Come gli zombie... I partiti che erano sciolti e già morti, resuscitano e ci portano via 85 milioni di euro


E’ come in quei film in cui il caro estinto all’improvviso si sveglia, scopre di essere vivo e balza fuori dalla bara sano come un pesce. Come gli zombie, come nel ritorno dei morti viventi fra qualche giorno a luglio resusciteranno partiti politici di cui spesso ci si era scordata l’esistenza. E con loro perfino quelli di cui in pompa magna si era celebrato da tempo il funerale. Tutti pronti a correre con il cappello in mano all’ufficio tesoreria dei due rami del Parlamento. E riscuotere insieme un maxi assegno da 85 milioni di euro, gentilmente offerto da ignari contribuenti italiani. Poverini, loro sui giornali si leggono in queste settimane di lite e dispettucci fra chi vuole le correnti Pdl e chi le vede invece come fumo negli occhi. Altro che correnti, però! Nel partitone fondato da Silvio Berlusconi ci sono ancora due veri e propri cicloni: Forza Italia e Alleanza Nazionale. Li avevamo dati per morti entrambi, e invece fra pochi giorni usciranno entrambi dalla tomba per mettersi in tasca un assegnone uno da 25,7 milioni di euro e l’altro da 13,1 milioni di euro. Spunterà perfino una sigletta di cui ci si era ormai dimenticati: la Casa delle libertà. Con il vestitino di Cdl Trentino riscuoterà 280 mila euro. Il solito trattamento di favore per i cari estinti del governo? Macchè, gli zombie stanno per saltare fuori anche dalle fila dell’opposizione. Si materializzerà perfino quel fantasma di Romano Prodi che appena appare fa venire uno stranguglione sia all’attuale segretario del Pd, Pierluigi Bersani che al suo predecessore, Walter Veltroni. Perché dalla tomba sta per uscire nientemeno che l’Ulivo. Passerà alla cassa per ritirare un assegno da 16,1 milioni di euro. E sarà in  buona compagnia, perché per la manina terrà uno zombino, “Insieme con l’Unione” pronto a riscuotere un milione e 677 mila euro. A sinistra c’è addirittura da organizzare un festival del caro estinto. Perché oggi c’è il Pd, nato sulle ceneri dei Ds e della Margherita di Francesco Rutelli, con qualche mozzicone verde, qualche altro socialista e le intere truppe dei radicali. Dopo essere nato ha già divorziato da una parte di se stesso: Rutelli ha preso il volo e fondato l’Api, già tonificata dai rimborsi elettorali per le ultime regionali. Ma sotto la cenere c’è una moltitudine di morti viventi che sta per svegliarsi. Defunti i Ds? Noo. Sono morti che camminano e stanno per andare a incassare dal popolo italiano un assegnone da 9,3 milioni di euro. Defunta la Margherita? E chi l’ha detto? E’ solo sciolto quel partito. Ma esiste ancora e sta per prendersi un maxi-contributo da 6,1 milioni di euro. E radicali e socialisti? Un tempo si fusero insieme e diventarono la Rosa nel pugno, formazione politica tragicamente defunta ai suoi primi passi. Niente lacrime: risorgerà a luglio per prendersi il milione e 331 mila euro a cui ha ancora diritto. I verdi? Qualcuno di loro si è riciclato nel Pd, gli altri sono a spasso non più rappresentati in Parlamento. Morti però no: li tiene in vita un assegnone lì pronto ad essere sventolato, e sono ancora un milione e 54 mila euro.
Vi ricordate ancora di Fausto Bertinotti e del suo erede alla guida di Rifondazione comunista? No? Niente paura: loro si ricordano ancora di voi e del buon cuore di tutti i contribuenti italiani. Perché se l’avete dimenticato, fra pochi giorni girerete a Rifondazione comunista un bonifico da 6,98 milioni di euro. E siccome Oliviero Diliberto è scomparso più di loro, ma un po’ di invidia ancora la coltiva, passerà anche lui alla cassa. I suoi comunisti italiani hanno ancora diritto a mettere le mani su un piatto ricco dove troveranno un milione e 188 mila euro. Poco più di quelli restati per il povero Clemente Mastella che fosse stato per lui mai avrebbe celebrato il funerale della sua Udeur. Buone notizie: ha ancora da riscuotere un milione e 91 mila euro e l’estrema unzione può essere ancora rimandata.
Per fare 85 milioni- tutti sottratti alle tasche degli italiani nell’assoluto disinteresse di chi ha firmato la finanziaria del gran rigore- manca ancora qualche mancia che gentilmente bisogna offrire a mini-sigle forse nemmeno notate sui palcoscenici della politica. Ha diritto a 366 mila euro l’Unione estero. Poco più di quei 316 mila euro che finiranno nelle tasche dell’Unione-Svp. mancano all’appello 113 mila euro della Lista consumatori, altri 77 mila euro destinati al movimento politico “Per l’Italia-Tremaglia” che fa quasi rima e i poco meno di 34 mila euro dovuti a Forza Italia-An Valle D’Aosta, primo esperimento in laboratorio alpino di quel sarebbe diventato il Pdl. Tutti morti, ma con le tasche più vive che mai.

Compagni, non c'è un euvo. Così anche Rifondazione dà un calcio ai suoi lavoratori. Licenziati

Compagni, non c’è più un euvo e quindi ve ne andate a casa. Proprio nel giorno in cui investiva gli ultimi spiccioli per una paginata di pubblicità a favore della Fiom di Pomigliano con lo slogan “gli operai non si piegano” Rifondazione comunista e il suo segretario Paolo Ferrero hanno dato la triste notizia agli operai di casa propria. L’hanno dovuta leggere su Liberazione, quotidiano del partito che ieri ha ospitato la pubblicazione del bilancio 2009 firmata dal tesoriere di Rifondazione, Sergio Boccadutri. Lì, fra le pieghe della relazione hanno trovato prima una notizia buona che ha acceso le speranze di tutti: gli eredi di Fausto Bertinotti hanno ancora da riscuotere a luglio un rimborso elettorale da 6,5 milioni di euro. Subito dopo è arrivata la notizia cattiva: quelli sono gli ultimi soldi che arriveranno in cassa, e in pratica sono già tutti spesi prima ancora di riceverli. Ed ecco la doccia ghiacciata: “nel corso dell’anno 2010 e successivamente si dovrà operare una riduzione dei costi per la gestione della direzione del Partito della Rifondazione comunista che colpirà gravosamente sia il personale che la gestione corrente e l’iniziativa politica”. Certo, finiti i rimborsi pubblici e nell’attesa di potere partecipare a qualche altra campagna elettorale (solo però in caso di scioglimento anticipato della legislatura) Ferrero e soci cercheranno risorse aggiuntive bussando a qualche buon cuore. Ma non si sognino i dipendenti che quei soldi vadano a loro evitando qualche licenziamento! Mica siamo in Fiat con Sergio Marchionne che salva posti di lavoro chiedendo solo di produrre un po’ di più. “La ricerca di ulteriori risorse”, scrive il tesoriere di Rifondazione, “non sarà destinata a un minore impatto per questa riduzione, ma sarà necessaria al mantenimento in vita del Partito stesso nel prossimo triennio”. Niente illusioni per i i 79 dipendenti del partito che stanno per essere messi in libertà.

