Fisco choc per gli abruzzesi. Da gennaio tutte le tasse con gli arretrati. Ma le Marche hanno pagato solo il 40 per cento dopo 12 anni...

I senza casa de l’Aquila in attesa di uscire dalle tende, come promesso, dal prossimo autunno dovranno comunque mettersi rapidamente in cerca di un commercialista di fiducia. Sperando che il suo studio non sia crollato e che si siano salvati documenti degli anni passati. Perché da gennaio 2010 il fisco vuole tasse e contributi sospesi all’indomani del terremoto, senza fare più distinzioni fra abitanti della zona del cratere e quelli di altre zone. Lo stabilisce un apposito articolo del decreto legge anti-crisi approvato dal consiglio dei ministri il 30 giugno scorso. I pagamenti dovranno essere integrali, ma rateizzabili fino a 24 mesi. Il 16 giugno invece i terremotati di Marche e Umbria del 1997 hanno pagato la loro prima rata di tasse sospese. La stessa amministrazione fiscale che oggi chiede indietro i soldi agli abruzzesi colpiti dal terremoto era stata molto più generosa con i loro predecessori solo 7 mesi fa. A dicembre infatti il Parlamento aveva approvato definitivamente il decreto legge che stanziava i soldi per l’organizzazione del G8 (allora previsto alla Maddalena), inserendo una norma per il recupero delle tasse sospese alle popolazioni di Umbria e Marche nel 1997, 1998 e 1999. A dodici anni di distanza il governo aveva stabilito che dal gennaio 2009 in ben 120 rate gli ex terremotati dell’epoca dovessero iniziare a pagare allo Stato tributi e contributi che all’epoca come sempre avviene in questi casi furono sospesi. Con un picco di generosità ulteriore il Senato aveva approvato un emendamento per spostare quella data da gennaio a giugno. E in effetti il 16 giugno scorso marchigiani e umbri ex terremotati hanno versato la prima delle 120 rate dei tributi di 12 anni fa. Ma a loro è stato condonato il 60 per cento di quanto dovuto. Il pagamento rateizzato riguarda quindi solo il 40 per cento degli importi ovviamente senza aggravio di sanzioni. Può darsi che la generosità mostrata nei confronti di quei contribuenti sia stata eccessiva. Certo il raffronto con l’Abruzzo fa impressione. Perché realisticamente a gennaio sarà già un miracolo avere ripreso in una parte della popolazione colpita un minimo di normalità. Pensare che abbondino lavoro e attività economiche tanto da permettersi di pagare due volte le tasse dopo avere perso tutto, è semplice utopia. In ogni caso se lo stesso governo a pochi mesi di distanza offre un trattamento tanto diverso a due popolazioni anche geograficamente così vicine, compie un errore. Se ne è accorta la stessa maggioranza che alla Camera ha già chiesto l’immediato stralcio della norma... Franco Bechis

Camera, i rimborsi restano top secret. Così ai deputati in tasca fino a 15 mila euro netti al mese

