DA ITALIA OGGI IN EDICOLA/ Berlusconi e le sue raccomandate

L'iscrizione nel registro degli indagati della procura di Napoli di Silvio Berlusconi con l'ipotesi di corruzione e soprattutto la divulgazione dei contenuti di alcune telefonate intercettate hanno improvvisamente riportato indietro di parecchio tempo il clima della politica. Con una pioggia di esposti e istanze degli indagati al ministro della giustizia Clemente Mastella (vittima peraltro in estate di analogo caso mediatico-giudiziario) e più di una pietra di inciampo al nuovo asse politico che si stava creando sull'asse fra il Cavaliere e il leader del Partito democratico, Walter Veltroni. Un caso esploso per la raccomandazione di quattro attrici in Rai da parte dell'uomo politico proprietario di tre reti tv...Sì, perché la vera domanda che nasce da quelle intercettazioni- al di là dell'eventuale rilievo penale (a prima vista assai scarso) è: ma perchè mai se a Berlusconi stava a cuore il destino professionale di questa o quell'attrice, non la raccomandava a Mediaset, dove avrebbe avuto voce in capitolo senza il rischio di scatenare polemiche politiche? Non ci fa una gran figura, proprio lui, il signor tv, il politico miliardario, a essere pizzicato come un qualsiasi portaborse mentre telefonava al dirigente Rai compiacente per piazzare la protagonista di una fiction e in qualche caso per favorire una semplice comparsata. Non solo perché proprio lui, che si vantava di pagare di tasca sua gli arredi di palazzo Chigi e la scorta per una sicurezza dovuta, alla fine scarica il piccolo piacere (personale o ad amici) sulle tasche degli italiani che pagano con il canone anche attrici e comparse. Ma semplicemente perché non lo si fa. E tanto meno dovrebbe farlo un leader politico che è stato presidente del Consiglio e l'ambizione di tornare ad esserlo. Questa premessa è doverosa per spazzare l'eccesso di lagna che sta circondando una vicenda giudiziaria probabilmente destinata a concludersi con un nulla di fatto. Perché certo non è simpatico per chi ne è vittima leggersi sulla stampa mozziconi di telefonate intercettate. Giusto invocare la privacy per i comuni cittadini italiani: è una battaglia di civiltà. Ma quella protezione degli aspetti anche personalissimi della vita privata non deve valere per nessun uomo politico, figurarsi se può essere invocata per un leader maximo come Berlusconi. Chi è parlamentare, chi orienta il voto del legislatore, chi- come il cavaliere- è stato presidente del Consiglio, ha esercitato un potere enorme sulla vita di tutti i cittadini. Varando leggi e stabilendo regole che -direttamente o indirettamente, stabiliscono che cosa sia lecito o meno fare anche nella vita privata, perfino nell'intimo, sotto le lenzuola, come si dice. Chi ha questo potere immenso e assai invadente (tanto più quando male esercitato), non può invocare per se stesso l'ombrello della privacy. Anzi: è un diritto, di chi vota e tanto più di chi non vota Berlusconi ma se lo è trovato presidente del Consiglio, conoscere i contenuti di quelle telefonate intercettate. Si tratta di mozziconi che ne stravolgono il senso? Berlusconi ha tutto il diritto di mandare a Napoli i suoi avvocati e reclamarne con urgenza il testo integrale. E il dovere poi di divulgarlo- naturalmente con tutte le spiegazioni del caso- a tutti. Queste stesse cose noi abbiamo scritto e ha invocato a gran voce la stampa cosiddetta di centrodestra, quando emerse la vicenda delle foto che ritraevano Silvio Sircana, portavoce del presidente del Consiglio, fermo in auto davanti a un transessuale in periferia di Roma. Non si poteva invocare la privacy allora, e reclamare “fuori tutta la verità”, e usare altro peso e altra misura oggi per Berlusconi. Può essere che qualcuno sulla vicenda giudiziaria abbia ricamato o voglia oggi ricamare tele politiche che ne sono estranee: ad esempio cercando di minare anche in questo modo l'asse fra Berlusconi e Veltroni. Il tentativo- se esiste- è destinato al fallimento, perché nessuno dei due sembra intenzionato a fermarsi per questo. Ma attaccare la magistratura sventolando il solito complotto delle toghe rosse non è buon inizio per questa Terza Repubblica della pacificazione generale che si vorrebbe costruire. Così come non porta lontano l'aggressione al giornalista, Giuseppe D'Avanzo, e al quotidiano, la Repubblica diretta da Ezio Mauro, che ha rivelato quelle telefonate con uno scoop davanti a cui togliersi il cappello. Le avessi avute io, non avrei esitato a darne resoconto ai lettori di Italia Oggi. Se anche quando pizzicati e se ne sarebbe fatto volentieri a meno, si affrontassero gli avvenimenti con tono pacato e molta trasparenza, i casi montati a soufflè si sgonfierebbero da . Resterebbe solo la sostanza. Ci auguriamo che dopo questa prima reazione con il pilota automatico innestato, Berlusconi sappia ricredersi, e rispettare come deve un leader politico, la libertà di stampa e l'autonomo dovere della magistratura...

