De Benedetti fa il travet. Via da Sankt Moritz, ora abita a Dogliani e compra casale con un mutuo

Carlo De Benedetti oltre alle società lussemburghesi e portoghesi ha rimpatriato in Italia anche se stesso e la sua signora, Silvia Cornacchia prima in Donà delle Rose poi in De Benedetti. La notizia è ufficiale, ed è contenuta in una cortese lettera della Cir inviata a Libero (vedasi box qui sotto): da qualche settimana l’Ingegnere ha infatti trasferito la sua residenza civile dalla esclusiva località svizzera di Sankt Moritz, al comunque blasonato paese di Dogliani nel cuneese: è quello che ha dato i natali all’editore Giulio Einaudi e dove hanno sede parte dei poderi Luigi Einaudi, appartenuti all’ex presidente della Repubblica italiana. A Dogliani l’ingegnere e la sua signora hanno in effetti acquistato terreno e quattro ampi casali, uno da 23,5 vani, uno da 9,5 vani, uno da 7,5 e uno da 5,5 vani. Sono stati comprati fra il 2006 e il 2007, anno dedicato alla ristrutturazione dei fabbricati, da una società personale. All’ epoca era denominata Casita società semplice ed era posseduta al 99% dall’Ingegnere e all’1 per cento dalla sua signora. Nel 2008 la società ha cambiato denominazione, diventando Cà di nostri società semplice e con un aumento che ha raddoppiato il capitale sociale, riservato al 99 per cento a Silvia Cornacchia e all’uno per cento all’Ingegnere. Così ora casali e terreno sono divisi in parti uguali fra gli sposi. Chissà, forse per segnare anche in questo modo il desiderio di tornare alla normalità, De Benedetti come un travet qualsiasi ha acceso perfino un mutuo fondiario sul maniero. Il contratto è stato firmato il 22 maggio 2008 davanti al notaio Giancarlo Reverdini Grassi di Torino con la Banca popolare di Sondrio. Il finanziamento concesso all’Ingegnere è stato di 5 milioni di euro, al tasso di interesse annuo del 5,5% (nemmeno regalato). Secondo lo schema di contratto pagherà di interessi 2,5 milioni di euro e di spese un milione di euro per un totale di 8,5 milioni di euro, somma per cui è stata iscritta ipoteca volontaria sul maniero. La durata del mutuo è di 15 anni, e quindi le rate correranno fino al 2023, quando De Benedetti avrà compiuto 89 anni. Il contratto di mutuo porta proprio la firma dell’Ingegnere, ma nella premessa si precisa che “Carlo De Benedetti, nato a Torino il 14 novembre 1934, interviene al presente atto non in proprio, ma nella sua qualità di unico amministratore e legale rappresentante della società Casita società semplice (poi trasformata in Cà de nostri, ndr) con sede in Torino” Sarà dunque la società immobiliare e non la persona fisica a garantire la banca. Con il mutuo De Benedetti ha finanziato l’acquisto non solo dei casali, ma anche del terreno circostante con tanto di vigneto che confina proprio con i poderi Luigi Einaudi e le celebri viti del Dolcetto più blasonato delle Langhe. Per altro a vendere il maniero sono stati proprio degli Einaudi: Letizia, Germano e Celestino che non risultano però discendenti diretti dell’ex presidente della Repubblica. Proprio per il vino e la presenza di casali blasonati Dogliani, paese con meno di 5 mila abitanti, ha attratto negli ultimi anni più di un vip che lì si è ritirato o ha acquistato una seconda casa per i week end. Ci passa spesso il fine settimana il critico televisivo del Corriere della Sera, Aldo Grassi. Ci vive da tempo Nicoletta Bocca, figlia di Giorgio, che anno dopo anno ha fatto incetta di vigne e poderi coltivandoli di persona. Secondo una leggenda di paese un giorno sarebbe approdata lì portata da una Lamborghini scortata da body guards in moto anche una star della moda internazionale come Naomi Campbell, ma l’affare immobiliare inseguito sarebbe sfumato in extremis. A Dogliani vive da tempo in libertà anche il fondatore delle Brigate Rosse, Renato Curcio. E’ benvoluto dagli abitanti, che la domenica lo vedono sempre a messa. Prima di prendere ufficialmente la residenza mettendo fine alle polemiche sul trasferimento in Svizzera, De Benedetti e signora erano soliti trascorrere nel maniero qualche lungo week end. L’ingegnere è stato riconosciuto qualche tempo fa mentre trattava l’acquisto di due biciclette ed è stato recentemente visto farsi il pieno alla sua Porche ultimo modello al distributore automatico.