I deputati italiani non renderanno conto se non volontariamente di come spendono il rimborso spese forfettario mensile di 4.190 euro che dovrebbe coprire le spese per mantenere i rapporti con il proprio collegio di appartenenza. Con 49 sì e 428 no la Camera dei deputati questa settimana ha sonoramente bocciato la proposta avanzata dalla radicale Rita Bernardini e più volte lanciata negli ultimi due anni dalle colonne di Italia Oggi. D’altra parte prima della prova del pulsante elettronico a respingere la proposta della Bernardini era stato il deputato questore Antonio Mazzocchi (Pdl), secondo cui l’idea di rimborsare ai deputati solo le spese documentate avrebbe fatto lievitare i costi della Camera dei deputati. Mazzocchi ha spiegato che per passare dal rimborso forfettario al regime a piè di lista si sarebbe comunque prima dovuto trovare un accordo anche con i senatori. E ha aggiunto: «Va osservato che tali interventi potrebbero comportare un significativo aggravamento delle procedure correlate sia per il deputato sia per gli uffici della Camera, come è noto interessati al blocco del turn over». La tesi è questa: se i deputati debbono presentare ricevuta fiscale delle spese sostenute, poi gli uffici della Camera dovrebbero controllarle prima di rimborsarle. E la fatica sarebbe eccessiva. Tesi curiosa, visto che così avviene in ogni posto di lavoro, e visto che oltre ai 630 deputati la Camera ha anche circa due mila dipendenti i cui rimborsi spesa si spera vengano controllati dall’amministrazione.Respinta anche l’idea di non rimborsare i taxi a forfait almeno a chi dispone di auto di servizio. «Non vi sono auto», ha sostenuto Mazzocchi, «riservate al singolo deputato. I deputati che ricoprono incarichi istituzionali hanno la possibilità di accedere ai servizi dell’autorimessa prevalentemente per fare fronte agli impegni istituzionali all’interno del comune di Roma. In ogni caso restano a loro carico le spese sostenute fuori dalla città di Roma». Di fronte a questo muro c’è almeno un neo deputato che ha provato a fare passare un’altra minima richiesta: quella di rendere pubbliche (anche senza ricevute e non ai fini del rimborso) le modalità di utilizzo di quei 4.190 euro mensili da parte di ogni deputato. Potrebbero essere utilizzati per pagare contratti a progetto ai collaboratori (i cosiddetti portaborse) o per altre attività. Ma anche semplicemente essere messi in tasca esentasse e fare lievitare lo stipendio. Ci ha provato Giovanni Battista Bachelet. Spiegando con il cuore in mano davanti all’assemblea: «Penso che sia un principio importante la rendicontazione delle spese. È una delle cose che più mi ha meravigliato l’anno scorso diventando deputato. Per alcune spese, giustamente, come quelle dei treni o degli aerei, chi fa politica (cioè viaggia e spende) spende, chi non fa politica non spende. Viceversa, con il rimborso forfetario, c’è un premio inverso: meno si lavora e si spende per la politica, più soldi vanno a finire nel nostro stipendio. È un risultato paradossale che la rendicontazione contribuirebbe almeno in parte a mitigare...». Il cuore in mano e la semplice ragionevolezza di questo argomento non sono bastati. Ufficialmente nessuno ha preso la parola per contestare questa richiesta. Ma poi con il ditino ha pigiato il pulsante del voto. Ed è uscito il responso: hanno votati sì in 91 (e già non sono pochissimi), ma votato no in 370 (la maggioranza assoluta dell’aula). Quindi niente trasparenza sulle spese. E tutti i deputati sulla carta potranno mettersi in tasca ogni mese l’indennità netta da 5.236 euro, più la diaria (in caso di nessuna assenza) netta da 4.003 euro, più il rimborso spese da 4.190 euro netti, più quello a forfait per i trasporti da 1.091 euro netti più altri 258 euro netti di rimborso telefono. In tutto fanno 14.778 euro netti al mese...

Che mistero quei titoli Usa sequestrati a Chiasso! Vallgono due finanziarie di Tremonti

