Lette e rilette le pagine di Woodcock, mi sono convinto: faccio parte della P4

 
Lette e rilette tutte le centinaia di pagine di Henry John Woodcock sulla nuova inchiesta che fa tremare il mondo, ho una certezza: faccio parte della P4 e forse ne ero pure ignaro. Non c’è un nome di quelli citati, compulsati, interrogati, indagati e perfino arrestati in questi mesi che io non conosca. Di più: sono stato al telefono con molti di loro, con qualcuno a pranzo, con altri a cena. Ho avuto colloqui clandestini davanti alla Libreria Feltrinelli in Galleria Alberto Sordi, anche perche per anni ho lavorato in giornali che avevano la sede lì. Conosco il capo della P4, Luigi Bisignani almeno dalla fine degli anni Ottanta. Gli ho parlato decine di volte. Ho preso aperitivi, caffè e fatto chiacchiere, tante chiacchiere con lui. E’ molto simpatico. Ho conosciuto Alfonso Papa invitato a pranzo dalla compianta donna Maria Angiolillo nel giardino dell’hotel Hassler. Con noi di volta in volta c’erano altri, magistrati, politici, imprenditori e giornalisti. Qualcuno in primo piano fra le carte della P4. A qualcun altro i magistrati non sono ancora arrivati, e quindi taccio perché è giusto che Woodcock e compagnia si sudino il loro bel lavoro. Conosco Gianni Letta, l’ho incontrato ben più di una volta fuori e dentro il palazzo. Con ingenuità ho perfino pensato di potere avere da lui qualche primizia. Ma è come spremere un sasso: impossibile. Conosco seconde e terzae fila di quella P4. Tutti. E quindi per forza ci sono dentro fino al collo. Mi consola un solo fatto: nella mia situazione ce ne sono almeno qualche altro centinaio che i pm segugi non hanno ancora pizzicato. Bisognerà fare una retata. Portare a Napoli per la gioia di Umberto Bossi mezzo palazzo e tutti i suoi dintorni, altro che ministeri via da Roma.
Sono nato a Torino, ma quando nel 1990 il lavoro mi ha portato a Roma ho capito che fare il giornalista qui è cosa del tutto diversa. Nella capitale anche i muri hanno relazioni, parlano, e sanno tutto di tutti. Le notizie circolano come il vento. Ad ogni angolo trovi uno che la sa lunga, che dopo due minuti ti dice “amico mio”, lascia cadere con sicurezza segreti inconfessabili, gossip comprovati. Il vero problema è che siccome tutti sono così, è difficile distinguere. Non si sa mai se una notizia sia vera o solo una leggenda metropolitana che gira di bocca in bocca nel palazzo. Basta che uno sussurri “vogliono arrestare tizio”, “c’è una inchiesta su Caio” che il vento si gonfia e diviene tempesta. Passa di bocca in bocca, si arricchisce di certezze e particolari. Magari non è vero nulla di nulla. Magari solo il dieci per cento. Così è difficilissimo fare il mestiere di giornalista. Si può inciampare in castronerie assolute. Ma avere la notizia, l’indiscrezione anche fasulla, fa gonfiare il petto a tanti e li fa sentire importanti. Ho conosciuto – e stanno in questa P4- personaggi che erano ritenuti misteriosi custodi di grandissimi segreti. E invece si inventavano quasi tutto, come ogni verifica seria dimostrava. Ma vallo a spiegare agli altri.
A Roma parlano tutti, fra amici. Anche i più alti magistrati. Quasi due decenni fa- era il 1993. una sera di fine agosto andai a cena a casa di una delle persone citate nell’inchiesta (non è Bisignani), di cui ero amico. C’erano altri invitati, e fra loro importanti magistrati della procura di Roma. Chi mi invitò non li avvisò che ero un giornalista. E io tacqui per ascoltarli. Raccontarono cose incredibili, che facevano parte della loro inchiesta. Avevano sequestrato delle cassette di sicurezza, trovato i fondi neri del Sisde, la lista dei ministri dell’Interno (tutti meno uno- Amintore Fanfani) che li avevano presi. Uno di loro- Oscar Luigi Scalfaro- in quel momento era al Quirinale. A me non sfuggì. Le fonti erano autorevoli, il giorno dopo scrissi tutto quel che avevo sentito. Titolammo “scoppia il caso dei fondi neri Sisde”. Nessun giornale riprese la notizia. Ma il Quirinale- che capì, smentì il giornale da poco nato per cui scrivevo. E lo fece dopo sei ore di riunione anche la procura di Roma. Era vero tutto, e il caso sarebbe scoppiato 25 giorni dopo quando fu interrogato un agente del Sisde deviato. Così sarebbe accaduto decine di altre volte in quella casa o in altre, davanti a un aperitivo al bar o in un tavolo di ristorante. Perché a Roma le notizie circolano così. Bisognerà arrestarci tutti
ps. la foto sopra dimostra tutto: un po' sfocata, ma è il Bisignani  di oggi (non di 20 anni fa come vedete su tutti i giornali) insieme a chi scrive. Poco più di un mese fa...

2 commenti:

Michele ha detto...

Franco Bechis...
Domanda off topic, ma è da troppo tempo che voglio farla: è lo stesso Franco Bechis che un tempo (quando avevo lo stomaco per ascoltarne 10 minuti al massimo) era ospite fisso di Aldo Forbice? Perchè, mi dicevo, c'è sempre 'sto Bechis? Poi, quando è andato a Libero, ho capito. Grazie per la risposta.
Domanda off topic 2: ma è vera la storia del motorino? Cioè che la faccenda "casa Fini a Montecarlo" poteva essere svelata quasi un anno prima ma Bechis è caduto in motorino e quindi si è dimenticato di quello scoop? Dice che si è rotto un ginocchio ma forse ha battuto in testa e quindi ha avuto un'amnesia temporanea.
Grazie.
Michele

raskolnikov ha detto...

il crimine più nefando di bisi è senz'altro la montatura degli occhiali.
cazzodilegno nelle prossime ore manderà una mail "querela" anche allo sciagurato ottico?