E' Bersani il più coccolato dai Tg Rai

L’allarme è stato lanciato ieri dalle colonne di Repubblica: “Il Pdl invade i Tg Rai” e Silvio Berlusconi naturalmente li guida e presiede. E giù una serie di dati attribuiti all’Authority per le telecomunicazioni per testimoniare la preoccupazione dell’organismo di garanzia per presunte ripetute violazioni della par condicio. Ma i dati reali offrono un quadro diametralmente opposto. Nei telegiornali Rai viene sostanzialmente rispettato l’equilibrio che da anni governa la par condicio: un terzo del tempo al governo, un terzo alla sua maggioranza e un terzo all’opposizione. Se squilibrio c’è è proprio a favore di Pd-Idv e Udc. Nella settimana dal 28 febbraio al 6 marzo scorso, quella successiva alla presentazione delle liste, con tutto il caos che ne è venuto, il governo e il suo presidente hanno ottenuto sui Tg Rai non un terzo, ma un sesto o un settimo dello spazio a disposizione. Maggioranza e opposizione sono in perfetta par condicio sul Tg1 (28,72% l’una e 28,12% l’altra). Su tutti gli altri Tg ha spazio oltre misura l’opposizione, in vantaggio di 3,2 punti sul Tg2, di 6,3 punti sul Tg3 e dei quasi 12 punti su Rai news 24. Nelle due settimane precedenti di campagna elettorale, con le liste non ancora presentate, il governo ha avuto più spazio, con un eccesso di presenza sul Tg2 e un difetto sul Tg3. Quanto ai rapporti fra maggioranza e opposizione, Pdl e soci erano in vantaggio di un punto e mezzo sul Tg1 e in svantaggio di due punti e mezzo sul Tg2. Assai rilevante invece la violazione della par condicio su Tg3 (quasi venti punti percentuali regalati in più all’opposizione rispetto alla maggioranza) e su Rai news 24 (29 punti percentuali in più all’opposizione). La preoccupazione dell’Authoprity per lo squilibrio dunque riguarda l’eccesso di amore (proibito in campagna elettorale) di Tg3 e Rai news 24 nei confronti di Pd, Italia dei valori, radicali, verdi, sinistra e Udc. Per valutare la par condicio infatti un tempo la commissione di vigilanza e da quando è nata l’Authority prendono in considerazione il tempo di parola, e cioè le interviste e le dichiarazioni di tutti i protagonisti della politica trasmesse in diretta o riassunte dal conduttore o dal giornalista specializzato. Non fa fede invece il cosiddetto “tempo di notizia”, quello per cui un politico o un partito è oggetto e non soggetto della notizia trasmessa. Ad esempio nel caso del processo Mills tutto il tempo dedicato alla notizia è attribuito al Pdl e a Silvio Berlusconi, e non potrebbe essere considerato un favore. Altro esempio: se Antonio Di Pietro viene intervistato per un minuto da un tg e dice che Berlusconi è un corrotto, un mafioso e un bandito, quel minuto viene calcolato nel tempo di parola a favore di Di Pietro e nel tempo di notizia a favore di Berlusconi. Per questo il tempo di notizia (che per altro è giustamente dettato dalla cronaca) non vale ai fini della par condicio. Quello di parola dice invece che l’invasione dei Tg di Stato finora è stata di Pierluigi Bersani & c

Minzolini: da 30 anni parlo con i premier. E' il mio mestiere

lui non risulta nessuna indagine. Il direttore del Tg1, Augusto Minzolini sostiene di non avere ricevuto alcun avviso di garanzia e quindi di non potere dire nulla sulla presunta concussione per cui sarebbe indagato a Trani. Dice però che se il fatto fosse vero, lo prenderebbe come un tentativo di intimidazione a lui e al Tg1. A Trani infatti c’era andato, come teste, dimostrando il millantato credito di chi sosteneva che sul Tg1 mai sarebbe apparsa una notizia contro l’American Express. Solo il Tg1 infatti ha dato informazione dell’inchiesta di Trani. Quanto all’accusa di avere ricevuto la linea del Tg1 da Silvio Berlusconi, la considera “ridicola”. Certo che ha parlato con il premier, 4 o 5 volte da quando è al Tg1. Lo faceva anche prima, perché