Preparate i telescherni. Ora Fini vuole lanciare la sua tv, zeppa di storia e cultura


Il progetto è ambizioso, e i consulenti chiamati al capezzale anche. Gianfranco Fini ha deciso di trasformare il canale satellitare della Camera dei deputati in una vera e propria televisione, che non si limiti a trasmettere le sedute di aula e commissioni di Montecitorio. Un po’ sulla piattaforme satellitari (quella di Sky ma anche quella nuova Rai-Mediaset), un po’ sul canale web, sta prendendo forma la nuova Fini-tv. Nel progetto di bilancio per il 2010 che sta per essere approvato dalla Camera dei deputati viene definita così: “lo sviluppo del palinsesto del canale satellitare è funzionale all’ampliamento dei contenuti dell’informazione relativa ai lavori parlamentari. Ciò mediante al costruzione di un palinsesto organico che preveda trasmissioni anche nelle ore serali, nel fine settimana e nei periodi di sospensione dei lavori, mediante la produzione di contenuti aggiuntivi rispetto alle sedute e agli eventi, quali, esemplificativamente, documentari storico culturali, programmi da studio, sintesi dei lavori parlamentari, filmati divulgativi da utilizzare anche sugli altri canali di diffusione delle informazioni”. Secondo quanto risulta a Libero per il momento la Camera si è limitata ad accordi con produttori terzi, stringendo intese con Rai-teche e con l’Istituto Luce per acquisire documentari storici, artistici e culturali da loro posseduti da trasmettere durante i week end e nei momenti di pausa dai lavori parlamentari (quindi nella parte più rilevante del palinsesto annuale). Sono stati presi poi contatti diretti con l’ex direttore Rai Giovanni Minoli, appena andato in pensione dall’azienda ma restato alla guida della struttura che si occupa delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità di Italia. Con Minoli, che è stato prodigo di suggerimenti sullo sviluppo della Fini tv la Camera ha già immaginato di dedicare una parte della sua programmazione sia satellitare che web proprio alla trasmissione di produzioni Rai legate a Italia 1961, il centenario dell’Unità. Un terzo filone utile alla costruzione del nuovo palinsesto sarà quello di una sorta di baratto con altri produttori televisivi e cinematografici. La Camera darà il suo benestare a girare film e documentari al proprio interno solo se in cambio i produttori ne daranno il diritto di trasmissione sul proprio canale televisivo. Naturalmente non si tratta di un diritto di prima scelta (fiction e documentari andranno prima in onda sui canali generalisti e poi su quelli tematici come di consueto), ma sulla Fini tv potranno andare in onda- ad esempio- documentari come quello recentemente girato sull’architetto Ernesto Basile o fiction di grido come quella girata non molto tempo fa negli “studios” reali di Montecitorio sulla vita di Alcide De Gasperi (interpretato magistralmente dal neo “compagno” Fabrizio Gifuni, figluio del più potente segretario generale del Quirinale di questi decenni). Per la produzione in proprio- ipotizzata nel piano allegato al bilancio della Camera- non ci sono al momento le forze e le professionalità necessarie. Però nel 2009 sono stati terminati i lavori per l’allestimento di uno studio di registrazione alle spalle dell’aula destinato proprio alla Fini-tv. Utilizzando l’ufficio stampa verranno auto-prodotti “programmi da studio” di taglio giornalistico, ad esempio mini talk show e brevi interviste con i parlamentari, che verranno poi offerti gratuitamente ad altre reti pubbliche e private.

A Napoli c'è un cardinale che si è perso nel bosco...


C’è anche un bosco, e che bosco, fra le proprietà immobiliari della Archidiocesi di Napoli ora guidata dal cardinale Crescenzio Sepe. Una distesa di 17 ettari alle porte della città partenopea che secondo disposizione testamentaria del benefattore debbono appartenere non alla archidiocesi, ma al’arcivescovo pro tempore della Archidiocesi di Napoli. E così avviene: appartenevano a Michele Giordano, ora quegli ettari sono divenuti proprietà pro tempore del cardinale Sepe. Sarà anche per questo che il porporato non sentirà troppa nostalgia dell’epoca in cui stava al vertice della Congregazione di Propaganda Fide, da cui lo rimosse proprio l’attuale Papa Benedetto XVI promuovendolo arcivescovo della sua amatissima Napoli. Da papa Rosso il cardinale che organizzò alla perfezione il grande Giubileo del 2000 vegliava su un patrimonio immobiliare di 761 fabbricati e 445 terreni. Ma con quelle distese, è chiaro, qualcosa poteva ben sfuggire anche all’occhio di un amministratore attento come Sepe. Provocando i guai che ora si vedono emergere dalle inchieste della procura di Perugia sulla cricca degli appalti. A Napoli no, l’occhio può vigilare con più attenzione, mettere a reddito e fare funzionare in modo oculato. Ma anche nella nuova avventura il mattone a Sepe non è mancato. La sua archidiocesi di Napoli direttamente o indirettamente (anche attraverso il locale istituto per il sostentamento del clero), controlla 138 fabbricati e 47 terreni, compreso quel bel bosco che in qualche modo è destinato alle passeggiate dell’arcivescovo. C’è un po’ di tutto: sedi di istituti religiosi, conventi, case parrocchiali, uffici, esercizi commerciali e anche abitazioni vere e proprie messe a reddito con inquilini estranei alla curia. Grazie alla propria squadra di consulenti portata con sé il cardinale Sepe è riuscito a mettere ordine alle finanze di curia e a fare fruttare quel patrimonio immobiliare che era in alcuni casi non censito e assai trascurato. Ha trovato così risorse necessarie alle nuove iniziative lanciate dalla curia. La prima è stata la creazione di una sorta di finanziaria di mutuo soccorso. Si chiama Fondo spes, è stato creato in collaborazione con Unicredit bank e il Confidi Pmi Campania ed opera sul modello di una finanziaria per il microcredito. Concede- senza chiedere alcun tipo di garanzia patrimoniale- prestiti entro i 20 mila euro per avviare o riconvertire iniziative imprenditoriali o commerciali e riuscire così a superare i morsi stretti della crisi finanziaria. Ha già ottenuto qualche successo soprattutto fra i commercianti di Napoli. L’altra iniziativa è ancora tutta da creare. Ma le fondamenta sono già state poste fra la fine del 2009 e la primavera del 2010. E’ stato allora che Sepe ha dato i natali alla Verbum ferens srl, società controllata dall’arcivescovado che ha intenzione di farne la propria holding in campo editoriale. A febbraio scorso ha chiesto e ottenuto dall’Autorità di garanzia nelle comunicazioni l’iscrizione nel Roc, il registro degli operatori della comunicazione. L’ok è arrivato il 18 febbraio scorso dal direttore del servizio ispettivo e di registro della sede napoletana della autorità, Nicola Sansalone. La Verbum ferens è diventata così attiva, ma per il momento il piano di sviluppo resta riservato. Nel suo oggetto sociale c’è per altro la comunicazione (il Verbo da portare) a 360 gradi. La società infatti ha diritto alla “pubblicazione, distribuzione e commercio di libri, riviste e periodici di qualunque tipo e specie, sia in lingua italiana che in lingua straniera; l’attività tipografica; l’esercizio e la gestione di reti radiofoniche e televisive e la gestione di agenzia di stampa e/o di concessionarie di pubblicità”.

