Ravasi- Scola, i ballottaggi a Milano non finiscono qui


Questo ballottaggio avverrà di giovedì. Forse il prossimo, 2 giugno, nel silenzio di una giornata di festa. Forse quello dopo, il 9 giugno. Sarà allora che la Congregazione dei vescovi in seduta plenaria sceglierà l’uomo che dovrà guidare Milano. Una poltrona più importante di quella per cui si stanno battendo all’ultimo colpo Giuliano Pisapia e Letizia Moratti. Perché chi succederà al cardinale Dionigi Tettamanzi andrà a guidare la diocesi più grande del mondo e lascerà il segno sull’intera Chiesa italiana. I candidati non sono pochi, ma nella previsione dei più anche questo sarà un ballottaggio. Perché sono due i candidati che hanno più chance degli altri: il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la cultura, e il cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia. Anche se le logiche della Chiesa sono assai diverse da quelle della politica, per mille e una ragione questo ballottaggio sembra davvero parallelo a quello per la poltrona di primo cittadino di Milano. In qualche modo ne è strettamente intrecciato. Ci sono fra i cattolici e perfino fra le gerarchie schiere di tifoserie dell’uno e dell’altro. Forse i due non così distanti né avversi, ma i loro sostenitori sì.
Per capire bisognava essere sabato o domenica scorsa davanti a una delle tante parrocchie di Milano all’uscita della Santa Messa. Molti avrebbero trovato gruppetti di universitari o liceali di Comunione e liberazione che distribuivano un volantino sulle elezioni politiche. Non materiale classico di propaganda elettorale: un lungo testo sul “bene comune” e la possibilità di “costruire luoghi di vita” citando le opere di carità e non solo del movimento ecclesiale rese possibili in questi anni a Milano. Durante il week end sono stati distribuite 200 mila copie di quel volantino, che solo indirettamente rappresentava un endorsement a Letizia Moratti. Non sono stati pochi i fedeli che all’uscita delle parrocchie hanno reagito con violenza verbale e talvolta fisica a quel volantino. Per chi ha vissuto quell’esperienza, la memoria è andata al clima che c’era in università e in città nel pieno degli anni Settanta. E attenzione: in questo caso non si trattava di gruppi politici militanti, ma di fedeli. Uno spaccato di cosa è oggi la Chiesa milanese che ben è emerso dopo quella domenica da una lettera aperta scritta su Il Fatto quotidiano dalla professoressa cattolica (assai coccolata in Curia a Milano) Roberta De Monticelli a una ragazzina di Cl sorpresa all’uscita da messa con quel volantino. Parole di commiserazione, più che indignate, sprezzanti, come ci si rivolgesse a un essere inferiore culturalmente e mentalmente. Lo specchio di quale sia il vero atteggiamento verso la diversità degli altri da parte di chi un giorno sì e un altro pure predica l’accoglienza verso mussulmani, rom, lesbiche, gay e tutte le minoranze possibili. Tutte meno i cattolici che non si adeguano alla loro cultura. Questo spaccato è la fotografia più chiara della chiesa ambrosiana. Ed è su queste sponde che si svolgerà quel ballottaggio fra i cardinali Ravasi e Scola, certamente al di là delle intenzioni dei diretti interessati e dei loro grandi elettori.
Non è un caso se fino a due settimane fa a Milano si dava per scontata l’imminente nomina del patriarca di Venezia. Certo, Scola aveva il peccato originale di essere cresciuto a fianco di don Luigi Giussani, nel movimento di Comunione e Liberazione. Ma da cardinale e da pastore lui stesso si è definito ex ciellino, sottolineando come la missione avesse a cuore l’intera chiesa e non una sola parte. Da quando Pisapia è uscito trionfatore dal primo turno elettorale, molti maldipancia della chiesa milanese a stento trattenuti sono pubblicamente emersi. La cosa più carina che si sente dire dalle parti della curia ambrosiana è “adesso la nomina di Scola è improponibile”. Nello stesso istante sono cresciute vertiginosamente le chance di monsignor Ravasi, prelato assai gradito alla intellighenzia radical-chic meneghina per la sua capacità di coccolare artisti, letterati ed esponenti di culture varie. I vincitori del primo turno vedono in lui la possibilità di una chiesa a disposizione del nuovo potere che avanza. In Scola invece si immagina un possibile capo dell’opposizione a questo potere, da evitare come fosse il diavolo.
Se la Chiesa fosse una democrazia, quel ballottaggio sarebbe già segnato. Ma una democrazia nel senso classico non è. Perché più di ogni altra cosa conta la scelta del Papa. E non sono pochi a ritenere che Benedetto XVI propenda decisamente per Scola. Il Papa ha riempito Ravasi di elogi per il lavoro che sta facendo ora, e a molti questo fiorire di complimenti a Roma è sembrato un chiudere la porta alla strada che porta a Milano.
Proprio perché questo si sa, nelle segrete stanze vaticane da settimane arrivano dossier anonimi sul cardinale Scola, in particolare sulla gestione amministrativa legata ad incarichi coperti dal prelato ora e in passato. Insomma, è una campagna “elettorale” che si sta svolgendo attraverso colpi bassi simili a quelli della politica. Il Papa ha imposto una procedura insolita. Ha chiesto che sia la congregazione dei vescovi in seduta plenaria a discutere delle nomine. E alla vigilia della riunione ha firmato il decreto di nomina in congregazione di uno dei cardinali più vicini a papa Ratzinger: il fidato monsignor Mauro Piacenza. Con il suo arrivo gli italiani coinvolti nella decisione saranno una decina. La maggioranza però è composta da cardinali stranieri, assai fedeli alle indicazioni del Papa. Loro da un elenco di 15 nomi hanno già individuato una cinquina (oltre a Ravasi e Scola anche Aldo Giordano, Francesco Lambiasi e Pietro Parolin). Ma sanno che si andrà al ballottaggio fra due soli. E che l’ultima parola spetta al Papa.

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