così si fa il giornalista. E difende, anche con toni aggressivi, il suo lavoro in questa intervista a Libero. Augusto, sei indagato per concussione alla procura di Trani… … Alt. Io non so nulla. Non ho ricevuto alcun avviso di garanzia. Che io sia indagato lo dici tu, non io. Non c’è e credo proprio che non arriverà mai… Le notizie sono di fonte ufficiosa, ma autorevole. E credo che a quest’ora non ce le abbia solo io. Risultano indagati per concussione il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, il membro dell’Authority tlc, Giancarlo Innocenzi, e il direttore del Tg1, tu… Io? Concussione? E come faccio ad avere concusso? La Rai è pubblica e tu sei incaricato di pubblico servizio. Se prendi una “comanda” dall’esterno e comandi i servizi alla tua redazione, ecco qui la concussione. Cioè mi accusano di fare il giornalista, che parla con i politici e il direttore che appunto dirige? Sembrerebbe così. Tu parli spesso con il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi? Spesso no. Ma è capitato… Devo fare come il confessore: quante volte, figliolo? Da quando faccio il direttore del Tg1, quasi un anno, direi quattro o cinque volte. Parlo con lui e con un’infinità di altri politici… Anche di opposizione? Sì, anche di opposizione. Per altro sono una persona educata e rispondo a tutte le telefonate che mi fanno. Talvolta per cortesia, altre volte per interesse. Faccio sempre il giornalista e se non parlassi con i protagonisti dei fatti, mi sarebbe difficile comprenderli, no? A proposito, secondo te il presidente del Consiglio non è una buona fonte di informazione? Io spero che si informassero alla fonte diretta anche i miei predecessori. Sentivi al telefono Berlusconi anche prima di essere nominato al Tg1? Certo che sì. Ho iniziato a fare il giornalista politico nel 1980. Tranne due anni e mezzo che ho vissuto negli Stati Uniti, per scrivere articoli e retroscena ho parlato con tutti. Anche con diversi presidenti del Consiglio, ministri e segretari di partito… E mai ti sei trovato nei guai per averlo fatto? Mai. Infatti questa è pura follia. Di più: lo dico con franchezza: è un atto intimidatorio. Non ha senso, è fuori da ogni logica. Mi accusano di avere parlato con Berlusconi? E che accusa è? Poi – sostieni tu, mi accuserebbero anche di avere parlato con la mia redazione? E la chiami accusa? Significa che secondo i magistrati io dovrei fare il direttore sordo- perché non devo sentire il presidente del Consiglio- e muto, perché non dovrei dare indicazioni alla redazione. Insomma, sono colpevole di non essere sordomuto, altro che concussione! Forse dovresti parlare meno al telefono. Ah, su questo d’accordissimo. Ma questo è il paese. Se ho capito bene queste presunte intercettazioni che non pubblica nemmeno Il Raglio del Travaglio.. Il Fatto quotidiano, vuoi dire… Il Raglio del Travaglio. Beh, queste intercettazioni nascono da una indagine su interessi esorbitanti che avrebbe applicato ad alcuni clienti di revolving card l’American Express. Qualcuno- e lo riconosce perfino Il Raglio del Travaglio- ha millantato di potere intervenire sul Tg1 per bloccare informazioni dell’inchiesta ed evitare una campagna sull’American Express. Tutto nasce da una denuncia di un ufficiale della Guardia di Finanza a cui sono stati applicati tassi secondo lui da usura. La procura di Trani mi chiede di comparire come persona informata dei fatti. Quindi ti hanno già sentito? Sì. Nell’autunno scorso. Li ho chiamati, e informandomi sui motivi della convocazione. Così ho scoperto che forse l’unico tg che ha mandato in onda un servizio sull’inchiesta contro l’American Express è stato proprio il Tg1. L’ho spiegato a Trani, e per me era finita lì. Come sia possibile che poi sulla base di un’ipotesi inesistente di cui ho fornito prova abbiano continuato a intercettare in cerca di chissà che, proprio non