I guai tanto per cambiare vengono dagli Usa. La novità è la Merkel grande dittatrice d'Europa



La crisi che sta terremotando i mercati di tutto il mondo in queste ore è al fondo una crisi di liquidità dei grandi fondi americani. Non hanno risorse per pagare le pensioni, e stanno vendendo tutto ciò che hanno in portafoglio. I titoli sono in vendita, e non c'è nessuno che li compra. Se i mercati finanziari scendono, il motivo di fondo è questo. L'ondata di vendite americane ha messo in moto il panico sui mercati. E in una situazione simile la speculazione ha buon gioco. Osserva dove c'è un punto debole del sistema, e lo attacca, perchè quello altre difese non ha che alzare i rendimenti. E' quel che sta accadendo nell'area dell'euro. I titoli di Stato sono le prede più facili da cacciare, perchè sono il punto debole dei vari paesi coinvolti. Messi sotto pressione quelli di Grecia, Spagna e Portogallo nei mesi e nelle settimane scorse, l'attacco ha messo nel mirino quelli italiani (non è un mistero che il debito pubblico sia il tallone di Achille di Roma), ma fra ieri e l'altro ieri anche quelli francesi. Fa un po' sorridere immaginare come molta della stampa italiana ieri sembrava fare, che questa tempesta potesse essere calmata, arginata o rinfocolata da attese o delusioni venute dal discorso di Silvio Berlusconi davanti alle Camere. L'origine di quel che accade non è nelle singole politiche economiche e tanto meno nell'assetto politico-istituzionale di questo o quel paese. Anche se l'Italia domattina raddoppiasse le tasse a tutti i suoi cittadini, inserisse una patrimoniale, aumentasse l'età pensionabile per uomini e donne subito, non fermerebbe i mercati. Berlusconi ha fatto bene ad incontrare le parti sociali e ad immaginare con loro un piano di riforma. Si possono sentire anche le piccole e grandi richieste delle varie Emma Marcegaglia, Susanna Camusso come di Raffaele Bonanni, Luigi Angeletti, coop, artigiani, commercianti e così via. Perchè il governo di un paese procede anche in condizioni difficili come queste e in fondo ne deve prescindere, altrimenti il governo non esisterebbe più. Si possono condividere o respingere le proposte delle parti sociali, ma bisogna avere una certezza: rispetto alla navigazione del Paese e di fronte alla tempesta sui mercati, quelle non sono e non possono essere la risposta. Banalmente sono inutili, come lo sarebbe gettare quale mollica di pane per calmare la fame dei pescecani.
La strada battuta in queste ore da Berlusconi e dal suo ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, era l'unica percorribile. Il premier ha cercato insieme ai suoi colleghi europei alleati per dare una risposta alla crisi di liquidità: con i fondi americani che vendono a piene mani, bisogna trovare qualcuno che compri a questi prezzi. Ci si è rivolti alla Cina, che ha la potenza di fuoco necessaria, e Berlusconi ha lanciato l'sos al suo amico Vladimir Putin, perchè anche la Russia è fra i pochi paesi del mondo che può lanciare quel salvagente. Qualcosa del genere è accaduto nei mercati finanziari internazionali nelle ultime ore, ma c'è stata una amara sorpresa non prevista: è scesa in campo anche la Germania di Angela Merkel. Non per dare una mano ai generosi difensori, ma sul fronte opposto: all'attacco. I tedeschi si sono messi a vendere vanificando gran parte della manovra difensiva in corso. Qualcosa si era intuito già giovedì, quando all'interno della Bce il rappresentante tedesco è stato l'unico a votare contro la decisione di immettere liquidità nel sistema sostenendo i titoli di Stato dei paesi europei più deboli: al momento Irlanda e Spagna. Ma si pensava che questa ritrosia fosse nel solco della tradizionale prudenza della Germania, stufa di cavare le castagne dal fuoco del sistema come è accaduto in tutti questi anni. E invece sembra che la Merkel stia facendo di tutto per piegare l'area dell'euro, forse allo scopo di farla saltare, forse per soggiogarla definitivamente. Questo è il tema su cui è al lavoro Tremonti: cercare di ricostituire un'alleanza europea, trascinando o meno la Germania nella trincea in cui bisognerà resistere nei prossimi giorni. E' evidente a tutti che l'Unione monetaria europea non esiste: fosse reale, sarebbe impossibile a chiunque attaccare i singoli paesi dell'area, come è accaduto con Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo e ora con l'Italia lambendo perfino la Francia. Fosse un' Unione avrebbe unito oltre le monete anche i pil e i debiti pubblici (in quella precentuale del 60% del Pil stabilita dal trattato di Maastricht) che oggi sarebbero garantiti da assai meno fragili titoli di Stato europei, quegli Eurobond che sono l'unica soluzione possibile.
