DA ITALIA OGGI IN EDICOLA/ Il comandante Bassolino e il suo esercito di spazzini

Antonio Bassolino è uno dei pochi politici santo già in vita. È il santo protettore degli spazzini, perché nessuno al mondo vuole bene loro come il presidente della Regione Campania. Ogni anno paga infatti 176,5 milioni di euro in stipendi per lo smaltimento dei rifiuti. Nel 2001 in un colpo solo ne ha assunti 2.316, pagandoli ogni anno 55 milioni. Secondo le tabelle sui conti pubblici territoriali del ministero dello sviluppo economico, nessun'altra regione in Italia (e probabilmente anche all'estero) spende così tanto. Nella Lombardia di Roberto Formigoni la stessa spesa ammonta a 27,99 milioni di euro, circa un sesto della Campania. Solo la Toscana ha puntato sugli spazzini.Spendendo la metà...Il Piemonte spende 57 milioni l'anno in spazzini, il Veneto appena 18,5, l'Emilia Romagna una sessantina, la Sicilia ne spende 66, la Calabria 33 milioni. Non c'è nessun paragone con il cuore assai generoso di Bassolino. Il piccolo esercito cui è stato garantito uno stipendio sicuro a fine mese fa naturalmente quello che può, come si può vedere dalle immagini di queste settimane. Anche perché lo stipendio lo riceve, lavorare è un'altra cosa. Secondo la relazione di uno dei tanti commissari all'emergenza, Catenacci, solo nel 2005 per la prima volta 700 fra quei 2.316 spazzini assunti dal presidente della Regione Campania sono stati impiegati effettivamente. Molti altri prendevano lo stipendio, non si presentavano a un lavoro che non c'era e arrotondavano altrove. I mezzi loro affidati, pagati dallo Stato italiano con i trasferimenti alla gestione commissariale campana, o sono rimasti in deposito o sono usciti con le proprie gambe trafugati (una settantina) dai consorzi messi su alla bell'e buona dalla camorra per offrire (facendoseli pagare) il servizio ai comuni minori dell'area. Ovunque ci si addentri fra le migliaia di pagine delle varie relazioni dei commissari delegati o delle commissioni di inchiesta parlamentari sulla gestione dei rifiuti in Campania, saltano fuori perle di questo genere. Quelle pagine- che non sono scritte da un oppositore politico, ma da chi ha provato in qualche modo a tappare la falla- non sono un atto di accusa nei confronti di Bassolino: sono molto di più. Basti la storia della Pan, la società creata dal presidente della Regione Campania per assorbire altri 200 lavoratori socialmente utili e mettere in piedi un call center ambientale. Per quella gestione fallimentare la Corte dei Conti ha chiesto 3,2 milioni di danni direttamente a Bassolino, lo scorso 27 dicembre. Ma la Pan dal 2002 ad oggi ha bruciato per nulla più del doppio di quella somma. Allora oggi saranno politically correct tutte le rampogne sulla solidarietà nazionale, sul dovere di venire incontro a un'emergenza che danna la vita anche a migliaia di cittadini incolpevoli. Ma la domanda non è fuori luogo: comprereste un'auto usata da uno che ha gestito l'emergenza rifiuti come Bassolino? Se la risposta fosse no- come gli stessi cittadini napoletani pensano in queste ore- perché mai altri dovrebbero prima togliergli le castagne dal fuoco e poi magari drenare altre risorse per farle gestire proprio a chi le ha bruciate in questo modo? E' d'accordo- ad esempio- su nuovi finanziamenti alla Campania (magari per assumere qualche altro spazzino in vista di una tornata elettorale) un ministro rigorista sulla spesa come il titolare dell'Economia, Tommaso Padoa Schioppa? Considera possibile la continuazione di questi sprechi non solo di fronte al mondo, ma anche a chi giustamente bussa in queste settimane alla sua porta invocando misure per ridare potere di acquisto ai salari? Perché se soldi non ci saranno per quanto chiedono i sindacati nei tavoli a palazzo Chigi, è anche perché si buttano via così. E stiamo parlando di oltre 6 miliardi di euro gestiti da Bassolino presidente della Regione Campania, non di noccioline.