Compagni attori, vi copriamo d'oro! Statali, prrrrrrrr! La nuova strategia del Pd


Meglio avere un compagno attore ricco che uno statale di troppo fra i piedi. Il Pd ha deciso di divorziare definitivamente con la sua tradizione sindacalista e di sinistra gettando nella mischia della legge finanziaria un emendamento che nemmeno Renato Brunetta avrebbe mai immaginato nella sua guerra santa ai fannulloni. L’emendamento porta il numero 2.0.12 e la firma di Vincenzo Vita, ex sottosegretario alle comunicazioni, di Anna Maria Serafini (sposata con Piero Fassino), di Vittoria Franco e numerosi altri volti noti del Pd: Rusconi, Giaretta, Garavaglia, Marcucci, Procacci, Legnini e Mercatali. Lo scopo principale è quello di trovare risorse aggiuntive per finanziare il fondo unico dello spettacolo, soldi cioè da riversare su registi, attori, sceneggiatori, fondazioni liriche e teatranti vari che ne beneficiano ogni anno. Per rimediare ai tagli operati in regime di ristrettezza dal ministro dei Beni culturali Sandro Bondi, il pd cerca di mettere sul piatto una fiche pesante, anzi, pesantissima. Cento milioni di euro aggiuntivi all’anno e per tutti i tre anni: fanno 300 milioni tondi tondi. Roba da premiare davvero fino in fondo quel Fabrizio Gifuni, il celebre attore ( e celebre figlio del segretario generale del Quirinale più potente della storia repubblicana) che ha risvegliato di fronte a Pierluigi Bersani l’assemblea del Pd chiamando gli astanti “compagni” e provocando applausi scroscianti mai visti su altri palchi professionali. Cento milioni sono tantissimi, anche per il Fus che non ne distribuisce pochi ogni anno. E il problema- quando si tratta di emendamenti alla legge finanziaria- è sempre lo stesso: dove trovare le risorse per fare contenti i compagni attori? Semplice, semplicissimo: nelle tasche degli statali. E’ un po’ la moda di quest’anno, come il ritorno dei “compagni” a sinistra, e se l’ha fatto Giulio Tremonti, anche il Pd può osare. Il modo è però un tanti nello brusco. Per non vedersi gli impiegati assediare la nuova sede del partito, Vita e gli altri hanno pensato prima di tutto a punire i dirigenti fannulloni. Ma non bastava. Allora via lo stipendio accessorio anche ai dirigenti che non cacciano via i fannulloni. Comprensibile e digeribile. Non bastava nemmeno questo. Allora “è fatto divieto di attribuire aumenti retributivi di qualsiasi genere ai dipendenti di uffici e strutture che siano stati individuati per grave inefficienza, improduttività lo sovradimensionamento dell’organico”. Sì, acqua fresca. L’aveva fatto anche Brunetta. E non basta per dare tutti i soldi che servono ai compagni attori. Ecco allora l’ideona: via buona parte della retribuzione ai dirigenti pubblici che non abbiano avviato “il procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti in esubero che rifiutino la mobilità”. E questo onestamente non l’aveva tentato nemmeno Brunetta. Perché pur dicendone di cotte e di crude agli statali, anche nel centro destra si sa che essere in esubero non è una colpa personale. E magari quando si hanno moglie e figli che vanno a scuola, trasferirsi a centinaia di km di distanza può non essere facile. Come difficile digerire anche di lavorare bene tutto il giorno e trovarsi in esubero. Non è una colpa, non è una mancanza. Ma per il Pd anche quegli statali andavano presi a frustate, perseguiti disciplinarmente. E tagliati gli stipendi dei loro capetti (lì è più facile e ci si sente la coscienza posto) che non li avevano frustati a dovere, magari avevano pure coperto i loro drammi familiari. Ma non è tempo di stare dietro ai diritti sindacali o alle questioni familiari dei travet. I compagni attori hanno bisogno di soldi pubblici per i loro film. Il biglietto lo paghino pure gli statali in esubero.

Tonino fa il politico, il palazzinaro, l'operaio (con canotta in vista) e ora anche l'agricoltore


La decisione l’ha presa alla fine del 2007. Da quel giorno Antonio Di Pietro non è più solo il nome di un ex magistrato divenuto molto famoso fra il 1992 e il 1994. Non è solo il nome di un uomo politico italiano che ha fondato anche un suo partito. E nemmeno il nome di un imprenditore del ramo immobiliare che per operare nel settore ha fondato la Antocri srl (sigla che riunisce le iniziali dei nomi di tre figli). Dal 28 settembre 2007 Antonio Di Pietro è anche il nome di un’impresa agricola con sede in Contrada Piscone a Montenero di Bisaccia, provincia di Campobasso. E non è un caso di omonimia: il titolare firmatario della impresa è proprio lui, il Tonino pm-politico-immobiliarista, nato a Montenero di Bisaccia il 2 ottobre 2050 e residente a Curno, provincia di Bergamo, in via Lungobrembo. Appena ha aperto la sua azienda agricola in Molise ha dichiarato alla Camera di commercio di Campobasso l’inizio della sua attività: “coltivazioni miste di cereali e altri seminativi”. Qualche mese dopo ha modificato l’attività in “coltivazioni miste di cereali, legumi da granella e semi oleosi”. Dipendenti dichiarati: nessuno. Bilanci non depositati. Ma finanziamenti pubblici, sì. Più o meno due volte al mese. Perché Di Pietro a Montenero non va spessissimo: solo quando ha voglia di riposarsi un po’. Qualche amico deve dare un’occhiata a terreni e coltivazioni, perché se ci si dovesse basare sul suo personale olio di gomito sarebbe già andato da tempo tutto in malora. Ma quando Tonino veste i panni dell’agricoltore monta subito sul suo trattore, lo avvia e chiama qualche amico fotografo per poi spendersi il servizio con la stampa popolare e familiare a cui lui tiene più che a Marco Travaglio. L’azienda agricola un po’ lo tiene occupato di sicuro. Almeno così pare ai funzionari del ministero delle Risorse agricole che si vedono recapitare da Di Pietro o da qualche suo messo ogni quindici giorni una richiestina di finanziamento o di rimborso anche minuscolo, da qualche decina di euro.
Al cervellone dell’Agea, l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura guidata dal leghista Dario Fruscio, risultano al momento quattro pratiche di un certo rilievo in stand- by sotto la voce “processo automatizzato di cui alla circolare n. 43 del 30 luglio 2009”.  Una porta la data del 18 agosto 2009 e il suo stato è “in istruttoria”. Una la data dell’8 ottobre ed è ferma perché “discordante”. Ce ne è una terza del 9 ottobre che risulta “in comunicazione” e infine una del 3 marzo 2010 che per fortuna di Tonino viene definita pratica “concordante”. Non si conoscono gli importi, ma basta consultare il cervellone sotto altre tipologie di finanziamenti, e le domande del leader dell’Italia dei valori per la sua aziendina agricola saltano subito all’occhio. Ce ne sono due dell’ultimo trimestre 2009, che hanno già avuto soddisfazione: una da 2.215,69 euro e una da 946,58 euro. Due pagamenti unici però per domande multiple anche nel 2008, per qualche migliaio di euro complessivo. Risulta perfino un pagamento da 256,05 euro del 16 febbraio 2007, che è precedente di alcuni mesi alla denuncia di inizio attività dell’impresa agricola. Ma la cifra è così piccola che deve costato più il viaggio a Roma per fare domanda che l’importo alla fine riscosso.
Altra interrogazione al cervellone Agea, ed ecco saltare fuori ogni domanda di Di Pietro per i contributi Feaga diretti: poco più di mille euro nel 2008, poco meno di 4 mila euro nel 2009. E giù una pioggia di domandine da pochi euro con tanto di finanziamenti erogati al leader dell’Italia dei valori. Vendita di titoli ordinari o da ritiro con terra? Seicentoottantaquattro euro e 960 centesimi stanziati per Tonino. E poi ancora alla stessa voce 267,140 euro. Altre due mini erogazioni sotto la voce “fissazioni”: una da 134, 06 euro e una addirittura da 21,450 euro. Nel 2008 in portafoglio dell’agricoltore Di Pietro 12 titoli agricoli per un totale di 3.165,270 euro. Nel 2010 l’azienda è cresciuta e vengono censiti 15 titoli per un totale appena più alto: 3.259,770.  Anche se da lì soldi non ne verranno, quella di Montenero non è più una pasioncella da week end, ma ormai una vera e propria attività che costringe l’ex pm a una caccia serrata al contributo pubblico (ce ne sono anche dell’Unione europea e della Regione Molise) che certo non manca mai all’agricoltura italiana.