E’ dal tre giugno scorso che la Guardia di Finanza di Como ha nei suoi uffici la valigetta più bollente che sia mai passata in Italia. Contiene titoli di Stato americani per un valore complessivo di 134,5 miliardi di dollari. E’ stata sequestrata a Ponte Chiasso a due cittadini giapponesi su un treno che avrebbe dovuto portarli in Svizzera. I due, di cui non è stata diffusa l’identità, risultano residenti dai documenti a Kanagawa e a Fukuoka e sono stati rilasciati, denunciati a piede libero. Secondo indiscrezioni uno dei due sarebbe Tuneo Yamauchi, cognato di Toshiro Muto, già vicegovernatore della Banca del Giappone. Nessuna autorità ha ancora dichiarato ufficialmente veri o falsi quei titoli. E il mistero è già un giallo internazionale. Sono state scarne quanto mai le notizie ufficiali. Abbottonatissime le fiamme gialle. Muro di silenzio alla procura di Como, titolare dell’indagine. Imbarazzo nelle autorità politiche e monetarie. Brividi corsi nelle principali cancellerie internazionali. Perché un fatto solo è certo: se quei titoli di Stato fossero apparsi palesemente falsi, i due giapponesi sarebbero dovuti essere in galera. Ma se sono autentici la legge italiana prevede l’applicazione di una multa pari al 40 per cento del loro valore: più di 50 miliardi di dollari, che da soli risolverebbero ogni problema di cassa per Giulio Tremonti. Ufficiosamente si è lasciato trapelare la probabile falsità di quei titoli, una versione che metterebbe nei guai qualche finanziere (perché non ha proceduto all’arresto dei due giapponesi), ma che non creerebbe problemi nè con gli Stati Uniti nè con paesi eventualmente possessori di quel misterioso tesoro (le ipotesi sono al momento Giappone, Cina o Russia). Ma è evidente che la versione di due ladruncoli in giro per l’Europa con una valigetta da 134,5 miliardi di titoli falsi fa acqua da tutte le parti. Chi mai li avrebbe acquistati, oltretutto senza controllarne l’autenticità? La stampa americana che si è occupata del caso ha ipotizzato che i falsari siano i solityi capi-mafia italiani. Spaghetti, pistola e secondo tradizione il caso sarebbe chiuso. Il titolare di una radio Usa, Hal Turner, ha invece sostenuto nell’etere e sul suo blog l’autenticità di quei titoli, sostenendo che l’informazione proveniva da fonti di altissimo livello. Due giorni dopo è stato arrestato, chiusa la sua radio e oscurato il blog. Un giallo nel giallo. Come anche quello sulla qualità dei titoli. Secondo la Gdf si tratta di Bond Kennedy. Ma la foto diffusa illustra dei Treasury Notes, con cedola non staccata e incassata (altra stranezza). Il mistero è sempre più inquietante... Franco Bechis

Scaroni sfida Berlusconi a Porto Torres

Con un annuncio dato con poche ore di preavviso al presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, l’Eni guidata da Paolo Scaroni ha deciso la chiusura- al momento temporanea, per «almeno due mesi» dello stabilimento chimico di Porto Torres. Con un lungo comunicato si spiega che «l’andamento dello stabilimento di Porto Torres nei primi mesi del 2009 è stato pesantemente condizionato dalla attuale crisi finanziaria, che ha aggravato la già difficile situazione economica del sito». Le perdite sono rilevanti. Ma il caso è diventato politico. Perchè Porto Torres fu riaperto a febbraio per intervento di Silvio Berlusconi. E il gesto sa di sfida, soprattutto all’indomani della guerra del gas originata dal decreto anti-crisi (...)E’ da tempo che l’Eni sta attuando con governo e autorità locali una sorta di braccio di ferro sul caso Porto Torres. Da anni lo stabilimento perde decine di milioni di euro (circa 150 milioni fra il 2008 e la previsione di rosso 2009) e fatica a tenere un mercato già non particolarmente brillante. Da anni non mancano le pressioni delle autorità politiche regionali e nazionali per evitare una crisi che avrebbe un risvolto sociale rilevante in Sardegna. Per quetso nel dicembre scorso Scaroni era stato convocato in Parlamento, dove era uscito da un’audizione assicurando “L’Eni non chiuderà l’impianto cracking di Porto Torres”. Ai primi di gennaio invece lo stabilimento si fermò, ufficialmente “per problemi di manutenzione”. Insorsero come sempre le autorità locali e siccome si era in piena campagna elettorale per scegliere il nuovo governatore, il caso è subito diventato nazionale. A metà gennaio Silvio Berlusconi chiamò a Mosca lo stesso Scaroni, tirandolo fuori da un incontro decisivo per le sorti del gas italiano e gli impose (comunicandolo poi ufficialmente con una nota di palazzo Chigi) l’immediata riapertura dello stabilimento, dettandone anche le condizioni, i piani di sviluppo e le possibili soluzioni sindacali. Ed è stato probabilmente di nuovo il gas a intersecarsi con la vicenda della chimica sarda. All’Eni non è infatti andato giù (anche perchè letto sul testo di legge, senza preavviso) quell’articolo 3 del recente decreto legge anti-crisi che stabilisce la “riduzione del costo dell’energia per imprese e famiglie” obbligando a cedere a prezzi vincolati 5 miliardi di standard metri cubi di gas. Una norma che secondo le prime stime avrebbe un impatto negativo su Eni di almeno cento milioni di euro. Per questo nelle fila del governo il caso Porto Torres è sembrato la risposta dell’Eni. Un guanto di sfida... Franco Bechis