DA ITALIA OGGI IN EDICOLA- Rifiuti, Di Pietro: qui lo dico e qui lo nego

Parole pesanti quelle che Antonio Di Pietro ha usato nel pieno della crisi rifiuti di Napoli, prima attaccando il governatore della regione Campania, Antonio Bassolino. Poi prendendosela con il collega Alfonso Pecoraro Scanio e con i Verdi: «Chi si oppone agli inceneritori? Bisogna chiedersi se, oltre ai mali della camorra, non vi sia qualche responsabilità, di chi si è sempre opposto alla loro realizzazione», ha tuonato il titolare delle infrastrutture. Di Pietro come sempre ci ha azzeccato. C'era qualcun altro pronto a bloccare gli inceneritori, deciso a metà 2006 perfino a revocare i finanziamenti per la loro costruzione. Ma non era un Verde: era proprio lui, il leader dell'Italia dei valori. È stato il nostro Giampiero Di Santo a scovare l'intemerata dall'allora neo-ministro delle Infrastrutture. «Gli inceneritori, o termovalorizzatori», tuonò Di Pietro all'epoca, «sono finanziati in Italia con soldi pubblici in quanto equiparati alle energie rinnovabili. Senza i contributi pubblici gli inceneritori non potrebbero esistere. Meritano questo investimento? La risposta che mi sono dato è del tutto negativa. La costruzione degli inceneritori nasce da due fattori: scarsa informazione e comportamento sociale sbagliato. La scarsa informazione porta a pensare che gli inceneritori siano una soluzione all'avanguardia, che siano necessari e che, in ogni caso, rappresentino il male minore. Gli inceneritori non sono una soluzione innovativa, è vero il contrario; i primi sono stati realizzati più di quarant'anni fa e i Paesi che li hanno adottati inizialmente non li costruiscono più e li usano sempre meno. Inoltre è stato dimostrato che la cenere prodotta diventa un rifiuto tossico». E aggiunse, minaccioso, «Per queste ragioni, l'Italia dei Valori si opporrà alla costruzione di nuovi inceneritori, anche con la richiesta dell'abolizione dei finanziamenti fino ad oggi disposti, e proporrà interventi legislativi a favore di una riduzione dei rifiuti all'origine e di sostegno alle aziende impegnate nel settore del riutilizzo dei rifiuti». Naturalmente, come spesso capita nei proclami dei politici italiani, la minaccia restò lì senza seguito. Servì a procurarsi qualche lode utile alla bisogna dal blog di Beppe Grillo, gli applausi degli ambientalisti e l'assoluta tranquillità dei produttori di inceneritori che ben sapevano quanto sarebbe avvenuto: nulla. Fra gli applausi anche quello del povero Pecoraro Scanio, convinto di avere trovato un alleato insperato. E ora sbertucciato pubblicamente con quel paragone certo non esaltante fra chi blocca gli inceneritori per ragioni politiche e la camorra che lo fa per ragioni squisitamente economiche. L'episodio vale la pena di essere raccontato perché segnala quanto sia inutile la politica in Italia. E terribilmente lontana dalla vita reale. Al massimo sventola per qualche ora la soluzione dei problemi, una dichiarazione di agenzia, un post sul blog per chi si sente più al passo con i tempi, una bella comparsata ancient regime nel salottino di Bruno Vespa. Ma i problemi reali, come i rifiuti, restano lì irrisolti, e prima o poi chi deve farci i conti tutti i giorni esce dall'inganno dello spot. Perfino Di Pietro, che si è costruito con abilità un'immagine di politico pronto a rimboccarsi le maniche e calarsi nella vita reale, dalla fiction esce assai raramente. Ora sui rifiuti della Campania anche senza inceneritori si sono bruciati le dita generazioni di amministratori locali e nazionali, un Di Pietro in più o in meno non fa grande differenza. Ma il danno che ancora una volta è stato provocato all'immagine dell'Italia più ancora che a quella Regione è così grave che varrebbe la pena uscire dalla solita commediola che ieri ancora una volta è andata in scena alla Camera dei deputati dove il governo è andato a riferire gli ultimi sviluppi. Al di là delle responsabilità passate e anche recentissime, che abbiamo documentato in questi giorni, il presidente del Consiglio Romano Prodi ha finalmente adottato un atto di governo. Si potrà discutere l'ennesima scelta di un commissario governativo di emergenza: ce ne sono a bizzeffe, in carica ancora dopo anni (sui rifiuti ne era stato nominato uno nuovo dieci giorni prima, Paolo Costa è ancora in sella a gestire l'emergenza Dal Molin sulla base Usa, per anni ne è restato uno per mucca pazza...). Ma la scelta di Gianni De Gennaro, l'utilizzo dell'esercito e le prime azioni attivate sono un atto di governo e un modo per affrontare l'urgenza della realtà. Ha ragione palazzo Chigi: in questo momento serve dare una mano a De Gennaro a portare via i rifiuti, non è questione di bandiere politiche. Poi ci sarà tutto il tempo per capire le responsabilità, affrontare i processi e continuare il teatrino. I verdi avranno la loro bella parte, ma chi ha governato cinque anni prima non è stato meno ambientalista...