Non ci sono molte ore per cercare di mettere una pezza a quel castello europeo che si sta sgretolando nelle fondamenta. I governi- anche quello italiano- sono allertati, perchè è attesa una massiccia ondata di vendite sui mercati e con essa un attacco micidiale della speculazione fra l'11 e il 12 agosto prossimi. Bisogna tirare su le difese, mettere argini nei punti più deboli del sistema, se è il caso isolare la Germania e metterla di fronte alle scelte di campo subito.
I conti pubblici italiani in questo campo di battaglia sono solo un piccolo argine da alzare alla bisogna. Se l'attacco dovesse concentrarsi più massiccio in quel punto, si potranno alzare. Come? O anticipando l'obiettivo del pareggio di bilancio e con esso parte della manovra già conosciuta, o utilizzando una leva dolorosa, ma efficacissima sui mercati finanziari internazionali (perchè comprensibile a tutti): quella della riduzione della spesa previdenziale bloccando le uscite pensionistiche ed elevando in modo più rapido e deciso l'età pensionabile. Per le donne, ma anche per gli uomini. Ieri è morta a Verona la nonna d'Italia. Si chiamava Venere Pizzinato, e aveva 114 anni: era la donna più anziana di Europa. Nata il 23 novembre 1896, passando attraverso mille guai, era diventata prima cassiera e poi amministratrice di un bar a Milano, in Galleria. Nel 1947 è andata in pensione, all'età di 50 anni. Ha ricevuto la pensione fino a questo mese di agosto: per 64 anni. La sua è una storia limite, certo. Ma dimostra che le attese di vita si sono innalzate, e di molto. E che l'età pensionabile delle donne può essere innalzata in un battibaleno, senza fare alcuna ingiustizia sociale.

Lette e rilette le pagine di Woodcock, mi sono convinto: faccio parte della P4

 
Lette e rilette tutte le centinaia di pagine di Henry John Woodcock sulla nuova inchiesta che fa tremare il mondo, ho una certezza: faccio parte della P4 e forse ne ero pure ignaro. Non c’è un nome di quelli citati, compulsati, interrogati, indagati e perfino arrestati in questi mesi che io non conosca. Di più: sono stato al telefono con molti di loro, con qualcuno a pranzo, con altri a cena. Ho avuto colloqui clandestini davanti alla Libreria Feltrinelli in Galleria Alberto Sordi, anche perche per anni ho lavorato in giornali che avevano la sede lì. Conosco il capo della P4, Luigi Bisignani almeno dalla fine degli anni Ottanta. Gli ho parlato decine di volte. Ho preso aperitivi, caffè e fatto chiacchiere, tante chiacchiere con lui. E’ molto simpatico. Ho conosciuto Alfonso Papa invitato a pranzo dalla compianta donna Maria Angiolillo nel giardino dell’hotel Hassler. Con noi di volta in volta c’erano altri, magistrati, politici, imprenditori e giornalisti. Qualcuno in primo piano fra le carte della P4. A qualcun altro i magistrati non sono ancora arrivati, e quindi taccio perché è giusto che Woodcock e compagnia si sudino il loro bel lavoro. Conosco Gianni Letta, l’ho incontrato ben più di una volta fuori e dentro il palazzo. Con ingenuità ho perfino pensato di potere avere da lui qualche primizia. Ma è come spremere un sasso: impossibile. Conosco seconde e terzae fila di quella P4. Tutti. E quindi per forza ci sono dentro fino al collo. Mi consola un solo fatto: nella mia situazione ce ne sono almeno qualche altro centinaio che i pm segugi non hanno ancora pizzicato. Bisognerà fare una retata. Portare a Napoli per la gioia di Umberto Bossi mezzo palazzo e tutti i suoi dintorni, altro che ministeri via da Roma.