Non si va in Paradiso passando dai paradisi fiscali. Così il Papa prepara la sua strada al rientro dei capitali

Sono passati più di 40 anni da quel 26 marzo 1967 quando Paolo VI tuonò contro l’esportazione illecita dei capitali dalle pagine della Populorum progressio, un’enciclica chiave nella storia della dottrina sociale della Chiesa. E quel passaggio, in un mondo così lontano da quell’epoca, riecheggia con forza nella nuova enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate, che questa mattina verrà presentata ufficialmente in Vaticano e di cui Italia Oggi anticipa tre capitoli. «Paolo VI», ricorda papa Ratzinger, «invitava a valutare seriamente il danno che il trasferimento all’estero di capitali a esclusivo vantaggio personale può produrre alla propria Nazione». Insomma, non si va in Paradiso passando per i paradisi fiscali. La nuova enciclica sostiene che “tutto questo è valido anche oggi, nonostante che il mercato dei capitali sia stato fortemente liberalizzato e le moderne mentalità tecnologiche possano indurre a pensare che investire sia solo un fatto tecnico e non anche umano ed etico”. Non è tenero, Benedetto XVI, con gli imprenditori e con i manager che spesso sono stati all’origine della crisi finanziaria che sta mettendo in ginocchio il mondo. E per quanto un’enciclica sia fatta per attraversare il tempo, non mancano riferimenti anche di dettaglio all’attualità. Per il Papa uno dei rischi maggiori “è senz’altro che l’impresa risponda quasi esclusivamente a chi in essa investe e finisca così per ridurre la sua valenza sociale. Sempre meno le imprese, grazie alla crescita di dimensione ed al bisogno di sempre maggiori capitali, fanno capo a un imprenditore stabile che si senta responsabile a lungo termine, e non solo a breve, della vita e dei risultati della sua impresa, e sempre meno dipendono da un unico territorio. Inoltre la cosiddetta delocalizzazione dell’attività produttiva può attenuare nell’imprenditore il senso di responsabilità nei confronti di portatori di interessi, quali i lavoratori, i fornitori, i consumatori, l’ambiente naturale e la più ampia società circostante, a vantaggio degli azionisti, che non sono legati a uno spazio specifico e godono quindi di straordinaria mobilità». Ma non sono solo gli imprenditori ad avere perso il senso della propria responsabilità sociale: “Negli ultimi anni si è notata la crescita di una classe cosmopolita di manager, che spesso rispondono solo alle indicazioni degli azionisti di riferimento costituiti in genere da fondi anonimi che stabiliscono di fatto i loro compensi”. Per anni, sostiene il Papa, “la perdurante prevalenza del binomio mercato-Stato ci ha abituati a pensare esclusivamente all’imprenditore privato di tipo capitalistico da un lato e al dirigente statale dall’altro”. La realtà non è più quella. E con parole che farebbero felici il ministro dell’Economia italiano, Giulio Tremonti, e che fotografano con lucidità l’attuale situazione internazionale, il Papa spiega che “l’economia integrata dei giorni nostri non elimina il ruolo degli Stati, piuttosto ne impegna i governi ad una più forte collaborazione reciproca. Ragioni di saggezza e di prudenza suggeriscono di non proclamare troppo affrettatamente la fine dello Stato. In relazione alla soluzione della crisi attuale, il suo ruolo sembra destinato a crescere, riacquistando molte delle sue competenze». Sarà grazie a questo ruolo riconquistato da stati e governi che si potranno riprendere in mano le redini della globalizzazione oggi sfuggite. Basta non assolutizzare i processi economici e ricordare che questi dipendono e sono governati sempre dagli uomini. “La globalizzazione”, dice Benedetto XVI citando in questo il suo immediato predecessore, “a priori non è buona nè cattiva (...) Opporvisi ciecamente sarebbe un atteggiamento sbagliato, preconcetto, che finirebbe per ignorare un processo contrassegnato anche da aspetti positivi (...) I processi di globalizzazione, adeguatamente concepiti e gestiti, offrono la possibilità di una grande redistribuzione della ricchezza a livello planetario come in precedenza non era mai avvenuto”. E’ qui il senso vero del mercato come è inteso da Benedetto XVI: non giustifica più la sua esistenza con il solo criterio della giustizia commutativa (lo scambio classico fra bene e prezzo), che portata all’esasperazione lo distrugge, ma vivrà se saprà costruire una economia di mercato anche attraverso la giustizia distributiva e quella sociale. Una ricetta non banale proprio per il G8 alle porte... Franco Bechis