E' il Dubai? No, è la Camera. Dove ogni deputato ha un ufficio da sceicco


Se c’è una cosa che tutti sanno da tempo è che i deputati lavorano come matti. Sono proprio stakanovisti: entrano a palazzo nelle prime ore del mattino di lunedì, e staccano solo al venerdì sera tardissimo. Poi vanno a lavorare in collegio. Sarà sicuramente per questo che un giorno un presidente della Camera si impietosì: poverini, vengono qui a Roma da molto lontano, e noi ci limitiamo a pagare loro solo quella misera diaria perché la notte quando sono qui abbiano un tetto sotto cui ripararsi (circa 50 mila euro all’anno a testa). E se hanno bisogno di lavorare un attimo in pace? Poverini, mica possono sedersi davanti al computer in stanze comuni, in un’open space in cui non c’è alcun rispetto della privacy. Quel presidente dal cuore d’oro si chiamava Luciano Violante, che ai deputati quando fu eletto promise: “avrete tutti un ufficio personale dove lavorare in assoluta tranquillità”. Violante non era uno da promettere così per dire, e realizzò il sogno di tutti i deputati stakanovisti. Fino da allora la Camera forniva qualche bella stanza a Montecitorio ai leader e ai più fortunati e agli altri dava un contributo per pagarsi un ufficio in centro. C’erano ancora le lire e il tutto veniva a costare meno di 3 miliardi all’anno. In euro esattamente un milione e 475 mila. Avere realizzato quel sogno costa invece oggi agli italiani che pagano l’ufficio ai deputati la bellezza di 84 milioni di euro in più all’anno. Nel 2010 infatti la Camera pagherà ai fortunati proprietari di casa che hanno affittato quegli uffici 86 milioni e 206 mila euro fra affitti e manutenzioni. Il fortunato in realtà è quasi uno solo: Sergio Scarpellini, proprietario della Milano 90 che incasserà da solo più di 50 milioni di euro sui 53,8 di pure pigioni pagate dalla Camera. Fra affitto e manutenzione, senza contare il personale addetto e gli arredi, la promessa fatta all’epoca da Violante è venuta a costare ogni anno la bellezza di 136.863 euro per deputato. Con una cifra così in mano a dire il vero ciascuno di loro quella stanzetta con scrivania e computer avrebbe potuto comprarla tranquillamente anche nel palazzo più esclusivo di Roma. Certo avrebbe potuto farlo per loro e per tutti gli anni a venire la stessa Camera dei deputati. Che invece preferisce regalare ogni anno quei soldi a Scarpellini, che è naturalmente felice come una Pasqua. Se ne rendevano benissimo conto anche gli uffici tecnici dell’epoca. Il segretario generale della Camera dei deputati, Mauro Zampini, lo fece presente al collegio dei Questori dell’epoca: con quei maxi affitti per gli uffici si rischiava di buttare via i soldi, meglio comprare. Lo suggerì cifre alla mano: uno degli immobili destinato a ospitare nuovi uffici stava per essere comprato da Scarpellini per 110 miliardi di lire dalla Emsa del gruppo Telecom (allora guidato da Roberto Colaninno) per essere poi affittato alla Camera per 18 anni (9+9) al prezzo di 12 miliardi di lire all’anno. L’affare sarebbe stato comprarlo direttamente. Ma l’ufficio di presidenza della Camera disse di no, con un ragionamento politico sottile: erano in corso i lavori della bicamerale per le riforme guidata da Massimo D’Alema. Si stava per votare una proposta di riduzione dei deputati da 630 a 400. Comprare poteva significare buttare via i soldi: da lì a pochi anni i deputati sarebbero stati meno e il palazzo sarebbe diventato inutile. Sono passati 13 anni da allora e il numero dei deputati è restato sempre lo stesso. In compenso i primi uffici sono sembrati strettini e dopo quel palazzo ne sono stati affittati altri 3 comprati per l’occasione sempre da Scarpellini. Alla fine per pagare casa e ufficio ogni anno a ogni deputato la Camera regala ai fortunati padroni di casa la bellezza di 120 milioni di euro. Significa quasi 200 mila euro a onorevole ogni anno. In un’azienda avrebbero licenziato da tempo l’amministratore protagonista di tale sperpero di soldi. Alla Camera no: hanno mandato via solo quel segretario generale dell’epoca che aveva avuto qualche dubbio sui contratti. Certo, hanno fatto felice come una Pasqua Scarpellini che grazie a quell’insperato biglietto da visita di Montecitorio si è messo a comprare un immobile dietro l’altro, riaffittandolo alla pubblica amministrazione: Senato, comune di Roma, Tar del Lazio, Consiglio di Stato, authority varie, perfino la gestione del bar che serve Giorgio Napolitano all’interno del più prestigioso palazzo delle istituzioni,  il Quirinale. E quando nel 2008 ha dato un’occhiata al bilancio della sua Milano 90 si è trovato dentro palazzi che valevano oltre un miliardo di euro. Qualche debito, ma ricavi da affitti per 77 milioni e un utile da 445 mila euro che in anno di crisi del mercato immobiliare era grasso che colava. Fra i conti sbucava anche una piccola marachella, come il persistente omesso pagamento dell’Ici al comune di Roma, che non è esattamente un titolo di vanto per il padrone di casa della Camera dei deputati.
Ma non c’è solo Scarpellini a dare risposta all’incredibile desiderio di mattone del Palazzo. Ad affittare alla Camera ci sono anche altre firme note e meno note del mattone: l’Immobiliare Tirrena di Tommaso Addario, l’Inail, la Cosarl della famiglia Colombo (gli stampatori di tutti gli atti parlamentari), e Marina Micangeli, un tempo azionista di maggioranza del gruppo Ciga e grande amica di Donatella Dini. Il solo con cui Montecitorio abbia fatto un affare è il Patriarcato di Antiochia dei Siri con sede a Beirut, proprietario di un ampio appartamento in piazza di campo Marzio, affittato dal lontano 1988 per 34 milioni di lire che ora sono diventati 51.382 euro.