RIFIUTI VERDI MARCI- La sceneggiata di Pecoraro & c

Il piano che avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi della raccolta di rifiuti in Campania è stato annunciato in pompa magna agli inizi di luglio 2007 dal governatore della regione Campania, Antonio Bassolino, che alla stampa aveva fornito anche un suo personale decalogo che in quattro passi avrebbe dovuto portare la situazione alla normalità. Il documento, redatto dal commissario governativo uscente, Alessandro Pansa, prefetto di Napoli (ieri il governo lo ha sostituito con Gianni De Gennaro) è stato presentato solo il 27 dicembre scorso. Più di 300 pagine, con centinaia di allegati. Decine di lettere di chi ne ha bloccato l'attuazione. In testa ambientalisti e il loro ministro di riferimento, Alfonso Pecoraro Scanio. Visto che in Italia nessuna decisione, nemmeno in mezzo a tonnellate di rifiuti abbandonati per strada sotto gli occhi del mondo intero, si può prendere senza la magica “concertazione”, il prefetto Pansa si è dovuto sciroppare tutti gli interlocutori possibili e immaginabili. Che hanno inviato le loro osservazioni sulla bozza del piano rifiuti, chiedendo una raffica di correzioni e cassandone di volta in volta le varie parti. A un certo punto il prefetto ha messo una data limite, quella del 15 dicembre scorso, oltre la quale nessun suggerimento sarebbe più stato preso in considerazione. Solo a quel punto si è fatto vivo qualcuno della Regione Campania guidata da Bassolino. Con una sorta di diffida, firmata dall'avvocato Mario Lupacchini a nome dell'assessorato all'Ambiente della Giunta regionale. Richiesta: rinvio della data-limite al 7 gennaio 2008. Altrimenti “codesto commissario comunichi il fondamento giuridico per tale abbreviazione die termini”. Dei rifiuti a Napoli e della data- limite posta dal prefetto per terminare il suo piano e iniziare a renderlo operativo non si è preoccupato particolarmente il ministro dell'Ambiente, Pecoraro Scanio. La lettera con le sue osservazioni a Pansa è infatti arrivata con comodo il 19 dicembre scorso. Anche lui minaccioso: ponendo una serie di condizioni senza le quali il ministro avrebbe detto no al piano cassandolo del tutto. Alcune tecniche, altre formali, una stupisce in particolare: vincolante anche la richiesta di coinvolgere nel business del riciclo dei rifiuti “le Onlus e le altre associazioni non a fini di lucro” con cui il commissario Pansa avrebbe dovuto anche stipulare un accordo di programma. Un po' di burocrazia ulteriore, mentre a Napoli e dintorni l'olezzo della spazzatura rovinava già le feste natalizie a migliaia di cittadini. Ma visto che gli ambientalisti non si muovono mai da soli, il povero Pansa è stato costretto a concertare con ogni loro sigla esistente sull'orbita terrestre. Tonnellate di documenti e osservazioni sono arrivate da Legambiente, Italia Nostra, Greenpeace, Wwf di ogni ordine e grado insieme a sigle minori che almeno avevano dalla loro la residenza in loco. Pagine a pagine sul processo di desertificazione mondiale, trattati interi sul protocollo di Tokyo, tutti i no possibili alle soluzioni proposte dal prefetto per lo snaltimento dei rifiuti. Richiesta al piano- che avrebbe dovuto solo rispondere alla domanda su come raccogliere e fare sparire in qualche modo la spazzatura- di inserire progetti di “microfiliere aziendali di minieolico, fotovoltaico e solare termico” e “filiere agroenergetiche a biomasse”. Così' il povero Pansa è stato messo in guardia anche sulla cultura alimentare di ogni fazzoletto di terra campana, spiegando che lì proprio una discarica o un termovalorizzatore sarebbe stato impossibile. E se fosse finito troppo vicino alla zona della “castagna del vulcano di Roccamorfina”? Impossibile. Cercare subito un altro luogo, e che non fosse quello del “lupino gigante di Vairano” o di produzione del “pecorino di laticauda sannita”. Come muoversi su un campo pieno di mine. Unica soluzione suggerita a Pansa: “imparare il metodo dialogico per la individuazione dei siti dove allocare gli impianti”. Se uno si chiede cosa mai sia, basta leggere il documento di Legambiente: “E' un modello pull, bidirezionale e simmetrico verso lo stakeholder, ed è adottato dalle organizzazioni più avanzate e di maggiore successo”. Per sette mesi un povero prefetto a cui avevano dato pieni poteri proprio perché la situazione era di emergenza e i politici locali e nazionali avevano dimostrato di non sapere che pesci prendere, si è dovuto sciroppare montagne di carta piene di queste perle. Nel frattempo, prima di rispondergli, comuni, province e comunità montane cui era stato chiesto un parere, hanno arruolato eserciti di consulenti, perchè di rifiuti e dintorni nessuno capiva nulla. Una fatica titanica. Con bastoni messi fra le ruote fino all'ultimo istante, fra cumuli di maleodorante spazzatura. Burocrazia che si è trascinata fino al 7 gennaio. Ora finalmente sarebbe bastato iniziare ad applicare il piano. Ma il governo ha voluto ancora una volta fare la faccia feroce. Un po' di decisionismo: via Pansa, ne arriva un altro. Si preparino Wwf, Legambiente e Pecorari Scanio: si riscrive tutto da capo...

