Saletta Alitalia all’aeroporto di Fiumicino di Roma. Nell’ultima settimana è facile che gli incontri fra personalità si moltiplichino. Politici di tutti i fronti in attesa di un aereo che li porti a un comizio degli ultimi giorni di campagna elettorale. Staff, giornalisti al seguito, e da qualche giorno anche cardinali e vescovi che a Roma sono venuti per capire qualcosa di più delle dimissioni di Benedetto XVI, magari per un ultimo saluto, e perchè no? Anche per cogliere qualche indiscrezione sul conclave che sta per aprirsi. In effetti a Roma come nelle altre salette vip degli aeroporti di mezzo mondo, quello è il principale argomento di discussione. Sulla stampa nazionale e internazionale inizia a trasparire qualche nome, e alcuni di questi in effetti collimano passando i confini. Così capita che se ne discuta. Un leader del Pd che non si ricandida incontra ad esempio un vecchio amico come il ministro dei Beni culturali Lorenzo Ornaghi, che guidò l’Università cattolica. E gli chiede: «Vero che il candidato più forte per la successione è il cardinale franco-canadese Marc Ouellet che guida la congregazione dei vescovi?». Ornaghi scuote la testa: «Dicono di no, che è troppo emotivo. È portato alla commozione, piange spesso».
Che c’è di male nelle lacrime? Da quando Benedetto XVI si è dimesso il Vaticano si è trasformato in una sorta di Muro del Pianto. Il Papa non ha disdetto alcun appuntamento, e in qualche caso li ha perfino intensificati. Gruppi di fedeli, visite ad limina delle diocesi e delle conferenze episcopali regionali o internazionali. Il Papa sorride, legge i discorsi spesso da tempo preparati, ma ogni volta aggiunge qualcosa a braccio per fare capire che è proprio lui a parlare. Giovedì scorso ai sacerdoti di Roma è andato solo a braccio, con un discorso durissimo, senza una sbavatura. Ma per quanto il Papa mostrasse serenità e dispensasse sorrisi, gli occhi degli astanti e perfino di famosi e importanti presuli iniziavano a inumidirsi e poi si scioglievano in lacrime. Piangevano come vitelli pretini e fedeli di provincia. Ma ha dovuto asciugarsi gli occhi anche il cardinale vicario di Roma, Agostino Vallini. Si è commosso incrinando la voce durante il suo discorso anche il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, e subito dopo ha sottolineato alla radio Vaticana che «questa è una cosa bella, che esprime quanto il Papa sia entrato nel cuore di noi vescovi e in quello del popolo di Dio». Lacrime di commozione, di cui evidentemente alla vigilia del conclave bisogna scusarsi, o che comunque bisogna spiegare.
La macchina dell’incenso partita in Vaticano (la sorella della macchina del fango nella vita civile) è proprio su quelle lacrime che sta giocando la prima battaglia del conclave. Perchè l’identikit del prossimo Papa lo ha già disegnato proprio con la motivazione ufficiale delle sue dimissioni Benedetto XVI: ci vuole un successore fisicamente integro, più giovane, e soprattutto forte nel fisico e nell’animo per portare sulle sue spalle il peso della conduzione della Chiesa in un’epoca oscura e drammatica. Sulla carta di identità c’è poco da fare: nessuno può ormai sbianchettare i propri natali o togliersi qualche anno di troppo. Per questo è importante quella «forza» fisica e morale. E come capita ad ogni vigilia di conclave, una volta individuato il tema più rilevante per la corsa, iniziano a circolare vocine, e in qualche caso perfino testimonianze o documenti scritti per indebolire il «papabile» ritenuto troppo forte. Così i «dossier lacrime» iniziano a circolare ricchi di particolari. Veri o falsi che siano, raggiungono le persone che contano, magari vengono perfino pubblicati sulla stampa internazionale, colpiscono nel segno. Così tutti convinti che il cardinale Ouellet sia incline alle lacrime, e quindi un po’ debole di nervi. Analogo dossier «lacrime» sfiora il cardinale di Vienna, Christoph Schoenborn, e addirittura lo si inchioda a un pianto dirotto in cui si sarebbe sciolto dopo le critiche sulla organizzazione di un viaggio in Austria di papa Giovanni Paolo II. Se uno piange alla prima difficoltà, non è in grado di reggere le sorti della Chiesa, è il veleno che con il ricordo di questi fatti si somministra alla vigilia del conclave. E ce ne è per tutti i candidati in pole position. Anche per l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, il candidato che ai nastri di partenza sembra sulla carta il più forte di tutti. Nessuno l’ha mai visto piangere, e quindi il dossier lacrime in questo caso non è stato preparato. Ma la vocina maligna punta a fare ancora più male. Forte e sicuro lui? Tutta apparenza, dicono i detrattori. Ma nella cartellina a lui riservata hanno inserito il nome di una amica psicologa che lo seguirebbe professionalmente da anni. Vero? Falso? Non importa: è la macchina dell’incenso che ormai si è messa in moto. E non è ancora a pieni giri...