Sono nato a Torino, ma quando nel 1990 il lavoro mi ha portato a Roma ho capito che fare il giornalista qui è cosa del tutto diversa. Nella capitale anche i muri hanno relazioni, parlano, e sanno tutto di tutti. Le notizie circolano come il vento. Ad ogni angolo trovi uno che la sa lunga, che dopo due minuti ti dice “amico mio”, lascia cadere con sicurezza segreti inconfessabili, gossip comprovati. Il vero problema è che siccome tutti sono così, è difficile distinguere. Non si sa mai se una notizia sia vera o solo una leggenda metropolitana che gira di bocca in bocca nel palazzo. Basta che uno sussurri “vogliono arrestare tizio”, “c’è una inchiesta su Caio” che il vento si gonfia e diviene tempesta. Passa di bocca in bocca, si arricchisce di certezze e particolari. Magari non è vero nulla di nulla. Magari solo il dieci per cento. Così è difficilissimo fare il mestiere di giornalista. Si può inciampare in castronerie assolute. Ma avere la notizia, l’indiscrezione anche fasulla, fa gonfiare il petto a tanti e li fa sentire importanti. Ho conosciuto – e stanno in questa P4- personaggi che erano ritenuti misteriosi custodi di grandissimi segreti. E invece si inventavano quasi tutto, come ogni verifica seria dimostrava. Ma vallo a spiegare agli altri.
A Roma parlano tutti, fra amici. Anche i più alti magistrati. Quasi due decenni fa- era il 1993. una sera di fine agosto andai a cena a casa di una delle persone citate nell’inchiesta (non è Bisignani), di cui ero amico. C’erano altri invitati, e fra loro importanti magistrati della procura di Roma. Chi mi invitò non li avvisò che ero un giornalista. E io tacqui per ascoltarli. Raccontarono cose incredibili, che facevano parte della loro inchiesta. Avevano sequestrato delle cassette di sicurezza, trovato i fondi neri del Sisde, la lista dei ministri dell’Interno (tutti meno uno- Amintore Fanfani) che li avevano presi. Uno di loro- Oscar Luigi Scalfaro- in quel momento era al Quirinale. A me non sfuggì. Le fonti erano autorevoli, il giorno dopo scrissi tutto quel che avevo sentito. Titolammo “scoppia il caso dei fondi neri Sisde”. Nessun giornale riprese la notizia. Ma il Quirinale- che capì, smentì il giornale da poco nato per cui scrivevo. E lo fece dopo sei ore di riunione anche la procura di Roma. Era vero tutto, e il caso sarebbe scoppiato 25 giorni dopo quando fu interrogato un agente del Sisde deviato. Così sarebbe accaduto decine di altre volte in quella casa o in altre, davanti a un aperitivo al bar o in un tavolo di ristorante. Perché a Roma le notizie circolano così. Bisognerà arrestarci tutti
ps. la foto sopra dimostra tutto: un po' sfocata, ma è il Bisignani  di oggi (non di 20 anni fa come vedete su tutti i giornali) insieme a chi scrive. Poco più di un mese fa...