CONDONO DI PRODI AI COMUNI ANTI-RIFIUTI

Come si dice a Napoli, Romano Prodi ha fatto la faccia feroce. Porta infatti la sua firma il decreto 11 maggio 2007, n. 61 dal titolo «Interventi straordinari nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania». Pugno di ferro del premier, spiegato all'epoca con il desiderio di mettere fine una volta per tutte allo scandalo della spazzatura a Napoli e dintorni. All'articolo 7 uno schiaffone a tutti i comuni: entro dicembre avrebbero dovuto adottare un piano straordinario per lo smaltimento e auto-finanziarselo. Il 29 dicembre scorso proprio in piena emergenza rifiuti il governo ha fatto marcia indietro: il diktat e quella norma sono saltati, cancellati da una norma malandrina inserita nel Milleproroghe Quando aveva fatto finta di fare la faccia feroce, Prodi aveva stabilito (e la Gazzetta ufficiale pubblicato) che in deroga alle norme generali sulla Tarsu, «i comuni della regione Campania adottano immediatamente le iniziative urgenti per assicurare che, a decorrere dal 1° gennaio 2008 e per un periodo di cinque anni, ai fini della tassa di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, siano applicate misure tariffarie per garantire complessivamente la copertura integrale dei costi di gestione del servizio di smaltimento dei rifiuti». Visto che in campo a parte la scandalizzata stampa internazionale era sceso anche il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, il presidente del Consiglio aveva voluto fare vedere come si comanda, risolvendo i problemi. E aveva aggiunto minaccioso: «Ai comuni che non provvedono nei termini previsti si applicano le disposizioni di cui all’articolo 141, comma 1, lettera a), del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267». Tradotto dal burocratese suona così: i comuni campani che non si fossero messi in regola entro il dicembre 2007 sarebbero stati sciolti dal ministro dell’Interno, Giorgio Napolitano, affidando l’emergenza rifiuti ai prefetti. Un’ottima norma che, se applicata, avrebbe forse evitato i disastri delle ultime settimane. Partenopea hanno risposto con una bella pernacchia al premier. Di piani manco l’ombra e di proposte sull’autofinanziamento ancora meno. Ci si sarebbe attesi allora già ai primi di gennaio una raffica di scioglimenti di comuni campani e il passaggio del comando nelle mani dei prefetti. Ma proprio alla vigilia delle meritate vacanze sui campi da sci, il presidente del Consiglio ha varato un bel condono per tutti i disubbidienti. Che dovevano mettersi in regola entro il 31 dicembre 2007, ma grazie alla norma inserita fra molte altre nel decreto milleproroghe di fine anno, potranno farlo comodamente entro il 31 dicembre 2008. Un segnale più che eloquente arrivato proprio nelle ore in cui stava esplodendo il dramma rifiuti in Campania. Di peggio c’è solo la spiegazione fornita nella stessa relazione di accompagnamento al milleproroghe. Il condono, con relativo rinvio di un anno, ai comuni campani viene inserito all’articolo 33 del nuovo decreto legge con questa spiegazione: «La disposizione è volta ad assicurare che la progressiva copertura dei costi sullo smaltimento dei rifiuti per il tramite della relativa tassa avvenga in maniera e con tempistica uniforme sull’intero territorio nazionale». Ma il decreto legge sui rifiuti campani varato a maggio serviva proprio a derogare, vista la situazione eccezionale, dalle regole previste per tutti gli altri comuni italiani. Insomma, una sceneggiata napoletana in piena regola, che mette decisamente in ombra le piccole querelle politiche scoppiate nelle ultime ore con il più classico degli scaricabarili: Rosa Russo Jervolino (fresca di condono del premier) contro Prodi (che l’ha condonata), Antonio Di Pietro contro Antonio Bassolino, Alfonso Pecoraro Scanio in fuga da tutti e i napoletani sommersi dalla spazzatura. Certo, lo scandalo rifiuti campani è nato ben prima di questo governo, ed è prima di tutto specchio di cosa è l’Italia. Ma la sceneggiata in corso è specchio soprattutto di questo esecutivo, della sua debolezza, della sua impossibilità di prendere decisioni e farle rispettare. Di casi Napoli ce ne sono a bizzeffe, grandi e piccoli ma tutti con lo stesso destino e la finzione di un governo non in grado di governare. Ne citiamo un altro su Italia Oggi, nella sezione Diritto e Fisco. Minuscolo, ma significativo. Nella sua manovra economica per il 2008 il governo fra i tanti atti presunti di “giustizia redistributiva”, ha esonerato una serie di incapienti dal pagamento del canone Rai, per altro appena aumentato a 106 euro. Un poveretto fra i possibili beneficiari, per essere sicuro di non incorrere in sanzioni, ha spiegato alla Rai: «secondo la finanziaria non dovrei pagare il canone. Va bene? Tutto in regola?». E si è sentito rispondere dalla televisione di Stato: «Sì, lei rientrerebbe fra gli esonerati. Ma il governo ha stanziato pochi fondi per pagare al posto vostro, va a finire che molti di voi non potranno beneficiarne. La cosa migliore è che lei paghi subito quei 106 euro, così sarà fra i primi a chiederne il rimborso...». Questa è invece una sceneggiata alla romana..