lo so. Lo sai che sei un incaricato di pubblico servizio, non un direttore come gli altri? Certo che lo so. Per questo sul Tg1 si è data informazione anche dell’inchiesta sull’American Express. E ogni giorno si cerca di dare le informazioni più complete e rilevanti. Se ne rende conto il pubblico che continua a seguirci… Ecco qui i dati di ieri: Tg1 al 29,2%, il Tg5 al 23,9%. Evidentemente gli ascoltatori ritengono il Tg1 un prodotto equilibrato e non condizionato da chi tenta attraverso intimidazioni di piegare la linea del giornale a questo o quel partito. E i partiti, intimidazioni a parte, si fanno sentire direttamente? Chiedono molto? Telefonano, io ascolto. E poi decido di testa mia rispettando tutti e soprattutto dando ai cittadini la possibilità di capire. Però abbiamo ridotto un po’ la politica, perché i dati su ascolti e gradimenti dicono che interessa assai poco. Dici? E perché? Forse ne è stata fatta troppa in passato, o forse è troppo evanescente. Non si occupa dei temi reali. Guarda questa campagna elettorale: tutte inchieste, intercettazioni, timbri quadrati, rotondi o rettangolari… E c’è pure la par condicio. Sì, e la dobbiamo rispettare. Oggi ho letto su un quotidiano dei dati assolutamente falsi. Siamo lì con il bilancino a calcolare tutti gli interventi. Ho una squadra che non sgarra quasi al secondo. La par condicio certo frena. Pensa che frena me che vorrei tanto fare un altro editoriale… Ma non sono proprio quegli editoriali la ragione vera di polemiche e guai? Polemiche le farebbero comunque. Rifarei ogni editoriale che ho firmato. Ce l’hanno con quello che ho detto su Spatuzza e Ciancimino jr? Ho detto che sono pentiti non credibili? Forse ero fra i pochi allora a ritenere questo. Ora hanno capito tutti. E’ una colpa intuire in anticipo? Ho fatto un editoriale sostenendo che era opportuno reintrodurre l’immunità parlamentare. Giù fischi e critiche. Un mese dopo Marcello Maddalena, il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino e altri autorevoli magistrati hanno sostenuto la stessa cosa… Ma continuano a chiedere le tue dimissioni. Sì, personaggi a dire poco ridicoli. Antonio Di Pietro dice che dovrebbero cacciarmi a pedate nel sedere. Era il linguaggio di Benito Mussolini. Detto questo vado volentieri davanti alla commissione di vigilanza o al cda Rai per spiegare le mie idee e difenderle. Non ho paura delle idee. E non vi rinuncio nemmeno se usano atti per intimidirmi. Non mi intimidiscono. Ho le mie idee, e per fortuna le rendo pubbliche. Sono cristallino. Quello che penso lo dico in televisione. Lo dico nelle riunioni di redazioni. E naturalmente anche in una telefonata privata… Non esistono telefonate private. Guarda questa intervista. Esce su Libero. Ma prima finisce in un faldone. Lo scoop lo sta facendo il maresciallo all’ascolto… Dici? Mi hai chiamato sul fisso, attraverso il centralino Rai. E’ intercettato anche questo? Vabbè, cerca di essere più veloce tu a trascriverla…

Carlo De Benedetti si fa uno scudo ad personam e riporta in Italia 143 milioni

Carlo De Benedetti si è fatto un personale scudo fiscale che ha consentito alla fine del dicembre 2009 di riportare in pancia alla sua Cir 143 milioni di euro che venivano dal Lussemburgo. La liquidità è arrivata con le feste natalizie dopo una complessa operazione di riassetto di alcune partecipazioni del gruppo dell’Ingegnere in territori che un tempo facevano parte dei paradisi fiscali: l’isola di Madeira e il Lussemburgo. La prima operazione è partita il 3 novembre scorso proprio a Madeira, dove aveva sede la Cirfund Lda. Quel giorno si è deciso di trasformare la società di diritto portoghese in società di diritto lussemburghese e di trasferirne la sede nel Granducato, dopo avere accantonato a riserva distribuibile all’azionista unico (la Cir International sa) 26,1 milioni di euro. La società che aveva