SABINA GUZZANTI infiltrata speciale dietro le quinte del Cavaliere

Chi c'era dietro le quinte dell'ennesima presentazione de libro di Bruno Vespa, santificata martedì 11 dicembre a Roma da Silvio Berlusconi e Barbara Palombelli al Tempio di Adriano? Sorpresa: nascosta a fondo sala dietro i telecineoperatori, Sabina Guzzanti. Sì, proprio l'attrice-comica che tante volte ha imitato Berlusconi ed è andata lì a farsi una ripassatina. Struccata e vestita come una qualsiasi passante, la Guzzanti è passata inosservata. Solo l'occhio indiscreto della mia videocamerina l'ha colta alla sprovvista. Appena se ne è accorta la Guzzanti si è portata le mani sugli occhi per non farsi riconoscere. Lontano dalla telecamera ha preso però ad armeggiare sussurrando al bavero della sua giacca: «Ora Berlusconi si riferisce allo sciopero dei Tir...». Già, perché sul bavero la Guzzanti aveva pinzato un microfono. Con cui sembrava trasmettere a qualcun altro il Berlusconi in diretta...

BERLUSCONI, QUI LO DICO E LO DISDICO!

Qui lo dici e qui io lo disdico! Silvio Berlusconi, arrabbiato con quei partiti del centro destra troppo "frammentizzati"- come ha ripetuto martedì 11 dicembre due volte a Roma alla presentazione del libro di Bruno Vespa, ha la carica del grande innovatore. Anche linguistico...