UN BAMBOCCIONE A SVILUPPO ITALIA/3- Ora Visco jr è diventato un eroe

A Sviluppo Italia è arrivato un eroe. Uno che ha sfidato la sorte, lasciando un posto d'oro in un'azienda privata con i fiocchi, come Telecom Italia, per scommettere sul più classico dei carrozzoni statali, pronto ad affrontare perfino le polemiche e le bufere che deve mettere in conto qualsiasi figlio d'arte. Arriva più o meno così la conferma dell'assunzione come dirigente di Gabriele Visco, figlio di Vincenzo, viceministro di quel ministero dell'economia che controlla al 100% la stessa Sviluppo Italia. Domenico Arcuri, a.d. del gruppo pubblico, sottolinea infatti il «coraggio» del ragazzo, «di essersi assunto l'onere di un cambiamento così radicale e, perché no, una mole di allusioni e provocazioni» (...) Secondo Arcuri quel coraggio mostrato da Visco jr, unito al curriculum (che Sviluppo Italia però non rivela) e all'esperienza professionale «valgono di più del suo cognome». E siamo certi che il manager pubblico abbia ragione: il neo dirigente ha avuto una rapida carriera in Telecom, dove ha mostrato il suo valore. Certo nel nuovo incarico partirà in condizioni più difficili e non avrà nemmeno la possibilità di discutere la qualità dei benefit aziendali assegnati (cilindrata e colore dell'auto, telefonino, etc...). Siamo convinti che il merito sia fondamentale nel settore privato come in quello pubblico, e non è un cognome a deciderlo nel bene come nel male. Lo stesso Arcuri deve avere soppesato a lungo una decisione così delicata, perché sarebbe stato inevitabile poi dovere diradare il sospetto di avere voluto banalmente compiacere un viceministro che indirettamente è anche il suo azionista. Ma la preoccupazione non deve essere eccessiva. Ieri abbiamo fatto un rapido giro di opinioni con alcuni corrispondenti delle principali testate internazionali. E la risposta è stata una sola: l'assunzione avrebbe fatto notizia ovunque. Con grande probabilità negli Stati Uniti, in Francia, in Germania, in Gran Bretagna, sarebbe iniziata una campagna stampa sul caso. Accadde negli Stati Uniti quando il Wall Street Journal dedicò colonne di fuoco alla scelta di George W. Bush di mettere alla testa di una commissione federale sulle telecomunicazioni Mike Powell, figlio di Colin Powell. Per altro non fu scelta improvvisa: Powell jr già era membro di quella commissione prima che il padre assumesse l'incarico di governo. Per un caso controverso di nepotismo ha dovuto lasciare il posto il presidente della Banca mondiale, Paul Wolfowitz. All'estero, ma in Italia è diverso. Perché i figli sono pezzi di cuore, come recita un celebre detto napoletano, e su questa strada tutto può essere compreso. Basta leggersi le considerazioni sul caso fatte da tutti gli esponenti politici ieri contattati da ItaliaOggi, nel centrosinistra dove la prudenza è assai comprensibile, ma anche e soprattutto nel centrodestra dove nemmeno uno solleva il dubbio di un conflitto di interessi. Giuseppe Vegas cita la massima di Indro Montanelli, secondo cui l'Italia «è un paese non solo di padri e figli, ma anche di zii e di nipoti». E aggiunge «E' normale che ognuno cerchi di piazzare i propri figli. Non esiste nessun problema politico morale». Un ex viceministro dell'Economia autorevole esponente di Alleanza Nazionale come Mario Baldassarri, si spinge più in là: «Il cognome non deve contare nel bene nel male», e ricorda analoghe polemiche che lo avevano coinvolto quando il figlio Pierfrancesco fu assunto dalla Sogin «Io non feci nulla. Neppure lo sapevo. Lui aveva tutto il diritto di avere quell'incarico». Ci siamo fermati lì perchè temevamo di non avere abbastanza pagine per raccontare storie di figli eccellenti assunti sempre all'insaputa dei padri proprio in posti dove i loro padri erano assai influenti. Forse in una parte d'Italia, in un tempo che ormai non c'è più qualche padre così ignaro avrebbe impedito al figlio la carriera proprio lì. Ma quell'Italia non c'è più, e quella che resta emerge ogni tanto solo grazie alla caparbietà di qualche cronista che ancora ha passione per le notizie o - più facilmente- dalle intercettazioni telefoniche che qualche magistrato offre in pasto all'opinione pubblica. Così bisogna rassegnarsi alle amanti che trovano (sempre per loro capacità) una qualche particina in Rai, ai parenti del potente di turno assunti in questa o quella azienda pubblica. Che tristezza questi padri, mariti, zii, amanti così impotenti. Che possono nominare questo o quel manager pubblico, ma non evitare che quello poi offra un contrattino o un contrattone al figlio, alla moglie, al nipote, all'amante... Non c'è nulla di illegale, figuriamoci. Ma è lì che si intravede il vero declino di un paese, la sua impossibilità di rinnovare classe dirigente. L'Italia resta una nazione feudale.