un valore di 144 milioni di euro ha così ricostituito il capitale nella sua nuova veste giuridica e geografica per 118 milioni di euro. Una volta fatta l’operazione, il 21 dicembre scorso la Cirfund sa è stata fusa per incorporazione nella holding lussemburghese dell’ingegnere, la Cir International sa, che ne ha potuto assorbire il patrimonio. Il giorno successivo De Benedetti ha chiuso l’altra lussemburghese del gruppo, Cofide International, messa in liquidazione volontaria per farne assorbire il patrimonio alla Cofide italiana. La terza operazione porta la data del 30 dicembre 2009 ma è stata formalizzata il 27 gennaio, e quindi non è chiaro se l’effetto contabile sarà riverberato nei bilanci 2009 o in quelli del 2010. Riguarda una terza lussemburghese delll’ingegnere, la Ciga Luxembourg sarl di cui azionista unico è la Cir spa italiana. E’ stato prima approvato il bilancio 2009 che ha mostrato un utile di 3,1 milioni di euro. L’utile ha assorbito parzialmente la perdita di 39,2 milioni di euro fatta registrare l’anno precedente e accantonata. A quel punto sono state fatte quattro successive operazioni sul capitale, rima per creare una mini-riserva distribuibile, poi per assorbire la perdita restante attraverso una riduzione del capitale per 36 milioni di euro e infine per portare il nuovo capitale a un milione di euro distribuendo 143 milioni di euro di dividendi all’unico azionista, che è Cir. Un’iniezione di liquidità che certamente ha allietato i conti della finanziaria guidata dal figlio dell’Ingegnere, Rodolfo. Proprio ieri Cir ha approvato in consiglio di amministrazione i conti 2009, che sin sono chiusi con un sorprendente utile netto di 143 milioni di euro superiore proprio nell’anno della crisi del 50% a quello dell’anno precedente. L’operazione lussemburghese però non è stata citata nel comunicato della società che spiega il miglioramento nei conti con “un’ eccedenza finanziaria netta aggregata a 121,6 milioni di euro (44,2 milioni a fine 2008)” e con la ripresa dei mercati azionari e finanziari internazionali. Bisognerà attendere la pubblicazione del bilancio integrale che sarà sottoposto all’assemblea degli azionisti per capire se il segreto di questo boom vada cercato proprio nel rientro dei capitali dal Lussemburgo

E' in Olanda il grande orecchio che intercetta per i pm italiani

Sono tre i gruppi specializzati in intercettazioni telefoniche a cui le procure di Roma e Firenze hanno dato le commesse milionarie per registrare tutti i colloqui della cricca degli appalti e della cricca dei telefoni. Insieme i tre gruppi hanno fatturato nel 2008 oltre 100 milioni di euro, quasi tutti legati alle richieste delle procure italiane. Per seguire Angelo Balducci & c è stato firmato un mandato alla società Area del gruppo Formenti. Per l’inchiesta su Fastweb, Telecom Italia e Gennaro Mokbel sono state due invece le società coinvolte dalla procura di Roma: la Sio di Cantù del gruppo Danting e la Etm di Napoli del gruppo Rcs (nulla a vedere con la Rizzoli). Fra le migliaia di pagine (oltre 200 mila nelle due inchieste) depositate insieme alle due ordinanze di arresto, ci sono anche i mandati ufficiali per le intercettazioni. Non le relative fatture, che sono ritenute riservatissime, anche se in parte quei lavori compaiono fra le righe di bilancio delle singole società. I tre grandi orecchi al servizio delle procure hanno in mano oltre la metà del mercato italiano del settore. Affari in parte coperti da segretezza, in parte anche da qualche mistero. Come nel caso della Sio di Cantù. Appartiene sulla carta al manager che la guida, Elio Cattaneo, che proprio nei primi giorni di gennaio ha proceduto a un riassetto delle partecipazioni delle varie controllate. Ma tutto il gruppo riporta a una misteriosa holding di diritto olandese, la Danting B.V., il cui azionariato non è palese. La holding