Il Cavaliere fa nominare da Napolitano un cavaliere tarocco

Con la firma messa in calce alla lista che gli aveva preparato prima delle dimissioni l’ex ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, il primo giugno scorso il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ha nominato cavaliere del Lavoro uno dei re del Made in Italy taroccato: un italo-australiano che a Melbourne e dintorni vende con successo il suo “Parmesan”, la “Mozzabella fresca”, gli “cherry bocconcini” e da quest’anno produce sul posto “Italian wine and oil”. Una onorificenza che ha prima creato imbarazzo e poi rabbia nelle fila degli agricoltori italiani e delle loro associazioni di categoria: ma come, il governo spende milioni di euro per difendere il made in Italy alimentare, da anni conduce alla Corte di Giustizia europea una lunga battaglia giudiziaria contro il Parmesan tedesco, e poi va a premiare proprio un campione assoluto di parmigiano e mozzarella taroccati? Uno che più vende, più toglie mercato al vero parmigiano reggiano e alla vera mozzarella di bufala che in Australia- paese di migliaia di emigrati italiani, si potrebbero esportare con facilità? Il campione del tarocco si chiama Sebastiano Pitruzzello. Classe 1940, siciliano di Sortino. In Australia dal lontano 15 marzo 1963, quando si imbarcò sulla nave Oceania con la fidanzata Lucia per andare a lavorare in fabbrica, alla General Motor di Melbourne. La sua è la storia di lacrime, sudore e successo di molti emigranti italiani. Dollari risparmiati con fatica, e un’idea a lungo coltivata: quei formaggi che aveva imparato a farsi nella sua Sicilia e che come sfizio continuava a confezionare per le serate con gli altri amici immigrati, avrebbero potuto diventare un nuovo lavoro. Fu così che nel 1973 nacque la Pantalica Cheese company, grazie alla decisione del governo australiano di liberalizzare la produzione del latte e dei suoi derivati, che fino a quel momento erano riservati a licenze pubbliche. Così nel giro di pochi anni Sebastiano Pitruzzello insieme ai figli Biagio e Silvio ha fatto fortuna. Ha iniziato con il “fresh pecorino”, poi è passato alla ricotta e di anno in anno si è adeguato ai gusti del mercato. “Smooth ricotta” e “low fat ricotta” per chi chiedeva formaggi leggeri e adatti alle mode delle diete ipocaloriche. Poi ha scoperto che più dell’Italia tirava la Grecia e si è messo a produrre feta, fornendo insieme la ricetta per l’insalata greca. Carezza ai gusti locali con la “cream cheese spread”, una crema di fromaggio da spalmare per la merenda dei ragazzi. Poi è tornata la mania del made in Italy e lui ha sfoggiato il meglio che poteva: forme di “parmesan” fatto alla maniera di Reggio Emilia, e via bustine di grattugiato da usare per “zuppe, salse, pasta e insalate”. Bustina “parmesan cheese- Italian style” per chi poteva permettersi qualche dollaro in più, bustina di “pasta topping- Italian style” per chi aveva meno risorse economiche a disposizione. Già che c’era Pitruzzello ha taroccato anche la Nutella, lanciando sul mercato australiano la “Nut free- Choc ezy” in versione tradizionale e in versione bianco-latte. Per spingere il prodotto si è messo anche a fare pubblicità con uno spot trasmesso in tv sui network nazionali e su quelli locali. Visto che funzionava, ha fatto il bis con lo spot sulla “mozza bella fresca” e sui “cherry bocconcini” da mangiare come “antipasti”, o sulla “pizza, la pasta e le insalate”. A forza di pubblicità, raffinandosi un po’, ha prodotto perfino uno spot istituzionale sulla azienda, e sul suo stile genuino italiano. Mentre lanciava i formaggi taroccati, Pitruzzello non ha scordato il suo paese di origine. Ha mantenuto rapporti costanti con il consolato italiano di Melbourne e l’ambasciata tricolore di Canberra. Ha sponsorizzato tutte le iniziative dei siciliani emigrati in Australia, e tenuto i rapporti con il suo paese di origine, Sortino, che gli ha dedicato perfino una piazza (e lui ha ricambiato finanziando il monumento ai sortinesi emigrati che vi campeggia). Grazie ai buoni rapporti diplomatici il 27 dicembre del 2000 il presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, su proposta dell’allora presidente del Consiglio, Giuliano Amato, lo fece commendatore. Dal 2005 gli uffici diplomatici italiani in Australia propongono la sua candidatura per il cavalierato del lavoro. Tre volte è andata a vuoto, la quarta ha fatto centro. Ed è stato così che insieme al re del provolone italiano dop, Giandomenico Auricchio, alla grande firma di pandori e panettoni, Aldo Balocco, alla regina del Bardolino, del Soave e del Valpolicella doc- Maria Cristina Loredan Rizzardi- Pitruzzello, principe del formaggio tarocco, è diventato cavaliere della Repubblica italiana.

Ehia ehia voglio quella foto là! Fini si è portato alla Camera il fotografo di fiducia (con tanta nostalgia...)