UN BAMBOCCIONE A SVILUPPO ITALIA/2- La difesa (e qualche minaccia) di chi ha assunto Visco jr

Egregio direttore, ci sono alcuni elementi, relativi agli articoli apparsi sul suo giornale e inerenti all'assunzione del dott. Gabriele Visco da parte dell'Agenzia che meritano una precisazione. E' sicuramente disdicevole che ci sia stato chi, interrogato dal suo giornalista - che faceva il proprio lavoro, quello di cercare conferme ad una notizia avuta – ha invitato il cronista a parlare con i sindacati “che di solito queste cose le sanno”. Questo è un comportamento intollerabile da parte di una società pubblica. Nei confronti di chi lo ha assunto si stanno prendendo gli opportuni provvedimenti. Quanto alla trasparenza di cui lei lamenta la carenza nella nostra Agenzia, vale la pena ricordare che sul nostro sito figura l'elenco di tutte le consulenze, comprese quelle che non sono state rinnovate, (che è facile accorgersi essere più numerose) tant'è che ritengo da quella fonte abbiate appreso alcune delle dettagliate notizie riportate nell'articolo. Nulla può esserci di segreto, e nulla infatti di segreto vi è, in una società con oltre mille dipendenti in cui, come ha avuto modo di verificare, anche i centralinisti sono edotti di posizioni e ruoli, pure apicali. Sarebbe oltremodo grave, mi permetta un commento, vista l'eredità che abbiamo ricevuto, condannare per l'ennesima volta quest'azienda a reiterare comportamenti che nulla hanno a che fare con la sua natura, i suoi obiettivi e la sua attualità. Non abbiamo scheletri negli armadi, salvo quelli che non abbiamo ancora scoperto, ma persone che lavorano nelle stanze e nei corridoi con l'etichetta nominativa ben in vista su ogni porta. Persone che finalmente si sottopongono ogni giorno al giudizio, anche impietoso, dell'opinione pubblica e della stampa. E infine un commento sul protagonista suo malgrado dei suoi articoli. Il suo curriculum, la sua esperienza professionale, il coraggio di essersi assunto l'onere di un cambiamento così radicale - e, perché no, una mole di allusioni e provocazioni - credo valgano di più del suo cognome. Almeno questa è la mia opinione, quella di un capo azienda chiamato a risanare una situazione disastrosa che ha non solo il diritto, ma soprattutto la necessità di avvalersi di un gruppo di collaboratori coeso e consolidato negli anni. Cordiali saluti Domenico Arcuri* * amministratore delegato dell' Agenzia Per l'Attrazione degli investimenti e lo Sviluppo di Impresa (già Sviluppo Italia spa) Risponde Franco Bechis. Ai lettori una premessa doverosa per comprendere la lettera di Domenico Arcuri. Gabriele Visco, ex dirigente Telecom, dopo un certo periodo di rodaggio come consulente di Sviluppo Italia (per 46 mila euro da luglio a settembre) è stato assunto dallo stesso Arcuri come dirigente. Abbiamo raccontato anche qualche difficoltà nel verificare la notizia, che oggi viene autorevolmente confermata da questa lettera. Gabriele Visco è uno dei due figli del viceministro dell'Economia Vincenzo Visco. Sviluppo Italia, per quanto ribattezzata, resta una società controllata al 100 per cento dal ministero dell'Economia, come documenta il grafico sulle partecipazioni che si può trovare sulla home page del sito Internet dello stesso ministero. Sono felice che finalmente un amministratore di una società pubblica dimostri interesse per la trasparenza. Vorrei anche credergli fino in fondo, ma ho qualche dubbio per il tono minaccioso che traspare dalla lettera quando si annuncia la caccia alla fonte che avrebbe divulgato a Italia Oggi la notizia. Scusi, se l'informazione era sacrosanta, che le importa chi l'abbia data? Ha fatto solo il suo dovere...