estera (che sulla carta può appartenere a Cattaneo come ad altri azionisti non dichiarati), probabilmente costituita in origine anche per motivi fiscali, ha infatti la partecipazione di maggioranza della Gsh, altra scatola societaria sotto il cui ombrello ci sono tre società italiane specializzate nel business delle intercettazioni e della security, la Sio, la Sicurezza attiva e la Sicurint, due società collegate (Ctr e Sicurezza attiva) e altre due società straniere, la Sionet societeè anonyme e la Sioska sro. Pur avendo in mano complessivamente quasi 25 milioni di euro di fatturato dal sistema giustizia italiano, e operando in inchieste delicatissime come appunto quella su Fastweb e Telecom Italia, il gruppo Danting non brilla dunque per trasparenza, offrendo qualche dubbio sulla opportunità che le intercettazioni della giustizia italiana siano in qualche modo controllate da una struttura estera. Più lineare la catena di controllo degli altri due gruppi specializzati in intercettazioni coinvolti nelle due inchieste. Fattura circa 35 milioni di euro all’anno in Italia il gruppo Rcs che a parte l’omonima azienda controlla anche la Etm sicurezza srl di Napoli e tre società straniere: la Foretec sa in Francia, la Dars Telecom sl in Spagna e la Telinco llc negli Stati Uniti. La Rcs è società leader di mercato in Italia, anche se ha sofferto come tutti i concorrenti della lentezza dei pagamenti del ministero della Giustizia. Per questo, scrive nel suo bilancio, nel 2008 ha deciso di cedere a società di factoring oltre 31 milioni di euro di crediti pro solvendo “per fare fronte agli ingenti ritardi negli incassi delle fatture per prestazioni di servizi rese nei confronti della Pubblica amministrazione”. Ciònonostante con orgoglio si sottolinea che “è aumentata la presenza di Rcs nelle procure della Repubblica”. E se i pagamenti tardano, basta diversificare l’attività: “la vera novità è costituita dall’attività svolta nel mercato estero. Nell’esercizio in commento si è concretizzata una importante vendita di apparecchiature e servizi connessi al governo vietnamita”. La società che ha seguito la cricca degli appalti e anche le avventure rosa e osèe di alcuni dei suoi protagonisti è l’Area del gruppo Formenti, che fattura circa 32 milioni di euro e che è collegata ad altre due società specializzate: la A&A srl di Varese e la Tsi (tecnologie al servizio delle informazioni) srl di Cuneo. Dei tre è il gruppo più casalingo, con una catena di comando lombarda e poche ambizioni di sbarcare su mercati internazionali: va benissimo restare in casa dei vari magistrati che continuano ad assegnare commesse. Redditizie: nel 2008 a fronte di un fatturato di 31,6 milioni di euro il “risultato operativo è stato di 15,7 milioni di euro, corrispondente al 49,7% del fatturato, su livelli di sicura eccellenza che confermano l’estrema solidità del business in cui la società ha operato”. Anche l’Area si lamenta naturalmente dei ritardi nei pagamenti da parte del sistema giudiziario italiano, imputabili secondo la società a Pierluigi Bersani, che quando faceva il ministro del governo di Romano Prodi ha “posto fine al sistema di anticipi di cassa operati dalle Poste italiane per conto del ministero della Giustizia, Per questo le procure si sono trovate prive delle risorse per fare fronte con regolarità agli impegni assunti”. Si sono accumulati così a inizio 2009 oltre 200 milioni di crediti che hanno rischiato di mandare gambe all’aria molte società del settore. Poi è arrivata la soluzione rateale del ministro Angelino Alfano e soprattutto sono arrivate le nuove commesse delle maxi-inchieste a rasserenare gli animi e a fare quadrare tutti i conti. Due sono ormai sotto gli occhi di tutti, la terza è in corso d’opera (fondi neri di alcune società pubbliche) e non sono ancora noti i nomi delle società di intercettazione coinvolte.