L’appalto in teoria dovevano dividerselo in tre, e la spesa prevista per l’intero 2010 era stata messa in budget per un totale di 307.992 euro. Quello era quanto il collegio dei Questori della Camera aveva previsto di erogare in cambio di qualche servizio fotografico per le pubblicazioni e l’archivio interno. Una spesa non piccolissima, che però doveva coprire sia le foto di ambiente del palazzo che quelle- ricordo della attività istituzionale del suo presidente pro-tempore, Gianfranco Fini. Il budget rischia però di andare a farsi benedire, perché uno dei tre fotografi prescelti, ne ha mangiato già un buon quarto nel solo primo mese dell’anno. Un paio di mini-servizi commissionati alla Luxardo foto, una serie di book richiesti a Umberto Battaglia (12.756 euro già impegnati a febbraio per servizi sugli ambienti del palazzo) e la gran parte assorbita per le foto della frenetica attività istituzionale e diplomatica di Fini. Visite ufficiali in Italia e all’estero, incontri istituzionali con presidenti di Stati e Parlamenti di tutto il mondo, incontri con scolaresche e associazioni. Bottino pieno per la società che si è assicurata l’esclusiva dell’immagine del presidente della Camera, la Impero fotografico srl, che in un solo mese ha già prenotato 75.328 euro della posta complessiva ( i dati sarebbero segreti, naturalmente, ma ora li possiamo conoscere tutti grazie a una battaglia fatta sulla trasparenza con tanto di sciopero della fame dalla radicale Rita Bernardini). Il nome della società dice già qualcosa, con quel riferimento nostalgico un tempo impreziosito anche da un’aquila imperiale stemma dell’agenzia. Ma se si fa quello del titolare, si mette a versare lacrimoni anche donna Assunta: si tratta infatti di Enrico Para, l’ex fotografo di fiducia di Giorgio Almirante, un monumento vivente della storia postfascista italiana. Para dal 1980 è il fotografo ufficiale del Secolo d’Italia. Ha marcato come un francobollo avendone il copyright tutti i leader prima del movimento sociale e poi di Alleanza Nazionale. Era l’ombra di Almirante, è diventato una sorta di guardia del corpo di Fini. L’attuale leader della minoranza del Pdl non vuole fotografia ufficiale che non abbia la firma di Para, e ha trasmesso questa passione per il suo click anche ai principali amici e collaboratori. Tanto che Para è diventato fra il 2001 e il 2006 quasi il fotografo unico delle istituzioni del centro destra. Fini se lo portò dietro a palazzo Chigi come fotografo ufficiale del vicepresidente del Consiglio e alla Farnesina come ritrattista del ministro degli Esteri. Francesco Storace ne fece il fotografo ufficiale della Regione Lazio, Gianni Alemanno ne utilizzò l’opera al ministero delle Risorse agricole, Altero Matteoli lo chiamò al suo ministero dell’Ambiente. Naturale che quando Fini è divenuto la terza carica della Repubblica non abbia voluto altro scatto che quello di Para. E non si è sottratto certo ai suoi flash,tanto da creare qualche preoccupazione al collegio dei questori che ha visto lievitare oltre ogni attesa il conto per le fotografie.
Nonostante le frenetiche attività istituzionali del presidente della Camera e dei vari ministri che lo hanno voluto alla loro corte, Para è riuscito a trovare il tempo sia per continuare l’attività tradizionale della sua Impero fotografico (i redditizi servizi per i matrimoni), sia per togliersi qualche sfizio. In pochi anni un libro dietro l’altro. Con Federico Guiglia ha pubblicato ( e dàglie) una biografia di Fini assai vicina all’agiografia (“Gianfranco Fini, cronaca di un leader), corredata di tutte le foto scattate negli anni a palazzo Chigi. Con Mauro Mazza, attuale direttore di Rai Uno, ha dato alle stampe “I ragazzi di via Milano” dove campeggiava la bellissima foto della squadra di calcio del secolo, con tutti i futuri leader di An.
Para scatta e non commenta. Cresciuto in quel mondo, lo ha seguito (e gli è andata bene) senza mai fare capire cosa pensasse davvero dei vari cambi di pelle della destra italiana. Qualcosa si capiva fino a un anno fa dando un’occhiata al sito Internet della sua agenzia foto. Ai novelli sposi proponeva quattro tipi di servizi fotografici: “Claretta, Rachele, Edda e Rosa”, i nomi dell’amante, della moglie, della figlia e della mamma di Benito Mussolini. La traccia di una evidente nostalgia. Che però deve essere saltata all’occhio del suo committente, che non poteva più permettersela. Meglio riparare, deve avere pensato il fotografo, che non voleva perdersi per nessuna ragione al mondo il business della Camera dei deputati. Così i quattro servizi per gli sposi oggi si chiamano: “Diamante, Topazio, Smeraldo e Rubino”. Cosa non si fa per la gloria…

Ha negato mille volte. Montezemolo però ha la sua poltrona a Montecitorio


Lui continua a giurare che no, la politica non è il suo mestiere, e che non scenderà in campo. Ma ormai c’è la prova provata della evidente bugia ripetuta come una cantilena da Luca Cordero di Montezemolo. Perché l’ex presidente della Fiat e della Confindustria a Montecitorio ha già pronta la sua poltrona. Lui non è ancora lì, ma la Camera già sta pagandogli l’indennità di poltrona. A testimoniarlo è un contratto che l’amministrazione di Montecitorio ha da poco firmato con il gruppo Montezemolo. Poltrona Frau si è infatti assicurata in cordata con altre tre aziende del settore la fornitura di 220 mila euro di poltrone per il terzo palazzo delle istituzioni presieduto da Gianfranco Fini. L’azienda di Montezemolo ha infatti vinto una gara per “acquisto di arredi e sedute” fornendo già le prime poltroncine pregiate ai deputati nel primo quadrimestre. Luca penserà a poltrone e divani (quelli celebri del Transatlantico dove parlottano nelle pause onorevoli e giornalisti), i compagni di cordata penseranno alla fornitura di altri arredi da ufficio. Insieme a Poltrona Frau ci sono infatti la Estel Office spa della famiglia Stella, la Tecno spa del gruppo Mosconi e la Sedus stoll che appartiene all’omonimo gruppo internazionale. Altre suppellettili per gli uffici dei deputati saranno invece fornite (per 100 mila euro) dalla Eurosalotto Pedrina, dalla Cassina spa e da un gruppo di piccole aziende minori. Solo di arredi di complemento per gli uffici quest’anno la Camera ha messo in budget una spesa al milione di euro. Non riguarderà però i famosi uffici dei deputati sistemati ormai fuori dal palazzo principale, anche perché sono tutti di recentissima costruzione e con arredi per lo più nuovi fiammanti. Grazie a quella gara Montezemolo ha già avviato una rivoluzione copernicana nel sistema politico. Un tempo si conquistava la poltrona del palazzo. Lui invece ha conquistato il palazzo per la sua poltrona. E quando arriverà potrà sentirsi già a casa sua.


L'ultima bufala: non si può più intercettare la moglie di Riina. Già, perchè lei al telefono racconta tutto...