Trovato il leader del Pd. E' un pastore sardo che da 30 anni batte Berlusconi

Non c’è bisogno di congresso, e nemmeno di lotte estenuanti fra le fazioni. Il leader ideale del Partito democratico c’è già, anche se pochi lo conoscono. Vive in Sardegna, a due passi dalla costa Smeralda. Pochi chilometri da villa Certosa. E’ il campione dell’opposizione a Silvio Berlusconi. E non usa colpi bassi nè campagne di stampa organizzate: solo le regole del gioco. Potrebbe piacere perfino ad Antonio Di Pietro. Si chiama Paolo Murgia. Di mestiere fa il pastore. E’ l’unico italiano che da ben 30 anni riesce a tenere in scacco proprio Berlusconi. Che le ha provate tutte, proprio tutte. Anche offrendo montagne di soldi. Ma gli è andata sempre male. Perché Murgia gli tiene testa e non molla... Ne sanno qualcosa i poveri amministratori di Edilizia Alta Italia, società del gruppo Fininvest. Dal 1980 stanno cercando di realizzare il progetto “Costa turchese”, un comprensorio di ville, abitazioni e alberghi e un porto turistico da 2 mila posti barca. Ma una parte del terreno non viene liberata da Murgia e dalle sue pecore. “Ci pascolo da una vita”, sostiene lui, “su questa terra ho l’usucapione. Non la cedo”. E via a guerre di carta bollata davanti a Tar e tribunale di Tempio Pausania. “Nel novembre 1984”, racconta nell’ultimo bilancio il presidente di Edilizia Alta Italia, “con verbale di conciliazione giudiziaria che pose fine all’ennessimo procedimento, la società concesse a Murgia, a titolo gratuito e sino a revoca, il diritto di pascolo su una parte dei terreni in località Murta Maria confidando con ciò di porre fine alle pretese e alle azioni prevaricatrici del soggetto”. Murgia mica se è accontentato, i suoi pascoli avevano bisogno di più terra. E ha sconfinato. Altre guerre di carta bollata, ma per la società di Berlusconi nulla da fare. Nessuna sentenza definitivamente favorevole. E pastore e pecore lì sul per tutti gli anni ‘90. Quando sembrava arrivata la svolta, ecco nel 2004 giungere invece Renato Soru e la sua legge ambientale che vieta ogni nuova costruzione vicina alla costa. Qualche mese fa nuova speranza. Via Soru, arriva Ugo Cappellacci. Edilizia alta Italia esulta: “le recenti elezioni amministrative”, nota la relazione al bilancio 2008, “permettono di ipotizzare nel medio periodo un allentamento e una migliore definizione degli odierni vincoli...”. Si può costruire dunque. Ma c’è sempre Murgia di mezzo. Il pastore ha rifiutato un’offerta in denaro. E anzi, ha sconfinato prendendosi altri terreni da pascolo. Di nuovo carta bollata. Tutto fermo, davanti al tribunale. Ma il pastore è lì. E Berlusconi non riesce a costruire... Franco Bechis

Nemmeno ai medici di Obama riesce il miracolo di RESUSCITARE il re del pop!

Attenzione a come la sera del 25 giugno il Tg5 ha dato la notizia della probabile morte del re del pop, Michael Jackson. Sostenendo che nemmeno nell'amatissima America di Barack Obama riescono proprio tutti i miracoli. A un minuto e 15 secondi dalla messa in onda nell'edizione condotta da Simonetta Di Pillo la corrispondente dagli Usa, Francesca Forcella, spiega infatti che in ospedale i soccorritori "hanno provato a resuscitare" il re del pop, ma senza successo, perché ormai non respirava più... Che per altro è una delle condizioni essenziali per potere poi "resuscitare". essere prima morti....

