Eccola lì, la foto che
stava in un angolo della scrivania di Giorgio Moschetti nell’ufficio dove
Gianfranco Fini andava a trovarlo nel lontano 1993 cercando dal segretario
amministrativo dell’ex dc romana prima una spinta e poi un aiuto per la corsa
alle elezioni di sindaco di Roma contro Francesco Rutelli. Chissà se scappò a
Fini l’occhio su quella foto che ritraeva l’ultimo sindaco di Roma della dc
andreottiana, Pietro Giubilo, con il suo addetto stampa dell’epoca e un ragazzo
di una tv romana che sbucava alle spalle. Era Andrea Ronchi, futuro portavoce di
An, futuro ministro, protagonista ancora in erba di quella che sarebbe diventata
la scissione di Futuro e Libertà nella destra italiana. Fini vide la foto
sicuramente il 18 ottobre 1993, quando tornò da Moschetti dopo essere già sceso
in campo a lamentarsi di non essere preso sul serio dall’establishment
dell’epoca. L’allora numero uno del Movimento sociale era deluso perché a una
puntata su Canale 5 del Maurizio Costanzo show erano stati invitati tutti gli
aspiranti sindaci della capitale, meno Fini. C’era bisogno di qualche appoggio
in più, altrimenti la candidatura rischiava di essere un buco nell’acqua. Sarà
stato per la foto trovata sulla scrivania, ma fra tante cose quel giorno i due
parlarono anche di Ronchi. Moschetti lo conosceva da tempo, sia come giornalista
sia perché aveva una società di pubbliche relazioni insieme alla moglie
Simonetta con cui ogni tanto cercava di prendere qualche lavoro nella Roma
andreottiana, in Comune o nelle società municipalizzate. Fini non poteva sapere
che tutti quegli incontri con Moschetti venivano registrati da una microspia
piazzata nell’ufficio da un organo di polizia giudiziaria. Non lo sapeva nessuno
dei protagonisti, naturalmente, finchè un collaboratore di Moschetti (che
all’epoca era senatore) non la individuò e con una certa ingenuità il segretario
amministrativo dell’ex dc la portò al primo commissariato di Roma centro
sporgendo regolare denuncia. Molti, molti anni dopo- chissà come- quelle
registrazioni che non poterono essere utilizzate nei procedimenti tornarono
miracolosamente in mano al registrato che certo le ha ascoltate con amara
curiosità e chissà se dopo se ne sarà disfatto. Una cosa era sicura: in quei
frammenti audio c’era materiale per riscrivere la storia in modo assai diverso
di quanto non abbiano consegnato le cronache. Ci sono anche tutti i particolari
di quel finanziamento di 1,3 miliardi di lire dell’epoca (ad essere precisi un
miliardo e 350 milioni di lire) pensato per la campagna elettorale del prefetto
scelto dalla ex dc, che con Mino Martinazzoli si era trasformata in partito
popolare, e che invece prese la direzione del movimento sociale, ad aiutare la
scalata di Fini ai vertici della politica nazionale. C’è anche il colloquio di
Moschetti con due imprenditori romani, vecchie conoscenze del senatore dc, che
erano pronti a puntare le loro risorse economiche sulla campagna elettorale
popolare. Trovarono dall’interlocutore una risposta che li sorprese, e fece
capire loro che il mondo stava proprio cambiando: “Sul Ppi? Buttate via i vostri
soldi. E’ Fini quello su cui puntare”.
Favore non da poco ricevuto
dagli eredi di Andreotti giunti al loro capolinea politico. E un po’ di
riconoscenza Fini ebbe. Ascoltando le raccomandazioni su quel
giornalista-pubblicitario, Ronchi, che presto gli sarebbe stato assai utile. Fu
Moschetti a parlargliene assai prima di Gaetano Rebecchini. E fu una fortuna
perché negli anni Ronchi si sarebbe rivelato per Fini una risorsa fondamentale.