DA ITALIA OGGI IN EDICOLA/Vince Speciale, altro schiaffo a TPS

La sentenza verrà depositata alla vigilia di Natale o nella settimana successiva, entro Capodanno. E rischia di trasformarsi nell'ennesimo capitombolo per il ministro dell'economia, Tommaso Padoa-Schioppa. Secondo quanto risulta a ItaliaOggi infatti il Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato dall'ex comandante generale della guardia di Finanza, Roberto Speciale, contro la sua epurazione dall'incarico alla fine di un lungo braccio di ferro con il viceministro dell'economia, Vincenzo Visco, e il governo. Riconoscendo eccesso di potere nella rocambolesca sostituzione, il Tar ritiene giustificata anche la domanda di risarcimento avanzata da Speciale, accolta in parte: 3 invece dei 5 milioni chiesti. Nel suo ricorso contro la destituzione il generale Speciale (tramite i suoi tre avvocati, Filippo Satta, Gianluca Esposito e Anna Romano), aveva sostenuto l'illegittimità della rimozione perché non era ricorso “alcuno dei presupposti di legge per la cessazione dal servizio”, e aveva interpretato l'atto come una sorta di sanzione disciplinare “in violazione dei fondamentali principi sul procedimento, sul contraddittorio e quindi sul diritto di difesa”. Speciale aveva insistito nel ricorso sull'argomento più evidente: se al generale si contestava una condotta illegittima, perché mai rimuovendolo lo avevano promosso alla Corte dei Conti? Scriveva infatti nel ricorso: “Il ministro accusa di slealtà e di una gestione personalistica della Gdf lo stesso soggetto in favore del quale ha disposto, in contemporanea, la nomina di consigliere della Corte dei Conti. Allora, delle due l'una: o la funzione giurisdizionale svolta dalla Corte dei Conti non ha goduto di alcuna considerazione, o l'accusa di slealtà e le altre accuse mosse sono destituite di qualsiasi fondamento”. Anche per il Tar il ragionamento non ha fatto una grinza. Come giustificata è apparsa la considerazione in base a cui veniva chiesto un maxi-risarcimento economico al governo: “la rimozione dall'incarico è ritenuta lesiva non tanto e non solo dal punto di vista economico-professionale, quanto sotto l'aspetto dell'immagine, della dignità e della onorabilità professionale”. Fin qui la battaglia di carta bollata. Già da qualche settimana peraltro stavano circolando indiscrezioni sulla possibile nuova sconfitta del ministero dell'Economia. Una disfatta, visto il fresco doppio ceffone appioppato al ministro da Tar e Consiglio di Stato dopo la maldestra sostituzione di Angelo Maria Petroni dal consiglio di amministrazione della Rai. La sentenza sul generale Speciale, pronta da tempo, ha bisogno ancora di essere limata nella stesura e per questo non verrà depositata prima che la legge finanziaria riceva la doppia benedizione finale di Camera e Senato. Un gesto di responsabilità dei giudici amministrativi che certo non dispiace al governo in questo momento. Ieri mattina, moderando i lavori di una tavola rotonda sull'outsourcing ho ascoltato una divertente tesi del viceministro dell'Economia, Sergio D'Antoni (nella foto). «Per mesi si è parlato del fattore “c” che avrebbe aiutato Romano Prodi. Forse quel fattore (chiamiamolo così, la fortuna- ndr) non funziona più. Ma ce ne è un altro che consente a questo governo di durare: il fattore “P”, quello della Provvidenza. Noi andiamo avanti grazie alla Provvidenza. Se ne è accorto anche Silvio Berlusconi, tanto è che subito dopo la fallita spallata sulla finanziaria è corso ad incontrare il segretario di Stato Tarcisio Bertone presentandogli il suo nuovo partito. La vera sfida fra noi è su quel terreno: vincerà chi è più aiutato dalla Provvidenza». Se si guarda la reazione della Chiesa al provvedimento anti-omofobia inserito dal governo nel decreto sicurezza, sembrerebbe che quel fattore “P” sia in questo momento sfavorevole a Prodi. Ma come dice un vecchio detto popolare “Aiutati che il ciel t'aiuta”. E per tornare alle brucianti sconfitte di Padoa Schioppa è proprio lì il difetto dell'esecutivo in carica. Non fa nulla per ottenere l'aiuto del cielo della terra. Anzi. Perché onestamente è un diritto dell'esecutivo- di qualsiasi governo- scegliersi uomini di fiducia. Potremmo discettare quanto si vuole sulla terzietà che dovrebbe contraddistinguere alcune cariche, ma un comandante della Guardia di Finanza, dei carabinieri o un capo della Polizia viene scelto da un governo pensando anche al rapporto fiduciario. Questo rapporto può resistere anche a un cambio di governo. Accade. Ma è accaduto anche il contrario. Stesso discorso può valere per un consigliere di amministrazione di una società pubblica, come la Rai. Non fa scandalo l'applicazione nell'uno e nell'altro caso del principio dello spoil system. Solo che a questo governo- zeppo di pasticcioni con altissima e mal riposta autostima - non basta lo spoil system. Vergognandosi di lottizzare come tutti gli altri, ha preferito gettare fango sugli uscenti: così non stava semplicemente occupando poltrone, ma compiendo un atto purificatore. Già, ma il fango è brutta materia: lo tiri addosso e magari gli schizzi rimbalzano...

IL CASO BINETTI/ QUI CASCA IL PD: SONO ANCORA COMUNISTI

Sono passate 36 ore, e Walter Veltroni non ha ancora drammaticamente preso le distanze dall'intervista di Anna Finocchiaro pubblicata su L'Unità di sabato. Eppure il capogruppo del Partito democratico ha avuto parole molto dure sul caso Binetti. Parole non diverse da quelle espresse nei confronti delle opinioni dissenzienti dai vecchi comitati centrali del Pcus. "Se se ne dovrà andare dal Pd si vedrà", esordisce la novella purgatrice Finocchiaro, e aggiunge "Vorrei che fosse chiara una cosa: il dissenso di Binetti appare anche per il modo con cui è stato espresso, così radicale da non potere essere iscritto dentro quella discussione che è in atto nel Pd e che riguarda la ricerca di una soluzione condivisa rispetto ai temi cosiddetti eticamente sensibili". Ma non basta. Aggiunge la Finocchiaro: "Non credo sia un problema solo del Pd, riguarda la democrazia. Quando si è chiamati a pronunciarsi su temi delicati, come sono quelli eticamente sensibili, si deve procedere secondo un principio condiviso: la razionalità democratica (...) A quel principio non si può derogare, è la precondizione del confronto, considerando che siamo senatori della Repubblica e non liberi pensatori...". Dunque per il nuovo Pd, come per il vecchio Pcus e tutti i regimi totalitari, la coscienza dei singoli non può derogare al (peraltro assai oscuro) "principio della razionalità democratica". A parte l'aspetto grottesco di un atteggiamento così discriminatorio nei confronti di una coscienza non allineata proprio quando si discute dei diritti delle minoranze (i gay), il caso Binetti rischia di polverizzare quanto di buono si poteva intravedere nella nascita del partito democratico. Che sembra restare nell'alveo della tradizione comunista più oscurantista.