Ma che flop per Repubblica, umiliata dal Corriere nella guerra a Berlusconi

Silvio Berlusconi tira fuori- manco a dirlo- l’ultimo sondaggio che gli darebbe nonostante tutto una popolarità al 61 per cento e manda a quel paese l’inchiesta di Bari e gli inchiestisti di Repubblica e Corriere della Sera: «Non muterò le mie abitudini. Io sono fatto così e non cambio. Se mi vogliono, sono così. E gli italiani mi vogliono: ho il 61 per cento dei consensi. Mi vogliono perché sentono che sono buono, generoso, sincero, leale, che mantengo le promesse». Certo, ammette il presidente del Consiglio, «all’estero tutto ciò non ha fatto bene, ma la verità viene sempre fuori». E liquida il caso Tarantini-escort così: «Purtroppo abbiamo sbagliato l’ospite e lui ha sbagliato l’ospite dell’ospite». Per la prima volta Berlusconi è pure sceso nel dettaglio delle accuse della escort, facendosi tirare a un faccia a faccia che farà venire i brividi a molti suoi collaboratori. “Ho fatto una promessa?”, ha sostenuto il premier, “ma veramente voi pensate che io mi metta a fare una pratica edilizia per qualcuno in un comune rosso, in una provincia rossa, in una regione rossa? Dovrei essere uscito di testa. Ma tanto le menzogne vengono fuori”. Insomma, è già qualcosa che il presidente del Consiglio abbia ammesso di avere sbagliato a frequentare un imprenditore non proprio da Financial Times come Giampaolo Tarantini e ancora di più a fare la corte a una delle sue invitate (così almeno risulterebbe dalle registrazioni divulgate alla stampa). Probabilmente sarebbe stato più prudente non entrare nei particolari della promessa sulla pratica edilizia, tanto più che a detta della diretta interessata che per questo coverebbe rabbia nei confronti di Berlusconi, la pratica è ancora lì sepolta come un tempo. Ma la scelta di affrontare perfino gioiosamente il “dossier Bari” che sta causando un maldipancia notevole ai suoi collaboratori di palazzo Chigi e perfino a non pochi parlamentari del Pdl, non è stata un passo falso. Quel “mi dovete prendere così” bagna parecchie munizioni di quelle che un po’ negli uffici giudiziari, un po’ sulle colonne della stampa, si stavano preparando. Munizioni per altro non di particolare efficacia. Da un mese e mezzo a questa parte, con buona pace di Ezio Mauro e del suo staff di Repubblica che hanno cercato la pistola fumante, gli unici due colpi giornalistici degni di qualche nota li ha messi a segno il Corriere della Sera, senza farne nemmeno una campagna stampa. Il primo è stato naturalmente l’intervista a Patrizia D’Addario che ha sostenuto di avere conosciuto Berlusconi di sfuggita e alla seconda volta di essere finita nel letto regalato da Vladimir Putin al premier italiano. Il povero Giuseppe D’Avanzo da più di un mese cercava anche solo l’ombra di un fatto così passandosi uno dopo l’altro parenti, amici, ex fidanzati e semplici conoscenti di Noemi Letizia. E si è trovato con un pugno di mosche in mano. Il secondo colpo l’ha messo a segno ieri di nuovo il quotidiano di Ferruccio De Bortoli. Il giornale avversario, stordito dal primo scoop, ha provato subito a sguinzagliare i suoi segugi a Bari. Nuovo buco nell’acqua: interviste all’amica del cuore di Patrizia, all’amico-amica transessuale, a qualche altra ragazza allegra, e nessuna che avesse mai frequentato il lettone di Putin! Ne è venuto fuori un servizio di coda di Verissimo. Mentre gli inchiestisti di Mauro si stavano specializzando in storie da Via col Vento 2000, quelli del Corriere si sono fatti la domanda giusta: ma se questo Tarantini portava a tutti belle ragazze, ha avuto o almeno provato ad avere qualcosa in cambio? Ieri la risposta: provare ci ha provato. E il Corriere ha trovato un imprenditore barese, Enrico Intini, che ha pagato 150 mila euro a Tarantini per essere introdotto negli affari del palazzo che conta. Quello gli ha combinato un appuntamento con Guido Bertolaso, ma è stata aria fritta: di commesse nemmeno una. Mezza notizia, e forse vale la pena ancora indagare. Ma almeno mezza il Corriere l’ha portata a casa. Rossi di rabbia (e un po’ di vergogna) i concorrenti diretti ieri hanno provato a sfoderare la loro pistolina fumante: un video di una festa a villa Certosa dell’11 agosto 2008. Tutti a tavola, una vecchia gloria del pop che suona (Simon Le Bon), qualche ragazza che si fa trascinare dalla musica e balla. C’è anche Berlusconi che saluta gli ospiti. Tutto qui? Tutto qui, roba che l’11 agosto trovi anche dal vicino di casa ad Ostia. Commento del corsivista dell’Espresso: in quelle ore “il mondo vive ore di angoscia per la crisi Russia-Georgia”. E il premier che fa? Balla. Ma andassero a fare un altro mestiere! Franco Bechis

