Il forziere della camorra? Non ha un euro dentro. Su Cosentino i pm prendono un po' di fischi per fiaschi

Si è messo le mani nei capelli, perché altro non poteva fare Roberto Pepe, manager di lungo corso, quando è entrato per la prima volta nel suo ufficio alla Eco4 di Caserta, la società formalmente pubblica specializzata nel ciclo dei rifiuti che secondo i magistrati pronti ad arrestarlo era di fatto dell’attuale sottosegretario all’Economia, Nicola Cosentino (“la Eco4 songo io” si sarebbe vantato il politico secondo le confessioni dei camorristi pentiti). Basterebbe prendere la disperata relazione di Pepe depositata al registro delle Camere di commercio per conoscere un’altra verità di quella Eco4, che secondo i giudici napoletani è l’architrave dell’accusa verso Cosentino: attraverso i cospicui fondi lì transitati per il riciclo dei rifiuti si sarebbero ingrassati i forzieri della camorra, e nella stessa società grazie a Cosentino e ad altri politici dell’area (nell’ordinanza vengono citati pure Mario Landolfi e Italo Bocchino) sarebbero stati assunti decine e decine di parenti e manovali cari al clan dei casalesi. Bisognerebbe prenderle quelle sei paginette scritte il 15 giugno 2007 da Pepe e leggerle dalla prima all’ultima riga per farsi raccontare una storia che nella richiesta di arresto per Cosentino non è manco citata. “La situazione mi parve difficile già dalla mia prima visita alla sede della società”, scrisse Pepe, “uffici sporchi e disadorni, telefoni muti, computer non funzionanti e, successivamente, sequestrati dalla ditta proprietaria (perché non pagate le rate del nolo)”. La schiera di camorristi assunti? “Il personale è stato sempre scarsamente collaborativo, se non ostile, perché non pagato da mesi”. Il forziere della camorra? “nelle casse della società non vi era un solo euro e qualunque spesa da affrontare, anche la più irrisoria era impossibile. Neanche la carta intestata o bianca era disponibile. Ricordo che il crocifisso per la mia stanza mi fu donato dal dr…”. Niente soldi in cassa, eppure la Eco4 (che poi ha cambiato il suo nome in Egea service) non era ancora fallita: “era esposta a debiti e sotto il tiro di molti creditori, ma era anche depositaria di molti crediti da parte dei comuni i quali però non pagavano e si appellavano ad azioni pretestuose per non onorare i propri impegni”. Come è finita? Che i comuni hanno continuato a non pagare e che tutto quel che c’era se l’è portato via il creditore più svelto, la Flora Ambiente spa che ha ottenuto il fallimento della ex Eco4. Questo finale non è irrilevante, perché l’architrave dell’accusa dei magistrati contro Cosentino poggia proprio su questa Flora Ambiente, appartenente ai fratelli Orsi che sarebbe stata creata proprio per svuotare dai soldi pubblici la Eco4 attraverso un giro di false fatturazioni con la presunta complicità di Cosentino e con la benedizione del clan dei casalesi (prima una famiglia, i Bisognetti e poi un’altra, quella degli Schiavone grazie all’interessamento di vari pentiti e di un personaggio quasi da fumetto, Gigino o’drink). Hanno ragione i giudici di Napoli: effettivamente tutto quel che c’era della Eco4 è finito proprio alla Flora Ambiente. Non però per gli uffici malandrini di Cosentino: per decisione di altri giudici, quelli del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Quella della Eco4 è una delle tante contraddizioni contenute nella richiesta di arresto del sottosegretario all’Economia avanzata dal gip di Napoli. Non è l’unica, se ne rendono conto gli stessi magistrati che procedono. Ballerino è il reato contestato di concorso esterno, tento che tutta la prima parte dell’ordinanza riconosce la confusione giuridica in proposito e cerca a lungo un precedente adatto alla bisogna, trovandolo poi in uno dei tanti processi a Calogero Mannino. Claudicante la stessa necessità di arrestare Cosentino. Anche qui il gip lo riconosce a pagina 354 dell’ordinanza: non c’è pericolo di fuga perché l’indagato è “parlamentare e sottosegretario di governo”.

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