Quante intercettazioni telefoniche sono servite a catturare Totò Riina, Leoluca Bagarella, Bernardo Provenzano? Quante telefonate hanno tradito i capi della mafia e sono state utilizzate come fonti di prova per la loro condanna nei maxi processi? La risposta è semplice: nemmeno una. Sì, è vero. Per quattro anni gli inquirenti hanno piazzato microspie nella casa di Saveria Provenzano. Per 34.650 ore un ristretto pool di poliziotti ha ascoltato ininterrottamente ogni respiro captato nella casa dove viveva la moglie del capo dei capi della mafia. In quattro anni non è accaduto nulla. Solo una sera di inverno si è sentito piangere e singhiozzare Saveria. E solo l’intuito di un poliziotto ha immaginato che potesse essere accaduto qualcosa al padrino: forse stava male, forse era capitato qualcosa di grave. Dopo, solo dopo, si sarebbe ipotizzato che forse quel singhiozzo seguì la notizia giunta in un misterioso pizzino del cancro alla prostata di Provenzano, del suo ricovero sotto falso nome in una clinica di Marsiglia. Non ci sono telefonate, non ci sono intercettazioni, non ci sono microspie ambientali piazzate dove si voglia che siano state utili a trovare i superlatitanti della mafia, che abbiano tradito i Riina, i Messina Denaro, i Piccolo, i Bagarella. Non c’è una sola telefonata a inchiodare chicchessia nei grandi processi sulla criminalità organizzata. Basta andarsi a riprendere gli atti, leggersi le sentenze, sentire gli inquirenti veri che sono andati per anni caccia dei mafiosi. La caratteristica principale di Cosa nostra è il silenzio. Nessuno ha visto, nessuno ha sentito, nessuno parla al telefono. Ad aprire bocca sono stati i pentiti, raccontando ognuno la sua verità e certo fornendo ai magistrati anche elementi fondamentali nella guerra alla mafia. Ma nessun picciotto che conti si è mai tradito al telefono. Nessuna moglie, nessun figlio di latitante è inciampato in una frase di troppo captata dalla microspia che ben immaginavano di avere in casa, in ufficio, nel negozio o in auto. Alcuni quotidiani assai agguerriti nella campagna contro la legge del governo per regolamentare le intercettazioni ieri riferivano dell’arma micidiale che avrebbe usato il presidente della Camera, Gianfranco Fini per convincere Umberto Bossi che quella legge sarebbe assai indigesta: “Ma ti rendi conto Umberto”, ricostruiva ieri Il Fatto quotidiano, certo di avere intercettato la telefonata fra Fini e Bossi, “che con questo testo approvato in Senato non si potrebbe mettere una cimice nella macchina della moglie di Riina?”. Chissà se l’intercettazione politica è vera o una delle tante patacche disseminate in questa campagna. Certo è una patacca questa della microspia nell’auto della moglie di Riina. Non solo perché la legge sulle intercettazioni non vieta affatto questa possibilità. Ma perché la moglie di Riina- Ninetta Bagarella- non ha mai avuto auto e quando vi è salita sopra è sempre stato perché altri la scortavano e si mettevano alla guida. Microspie ne hanno messe anche a lei e ai suoi figli, in casa, in lavanderia, nei luoghi di lavoro. Ma inutilmente: non è da quelle che il capitano Ultimo ha avuto la strada per rintracciare il Capo dei capi e giungere al suo arresto nel lontano 1993. Non ci sono intercettazioni ambientali, non ci sono brogliacci di telefonate fra le prove regine dei processi per la strage di Capaci dove perse la vita Giovanni Falcone, o per la strage di via D’Amelio dove a perdere al vita fu Paolo Borsellino. Sì, qualche magistrato siciliano come Antonio Ingroia anche oggi va ripetendo in dibattiti e conferenze insieme ai Marco Travaglio o ai giornalisti dell’antimafia che senza intercettazioni telefoniche non si prenderebbe più neanche un latitante. Ma non è vero. L’unico lavoro sui telefoni in qualche modo collegato alle grandi inchieste sulla criminalità organizzata è stato quello sui tabulati telefonici fatto da Gioacchino Genchi nell’inchiesta sulla strage di Capaci. Non intercettazioni, ma controllo dei tabulati molto tempo dopo i fatti. Lì ha ricostruito qua e là chi stava in contatto con chi e ipotizzato anche una telefonata subito dopo la strage per dare il segnale che tutto era avvenuto secondo i piani. Un indizio importante certo, ma probabilmente se quella telefonata fosse stata intercettata (e assai difficilmente sarebbe potuto avvenire), probabilmente non si sarebbe sentito molto più di un sospiro. E’ una superpatacca quella della legge sulle intercettazioni che manderebbe gambe all’aria la lotta alla mafia. Nei processi le uniche vere telefonate prodotte sono quelle ai politici ritenuti coinvolti. Ad esempio quelle di Silvio Berlusconi o Marcello dell’Utri. Buone a tutti gli usi e a tutte le interpretazioni. Perché parlavano liberamente al telefono. Come i veri mafiosi non fanno mai.

Ma come tirano la cinghia! In Calabria ogni assessore ha fatto assumere un autista che gli era caro


La scelta al momento l’hanno fatta in sei, ma è possibile che alla fine diventi una caratteristica comune a tutta la nuova giunta della Regione Calabria, guidata da Giuseppe Scopelliti: la squadra di governo è stata dotata di un autista personale di fiducia liberamente scelto al di fuori della pubblica amministrazione. Il primo a togliere i colleghi dall’imbarazzo è stato il 19 aprile scorso l’assessore all’Urbanistica, Piero Aiello, in carica da tre giorni. Ha preso carta e penna e scritto al dirigente dell’ufficio dle personale chiedendo l’assunzione come autista di fiducia (stipendio base standard della Regione: 35.707,44 euro all’anno) di Salvatore Ionà, “estraneo alla pubblica amministrazione”. La Regione Calabria naturalmente ha i suoi autisti regolarmente assunti, ma non erano di fiducia dell’assessore, che per regolamento regionale ha diritto ha una sua “struttura speciale” di collaborazione in cui sono consentite immissioni di personale dall’esterno. Spezzato il ghiaccio, quello dell’autista di fiducia è diventato un cult in Regione. Il 21 aprile è arrivata la richiesta dell’assessore all’Agricoltura e alla Forestazione, Michele Trematerra per chiedere l’assunzione dell’autista di fiducia Giovanni Siciliano. Con lettera del 22 aprile anche l’assessore al Bilancio, Giacomo Mancini, ha preteso (e poi ottenuto) l’assunzione dall’esterno del suo chauffeur: Francesco Manna. Il 27 aprile all’ufficio del personale è arrivata la lettera- con analoga richiesta- scritta dall’avvocato Francescantonio Stillitani: l’autista prescelto (anche lui estraneo alla pubblica amministrazione) è stato Emanuele Mancuso. Il 30 aprile altra lettera, questa volta firmata dal neoassessore alle Attività Produttive, Antonio Caridi. Chaffeur personale dall’esterno: Domenico Laganà, assunto effettivamente dal 5 maggio con decreto n. 7018 di inserimento nel “registro dei decreti dei dirigenti della Regione Calabria”. Quello stesso giorno all’ufficio del personale è arrivata un’altra lettera- con analoga richiesta- da parte dell’assessore all’Ambiente, Francesco Pugliano, che non aveva trovato all’interno della Regione un autista di fiducia e con la sua richiesta ha fatto strabuzzare gli occhi ai dirigenti della Regione. Il prescelto infatti è un omonimo: Francesco Pugliano, nato come l’assessore a Rocca di Neto in provincia di Crotone. L’assessore però è del 1955 e l’autista è del 1969. Uno faceva il veterinario prima di arrivare in Regione, l’altro (l’autista) aveva una omonima impresa agricola.

l'Italia giocava? Solo i Bossi e Calderoli's boys lavoravano come sempre



 Durante la disfatta azzurra di Italia- Slovacchia molti nei ministeri erano talmente presi dalla partita da non potere rispondere al telefono. Nella segreteria del ministro delle Pari Opportunità, Mara Carfagna, solo durante l'intervallo qualcuno si è degnato di rispondere. E solo lo staff della Lega ha risposto al primo colpo: i Bossi e Calderoli boy's non stavano guardando l'Italia. Prova effettuata da Franco Bechis dal primo minuto della partita 






Ministero Titolare Ufficio Secondi per avere risposta
Commercio estero Adolfo Urso centralino 1.972
Pari Opportunità Mara Carfagna segreteria ministro 1.863
Salute Ferruccio Fazio centralino 1.122
Sviluppo Economico int. Silvio Berlusconi centralino 274
Economia Giulio Tremonti centralino 137
Infrastrutture Altero Matteoli centralino 42
Turismo Michela V. Brambilla centralino 31
Lavoro Maurizio Sacconi centralino 27
Giustizia Angelino Alfano centralino 22
Politiche Ue Andrea Ronchi segreteria ministro 21
Beni Culturali Sandro Bondi centralino 13
Difesa  Ignazio La Russa gabinetto 12
Pubblica istruz Maristella Gelmini centralino 11
Difesa  Esercito centralino 11
Interno Roberto Maroni centralino 9
Ambiente Stefania Prestigiacomo centralino 9
Politiche agricole Giancarlo Galan centralino 7
Pa e Innovazione Renato Brunetta centralino 6
Camera deputati Gianfranco Fini centralino 5
Rapporti regioni Raffaele Fitto segreteria ministro 5
Gioventù Giorgia Meloni segreteria ministro 4
Difesa  Marina militare centralino 4
Senato Renato Schifani centralino 3
Esteri Franco Frattini centralino 3
Rapporti Parlamento Elio Vito segreteria ministro 3
Attuazione programma Gianfraco Rotondi segreteria ministro 2
Difesa  Aeronautica centralino 2
Pres. Cons. min. Silvio Berlusconi centralino 2
Semplificazione Roberto Calderoli segreteria ministro 1
Riforme e federalismo Umberto Bossi segreteria ministro 1