Franceschini si è venduto tutti i Bot per fare flop alle europee

Per pagare la campagna elettorale delle ultime europee e il lancio di alcuni volti nuovi della politica come David Sassoli, il Partito democratico di Dario Franceschini ha messo all’asta all’inizio della primavera ben 19 milioni di euro di Bot e Cct. Titoli di Stato in cui erano stati investiti l’anno precedente da Walter Veltroni i primi rimborsi elettorali arrivati nelle casse del neo-partito, assai superiori alle spese per le elezioni politiche 2008. Lo rivela il tesoriere del Partito democratico, il senatore Mauro Agostini, nella nota integrativa al primo bilancio della storia Pd, pubblicato ieri sui due quotidiani che ancora fanno riferimento al partito, L’Unità ed Europa... Il disinvestimento dal tesoretto accumulato in titoli di Stato è annunciato dal tesoriere fra i fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio e si spiega che è stato necessario “al fine di fare fronte agli impegni della campagna elettorale relativa al Parlamento europeo e delle altre elezioni amministrative. Quei 19 milioni fanno capire quanto Franceschini abbia davvero puntato su Sassoli e questa tornata elettorale di provinciali e comunali. Perché secondo lo stesso bilancio Pd il partito l’anno precedente aveva speso per le politiche e le contemporanee amministrative 18 milioni di euro nei quali però erano compresi ben 9 milioni spesi dalle strutture regionali e provinciali del partito. Quindi Franceschini questa volta ha raddoppiato l’investimento, rendendo ancora più doloroso il tonfo elettorale. Una ferita politica e non finanziaria, perché grazie al generoso sistema dei rimborsi elettorali nel 2008 il Pd pur dichiarando spese per 18 milioni si è visto concedere dallo stato una cambiale da 182 milioni di euro. Grazie a questo maxi-rimborso (che in realtà verrà rateizzato fino al 2012) il primo bilancio del Pd segna un utile che nella storia della sinistra non si è mai visto: 146,5 milioni di euro. Un po’ virtuali, perché il bilancio è stato costruito di competenza e non di cassa (come per altro da anni usa fare Forza Italia), ma con gli altrettanto generosi rimborsi delle europee anche il 2009 sarà da record. Assoluta novità del nuovo partito anche l’assenza totale di indebitamento con il sistema bancario. Finanziariamente Franceschini ha tagliato tutte le radici con la storia passata ( i debiti ci sono, ma restano in carico a Ds e Margherita) e per la prima volta simbolicamente la sinistra italiana non ha più in bilancio quel rosso che l’aveva sempre contraddistinta... Franco Bechis

Berlusconi-Sircana, le morali capovolte (ma il premier ritiri il ddl anti-prostituzione)