UN BAMBOCCIONE A SVILUPPO ITALIA/1- Lo strano caso dell'assunzione del figlio di Vincenzo Visco

Alla fine ce l'ha fatta. Domenico Arcuri, il dinamico amministratore delegato di Sviluppo Italia (da qualche mese ribattezzata Agenzia), è riuscito a portare a lavorare con sé come dirigente il giovane e bravo Gabriele Visco. Per alcuni mesi nell'estate scorsa l'aveva chiamato come consulente (per 46 mila euro da luglio a settembre), poi il rapporto si era interrotto, rischiando di reinserire il manager in quell'esercito di bamboccioni mal sopportati dal ministro dell'economia Tommaso Padoa-Schioppa. Un rischio per fortuna scongiurato: ci sarà un bamboccione in meno. Anche se non troppo lontano da casa: Gabriele è il figlio di Vincenzo Visco. Sviluppo Italia è controllata al 100% dal ministero dell'economia (...) Formalmente non scatta il conflitto di interessi, perché se l'azionista unico di Sviluppo Italia è lo stesso ministero di cui papà Visco è viceministro, la delega sugli indirizzi di gestione spetta al ministro dello Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, che a sua volta ha affidato l'incarico al suo viceministro, Sergio D'Antoni. Sicuramente Gabriele Visco avrà le caratteristiche professionali necessarie all'incarico, e già dopo le prime polemiche sulla consulenza affidata Arcuri aveva spiegato di conoscere personalmente il giovane manager e di averne potuto apprezzare le qualità in passato quando si erano incontrati ognuno dei due lavorando per un'azienda privata. Ma certo non ci sono stati megafoni ad amplificare una notizia che qualche rilievo politico o per lo meno di costume, sembra avere. L'avrebbe in qualsiasi paese del mondo. Per noi è stato difficile se non quasi impossibile verificarla nell'ultima settimana, anche se l'avevamo appresa casualmente da fonte assai qualificata. Stefano Sansonetti, il giornalista di Italia Oggi che da settimane conduceva un'inchiesta sulle consulenze dello Stato e delle società controllate e sulla scarsa trasparenza che ancora le circonda, ha provato a percorrere la strada maestra, telefonando direttamente alla società. L'ufficio stampa ha sostenuto di non potere essere utile, non avendo possibilità di verificare questo tipo di informazioni. E si è dovuto aggirare in una selva di no comment, di mezze ammissioni, di affermazioni “non ufficiali”, perfino invitato a rivolgersi ai sindacati “che di solito queste cose le sanno”. Non male per chi è tenuto dalla legge alla più assoluta trasparenza. Ma d'altra parte anche sulle consulenze Sviluppo Italia comunica un po' quel che vuole. Qualcosa ha messo sul proprio sito Internet- come dice la legge- la capogruppo, molte società controllate e quasi tutte le società regionali invece rimandano a un chiarimento interpretativo sulle norme stabilite dalla finanziaria del 2007 su cui evidentemente non è riuscito in più di un anno a fornire lumi il ministero dell'Economia. Alla fine sono stati assai più utili e trasparenti in questi giorni i vari centralinisti di Sviluppo Italia, che non solo hanno provato inutilmente a passare Gabriele Visco al telefono (non c'era come la maggiore parte dei dirigenti del gruppo), ma alla bisogna hanno fornito l'interno e perfino la qualifica in azienda come riportata sul loro elenco telefonico aziendale. Se si basa sulla predisposizione dei centralinisti la trasparenza tanto vantata dal governo e dalla pubblica amministrazione, temo che le polemiche sulla casta e le successive promesse di cambiamento abbiano prodotto risultati assai scarsi. Basta leggersi le tre pagine di inchiesta che oggi pubblichiamo su cosa avviene negli Stati Uniti nel cuore della campagna elettorale per le presidenziali che stanotte ha avuto il suo primo significativo test nello Iowa. Mentre qui bisogna arrangiarsi alla meglio per strappare qualche notizia, negli Usa ogni minimo particolare del presidente in carica, del suo staff, dei suoi familiari, dei candidati alla successione con relativo staff e famiglia e in pari modo di ogni membro del congresso è esposto al pubblico non volontariamente, ma in base a una legge federale. Non solo: tutto è verificato da una apposita commissione indipendente (la Fec) che rende immediatamente pubblici i risultati dell'esame. George W. Bush è stato costretto a dichiarare di avere ricevuto dal cantante Bono in regalo un banale Ipod così come ogni movimento finanziario (acquisto o vendita di azioni) compiuto da lui e da membri della sua famiglia. La senatrice Hillary Clinton è tenuta a pubblicare i nomi di tutti gli esponenti del suo staff che, recandosi in un qualunque posto dell'America per tenere una conferenza hanno ricevuto gratuitamente un passaggio aereo. Ogni tre mesi viene aggiornata anche questa lista, con l'indicazione di chi ha usufruito del piccolo benefit, del valore economico dello stesso, con tanto di nome del benefattore. Qualsiasi membro del congresso americano, oltre a tutti i movimenti finanziari che direttamente o indirettamente lo riguardano, è obbligato a rendere pubbliche tutte le linee di credito concesse. Perfino se si tratta di una carta di credito rateale. Prima, durante e dopo le elezioni...