Comunicazioni Paolo Romani numero verde staccato sempre




Per il Cavaliere (dopo Topolanek) tassa Zappadu da 30 milioni


Ha dovuto prima staccare un assegno da 24,5 milioni di euro a titolo di finanziamento infruttifero. E poi trovarsi di fronte a una perdita di 7,6 milioni di euro, che è quella con cui si è chiuso il bilancio 2009 della Immobiliare Idra. Silvio Berlusconi ha dovuto pagare a caro prezzo la difesa della sua privacy dopo le incursioni con tanto di tele-obiettivo di Antonello Zappadu, il fotografo che lo ritrasse fra il 2008 e il 2009 a villa Certosa insieme al premier cèco Mirek Topolanek in costume adamitico. Il maxi-investimento per la difesa della propria privacy si coglie ora dal bilancio 2009 della Dolcedrago spa, la holding controllata quasi totalitariamente dal Cavaliere che ne ha lasciato una minuscola quota (0,25%) a testa ai due figli di primo letto, Marina e Piersilvio. Dolcedrago controlla fra le altre società, la Immobiliare Idra che amministra le tre principali residenze private del presidente del Consiglio: Villa San Martino ad Arcore, la villa di Macherio dove abita l’ex moglie Vernica Lario e appunto villa Certosa, buen retiro estivo del Cavaliere. Lì sono stati necessari numerosi lavori di ristrutturazione per garantire meglio la sicurezza del premier ed evitare intrusioni non gradite. Spese per innalzare paratie e rendere più sicuri i confini dei parchi, ma anche per acquistare nuovi terreni che segnassero le distanze dalle residenze più vicine. Fra l’altro nel 2009 Berlusconi è riuscito a mettere fine anche a questo scopo a una lite annosa con la propria vicina di casa, la signora Maristella Cipriani. Prima, nel mese di maggio, in un preliminare di acquisto il cavaliere si è impegnato ad acquistare dalla Cipriani i terreni di confine utilizzati per la vigilanza armata a tutela della sicurezza del premier che tante liti avevano causato in questi anni. La promessa è stata poi rispettata il 14 agosto scorso aggiungendo in dono alla signora altri terreni della Idra a titolo di compensazione. E impegnandosi pure a non piazzare più vicino a casa Cipriani "apparecchiature e impianti rumorosi che rechino disturbo alla limitrofa proprietà a rimuovere quelli attualmente esistenti allo scopo di rendere meno fastidiosi i rumori e possibilmente eliminarli del tutto".

Alla pensione dei calciatori ci pensa Simona


L’isola dei famosi ha messo un mattoncino per costruire la pensione dei calciatori e degli allenatori un po’ meno famosi degli altri. E’ grazie anche a Magnolia, società di produzione del celebre programma tv guidato da Simona Ventura, che si tengono in piedi i conti della previdenza calcistica. Magnolia- che in Italia è rappresentata dall’ex direttore di Canale 5, Giorgio Gori, è infatti l’inquilino più celebre dei palazzi della Sport Invest 2000 investimenti immobiliari sportivi spa, società guidata dall’avvocato Salvatore Catalano (già presidente del collegio sindacale Rai) e controllata al 100% dal Fondo di accantonamento delle indennità di fine carriera per i giocatori e gli allenatori di calcio. La Sport Invest 2000 insomma ha il compito di investire in immobili per mantenere la solvibilità del fondo per il congedo di allenatori e giocatori di calcio. E lo ha fatto a Roma, Milano e in altre città, dove ha in portafoglio terreni e fabbricati per 33,7 milioni di euro. Fra gli immobili anche uno nella capitale, in via della Farnesina, che è diventato la sede romana di Magnolia che si è garantita la locazione con una fidejussione da 112.500 euro rilasciata dalla Banca San Paolo di Brescia. E’ il contratto di affitto più rilevante della Sport invest 2000 e così Gori e Ventura danno una mano ai calciatori più anziani. In attesa di averli all’Isola dei famosi…

Papi si è comprato il suo primo comunista: Peppone

Grazie a una lunga e complessa transazione durata più di un decennio Silvio Berlusconi è diventato dal 2009 ufficialmente l’erede di Giovanni Guareschi. O quasi. Fatto sta che gli appartiene in diritto Peppone insieme al suo eterno rivale don Camillo, in versione cinematografica. Pagando 41.562 euro all’anno di royalties infatti la Videodue srl controllata indirettamente (attraverso Dolcedrago) dal premier italiano si è conquistata il diritto di trasmettere dove e quando vuole la serie su don Camillo e Peppone. La piccola tassa finirà (come spiega il bilancio 2009 della Videodue, appena depositato) agli eredi di Renè Barjavel e Julien Duvivier, sceneggiatori della fortunatissima serie interpretata da Fernandel e Gino Cervi.

Come capo azienda ora è meglio Piersilvio di Silvio


Nell’anno più difficile 254 nuovi investitori pubblicitari sui 1.017 complessivi di Publitalia. E un’altra quarantina già arrivati nel primo trimestre 2010. Non solo, Digitalia 08, la concessionaria del digitale Mediaset, che ha raggiunto il punto di pareggio già nel 2009 con un anno di anticipo rispetto alla tabella di marcia. Così Piersilvio Berlusconi è riuscito proprio nel 2009-2010, in cui la crisi internazionale ha piegato gran parte delle economie occidentali, a battere l’orso e a fare assai meglio di quanto non sia riuscito a papà Silvio che con Giulio Tremonti era alla guida dell’azienda Italia. Mentre i conti pubblici avevano innestato il passo del gambero lasciando sul campo migliaia di feriti, Piersilvio ha tenuto la corazzata Mediaset e perfino la creatura più colpita dalla crisi, Publitalia, sulla cresta dell’onda, facendo addirittura guadagnare fette di mercato (la concessionaria del primo gruppo di tv private italiana ha conquistato nel 2009 il 64% del mercato, un punto in più dell’anno precedente). Proprio mentre Sipra (concessionaria Rai) perdeva il 17,4%, Rcs (Rizzoli Corriere della Sera) il 17,6%, Il Sole 24 System il 21,5%, Manzoni (Repubblica e Finegil) il 24 per cento (e la sola Repubblica il 14,5% del proprio fatturato pubblicitario). Ma la vera scommessa vinta da Piersilvio è proprio quella del digitale, testimoniata oltre che dal sorprendente risultato di Digitalia 08, anche dai ricavi 2010 di Mediaset premium, cresciuti del 54,6% nei primi tre mesi dell’anno sfiorando i 215 milioni di euro e avviandosi ormai a ripagare anche nel risultato gli investimenti effettuati.