Messo un po’ da parte fra il 1994 e il 1996, fu Fini a parlare a Moschetti di
Ronchi poco prima delle elezioni di quell’anno. Quando stava per lasciare il
governo di Lamberto Dini fu fatto un tentativo in extremis di esecutivo ad ampio
spettro costituzionale, affidato alla regia di Antonio Maccanico. Il governo era
quasi fatto. Ma all’ultimo lo fece saltare Fini. Così lo raccontò Maccanico agli
amici: “ Sono tornato a casa in via della Scrofa e ho incontrato Fini sulle
scale, che mi ha detto di averci ripensato. Non si fa”. Quel giorno in via della
Scrofa arrivò il vecchio amico e confidente Moschetti. Chiese a Fini il perché
di quel no. Lui gli rispose: “Vogliono
fare un governo solo di massoni”. Moschetti scherzando disse: “ma se ci sono
anche esponenti vicini all’Opus Dei!”. Fini rispose: “Perché, l’Opus Dei non è
massoneria?”. Fu quel giorno che l’ormai presidente di Alleanza nazionale
confessò all’amico ex senatore dc di avere dei problemi da sistemare su una
partita di immobili, senza specificare se si trattava di mattoni del partito o
di famiglia. Ma disse che stava dandogli una mano proprio Ronchi, attraverso
alcune società estere da lui conosciute per la sua attività professionale. C’era
sempre bisogno di una mano, dalle parti di via della Scrofa. Moschetti aveva
ancora tante relazioni utili dopo avere militato ai massimi livelli nella dc
capitolina per tanti lustri, fino a diventarne il quasi leader- sia pure senza
fare ombra a Vittorio Sbardella. Di una mano aveva bisogno Fini sugli immobili,
di una mano aveva bisogno Ronchi per le attività professionali che erano ormai a
largo raggio. Si occupava di pubbliche relazioni e di campagne pubblicitarie
attraverso la Apr
pubblicità e marketing, che negli anni avrebbe conquistato cuore e portafoglio
delle società pubbliche: Poste, Eni, Enel e così via. Ronchi insieme alla moglie
Simonetta Sechi ed altri soci possedeva anche altre società meno note, ma assai
attive a Roma, come la
Baam srl e la
Olifer srl (gestì per un certo periodo il Jazz caffè, poi gli
affari andarono peggio e fallì quando Ronchi se ne era già disfatto). Con il
giovane rampante politico di An destinato a scalare tutti i gradini del successo
politico si imbarcò all’epoca un altro personaggio cresciuto all’ombra di Fini
negli anni. Si chiama Ferruccio Ferranti, oggi è amministratore delegato del
Poligrafico dello Stato. E’ stato anche amministratore di Sviluppo Italia e
prima ancora amministratore della Consip, la società che centralizza gli
acquisti per conto dello Stato. Una carriera rapidissima sotto l’ombra di Fini.
E non è un caso se Ferranti nel tempo libero oggi riesce a sedere anche nel
consiglio della Fondazione Fare Futuro, il pensatoio da cui è partita la prima
secessione finiana. Ma all’epoca dei secondi anni Novanta, quando Fini chiedeva
di tanto in tanto “una mano” a Moschetti, la folgorante carriera di Ferranti era
ai nastri di partenza. Era più noto per essere il marito di Piera Salabè, figlia
di Adolfo, l’architetto del Sisde e dei misteri di Oscar Luigi Scalfaro alla
fine della Prima Repubblica, e il socio di Ronchi nelle agenzie di pr e
pubblicità a caccia di commesse pubbliche. Sarà stato Moschetti, sarà stato il
potere di Fini e del suo partito, ma arrivarono uno dopo l’altro gli agognati
contratti prima dalle imprese pubbliche capitoline e poi dai grandi gruppi
pubblici nazionali. I fatturati aumentarono anno dopo anno. E quel ragazzino che
il numero due della dc romana fece vedere in foto a Fini in quel lontano 1993
sarebbe diventato l’ombra del leader. Pronto a concentrare nelle sue mani nel
2005 tutto il potere dei colonnelli e ora a diventare il gran ciambellano della
secessione di Futuro e Libertà. Una scalata lunga anni. In cui mai Fini e Moschetti si sono
persi di vista. Dai lunghi colloqui del 2004, alla vigilia della decapitazione
di Giulio Tremonti per un incidente su Sviluppo Italia. A quelli di qualche anno
più tardi, quando la strada di Moschetti ha incrociato quella della nuova
famiglia di Fini. Trovando sulla sua strada Sergio Tulliani e uno strano
progetto industriale che aveva immaginato per
l’Acea…
3-
continua
1 commento:
E se fossero i Tulliani strumento nelle mani di Fini, come per Gaucci?
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