CHE DISASTRO CALABRESE TESTIMONIAL! Il 26 fa lo spot pro Kenya sul Tg1 e il paese sprofonda nella guerra civile...

Gianni Riotta l'aveva scelto come testimonial sul Tg1 per non scoraggiare gli italiani vacanzieri in Kenya. Così il 26 dicembre scorso, subito dopo la notizia sull'uccisione a pochi km da Malindi dell'animatore torinese Andrea Pace durante una rapina, il primo telegiornale italiano si è collegato per telefono con Pietro Calabrese, ex direttore di Panorama. Pronto, come molti vip italiani, a festeggiare in Kenya il Capodanno 2008. E lo spot sembrava riuscito: "Vengo a Malindi", ha raccontato Calabrese quella sera, "da tanti anni. E' un posto dove i rischi che si corrono sono certamente inferiori ai rischi che si corrono in una qualunque grande città italiana". Nemmeno otto ore dopo l'infausto spot di Calabrese il Kenya è precipitato nella guerra civile. Città messe a ferro e fuoco, centinaia di vittime civili, una chiesa bruciata con numerosi bambini periti nell'incendio. E la Farnesina, che già il 27 mattina aveva messo in guardia i turisti italiani dalla recrudescenza della criminalità comune, che ora consiglia a tutti di non partire per il Kenya, preparandosi ad organizzare il rimpatrio dei 3 mila italiani lì in vacanza. Compreso il serafico e sfortunato Calabrese...

GESUALDI IN FILA PER IL DOPO SACCA'

L'unico dubbio è che avvenga con un braccio di ferro fra legali o attraverso un accordo consensuale e relativo pagamento di buonuscita, ma il divorzio fra la Rai di Claudio Petruccioli e il direttore di Rai fiction Agostino Saccà è ormai scontato. Tanto che si stanno scaldando i muscoli numerosi pretendenti. Molti all'interno dell'azienda, dove si esclude la possibilità di un nuovo interim al vicedirettore generale, Giancarlo Leone (da sempre critico su Saccà). Ma la candidatura più accreditata è esterna: si tratta dell'attuale segretario generale della Regione Lazio, Francesco Gesualdi, che prima di intraprendere la carriera di burocrate pubblico, è stato lunghi anni al vertice del gruppo Cinecittà. Prima come assistente di Luigi Abete, poi per cinque anni consigliere di amministrazione e membro del comitato esecutivo di Cinecittà spa e per più di 4 anni anche come direttore generale di Cinecittà holding e presidente di Cinecittà cinema. Gesualdi, che ha presieduto anche Mediaport spa e Globalmedia srl (secondo gruppo italiano di multiplex) e dal luglio scorso è diventato membro del comitato di direzione di Romafictionfest, ha dalla sua una discreta militanza nel centrosinistra e buoni rapporti con alcuni autorevoli esponenti del centrodestra, in testa Gianni Letta. Ma sopratutto non va più d'accordo con il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, che farebbe qualsiasi cosa pur di mandarlo a Rai fiction...

DIVENTANO UN BUSINESS I BAMBOCCIONI DI TPS

Dopo mesi, in un'intervista al Corriere della Sera, il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa Schioppa, ha fatto una mezza retromarcia sulla sua infelice battuta di inizio autunno sui "bamboccioni" che se ne restano troppo lungo a casa, a pesare sulle finanze familiari. Tps ora sostiene di pensare positivo sui giovani, e che quella battuta fu male interpretata e strumentalizzata. Eppure, proprio alla vigilia della retromarcia del ministro, Roma è stata tappezzata di manifesti di una campagna che rigirava a fini pubblicitari la scivolata del ministro dell'Economia. Per Confalone, azienda di arreddamento, i bamboccioni sono infatti diventati un business. E a loro, cacciati di casa da Tps, vengono offerti comodi divani al 50% del prezzo di listino su cui poltrire in una nuova casa. Svendita speciale per bamboccioni, per un'Italia sempre più in declino...