di arreddamento, i bamboccioni sono infatti diventati un business. E a loro, cacciati di casa da Tps, vengono offerti comodi divani al 50% del prezzo di listino su cui poltrire in una nuova casa. Svendita speciale per bamboccioni, per un'Italia sempre più in declino...