C’è un disegno di legge approvato dal consiglio dei ministri guidato da Silvio Berlusconi nel settembre 2008 e trasmesso in Senato dal primo firmatario, il ministro delle Pari Opportunità, Mara Carfagna, che rischia di dovere essere cestinato. Porta il numero 1079 e il titolo «Misure contro la prostituzione». E’ molto duro e punisce anche i clienti delle belle di notte. Spiegando «Se la prostituzione come tale deve considerarsi fenomeno di allarme sociale, non può ammettersi un distinto trattamento fra chi la eserciti e chi se ne avvalga (il cliente)». Per entrambi quindi, in casi dettagliati dalla norma, si rischia l’arresto da 5 a 15 giorni. Norme ancora più dure per chi «compie atti sessuali con minori»... Secondo le norme in vigore salvo rari casi specificati un minore sopra i 16 anni (e con una casistica più ristretta sopra i 14 anni) può decidere liberamente di avere una relazione sessuale con un adulto maggiorenne, indipendentemente dalla sua età. Secondo il ddl Berlusconi-Carfagna invece «Chi compie atti sessuali con minori in cambio di denaro o qualunque tipo di utilità (anche non economica), anche solo promessi, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da 1.500 a 6 mila euro». Norme assai dure proposte dal legislatore, allo scopo di punire severamente la tratta delle ragazzine- quasi sempre straniere- costrette spesso con la violenza a prostituirsi in Italia. E’ proprio per questo disegno di legge e per i suoi contenuti particolarmente cogenti e limitanti la libertà dei cittadini che nessun membro del governo in carica ha diritto ad invocare la privacy sulle proprie abitudini sessuali. Chi avendo nelle mani il potere legislativo restringe anche in questo campo limitandola (anche per ottime ragioni) la libertà di tutti, è tenuto poi a rendere conto anche dei suoi comportamenti privati nello stesso campo. Questa- che nessuno invoca- è la vera questione politica che emerge dalla inchiesta di Bari nata sugli appalti nella Sanità pugliese e poi deviata sulle feste, le cene e i ricevimenti del premier Silvio Berlusconi nelle sue residenza private. L’unico tema politico in un paese liberale è che chi ha il potere legislativo non vieti ad altri quello che invece concede a se stesso. Per questo oggi quel disegno di legge, che il governo per altro ha abbastanza abbandonato nel suo iter legislativo, stride con quanto sembrerebbe emergere dalle deposizioni di alcune ragazze davanti alla procura di Bari. Lo dico perché non è uno scandalo, anzi, è legittimo che la vicenda Bari si trasformi in polemica politica. E non è invocabile la privacy sullo stesso tema su cui il premier legifera oltretutto in modo assai restrittivo della libertà altrui. Detto questo appare evidente come la vicenda barese sia stata utilizzata dagli avversari politici esclusivamente come clava da bandire in campagna elettorale, e non per sventolare un vessillo liberale. E’ una vicenda da prendere assai con le molle, frutto di dichiarazioni di una ragazza che si reca dal presidente del Consiglio italiano allo scopo confessato di vendicarsi di un presunto torto subito e poi provare a ricattarlo. Vicenda cui una fuga di notizie che non si sa se provenga dalla magistratura inquirente o dalla forze di polizia giudiziaria offre il detonatore, e alcuni quotidiani e uomini politici la cassa di risonanza buona per consentirle di fare il giro del mondo. Curioso tanto scandalo in un paese che ha concesso la massima onorificenza pubblica, il seggio da senatore a vita a Emilio Colombo, e lo ha fatto per il suo ruolo politico, mettendo giustamente in secondo piano ogni aspetto della sua vita privata o sanitaria. Il paese che oggi dedica tanta attenzione alle foto-ricordo di due ragazze in un bagno di palazzo Grazioli è lo stesso che due anni fa linciò in ogni modo Maurizio Belpietro, reo di avere pubblicato una foto che era stata sequestrata: quella di Silvio Sircana, portavoce del premier Romano Prodi, in auto fermo a parlare con un travestito. Molti di quelli che oggi si scandalizzano per la vita privata di Berlusconi, allora si indignarono per il “fango” gettato su Sircana e sull’utilizzo di alcuni media per fare solo “gossip senza rilevanza penale”. Walter Veltroni chiese di “rispettare le persone ed evitare che finiscano nel frullatore. Non si può rovinare la vita delle persone per vendere mille copie in più». Berlusconi prese le parti di Sircana e perfino delle veline intercettate da un pm di Potenza. Fu coerente e liberale, anche se oggi non ha par condicio. Ma è proprio per quella coerenza che dovrebbe riporre nel cassetto quel ddl sulla prostituzione. O rivederne alcune norme, che rischiano di essere assai illiberali... Franco Bechis