Quando c'è di mezzo un giudice, il Csm manda a quel paese la legge

Con 10 voti a favore, 4 contrari, 5 assenti e 7 astenuti il plenum del Csm ieri ha salvato il giudice Leonardo Bonsignore, presidente del Tribunale di Cagliari, dal trasferimento di ufficio per incompatibilità familiare, riconoscendo in effetti che la legge lo avrebbe imposto, ma si può non rispettare. La decisione ha lasciato qualche ferita interna, sia perché il voto finale ha ribaltato la decisione presa in commissione, sia perché il relatore di maggioranza, Mauro Volpi (votato da Rifondazione), ha fatto un riferimento alle recenti polemiche sulle procedure elettorali spiegando come “in questo periodo che tanto si protesta è bene che la forma prevalga sulla sostanza”. Il caso è molto semplice, e per altro nasce dalla segnalazione del diretto interessato: a Cagliari il giudice Bonsignore presiede il Tribunale, e la sua legittima consorte, Lucia La Corte, presiede il Tribunale per i minorenni. Secondo l’articolo 19 della legge sull’ordinamento giudiziario e le circolari interpretative “sussiste sempre situazione di incompatibilità fra magistrati in rapporto di parentela o affinità sino al terzo grado, coniugio o convivenza, preposti alla dirigenza di uffici giudiziari giudicanti o requirenti della stessa sede. Nel solo caso di Tribunali o Corti organizzati con una pluralità di sezioni per ciascun settore di attività civile e penale, il Consiglio può escludere che ricorra in concreto una situazione di incompatibilità se siano adottati accorgimenti tali da assicurare che i magistrati operino senza alcuna interferenza e senza che si abbia alcuna incidenza negativa sulla funzionalità dell’ufficio”. Ascoltato dal Csm il giudice Bonsignore ha assicurato che con la moglie non poteva esserci alcuna interferenza possibile: lei giudica i minori e lui gli adulti: “né in astratto né in concreto si ravvisa alcuna incompatibilità, stante l’insussistenza di interferenze fra le attività e le funzioni dei due uffici considerate le competenze del tutto separate di detti uffici”. Probabilmente in sostanza il giudice Bonsignore, che a Cagliari sta bene e che comprensibilmente non aveva alcun desiderio di essere allontanato dalla consorte, aveva ragione: lui e la signora avrebbero avuto davvero poche o nulle occasioni per pestarsi i piedi o agire in cartello familiare. Ma la legge consentiva di chiudere occhio solo in occasioni particolari, precisamente elencate. E in quelle non rientrava il caso di Cagliari. Peggio: con una piccola inchiesta, è venuto fuori che per legge il presidente del Tribunale distrettuale ha “dovere di vigilanza nei confronti dei giudici del tribunale dei minorenni”, quindi anche sulla moglie. Bonsignore si è difeso: “è una legge del 1946, totalmente e integralmente disapplicata in tutta Italia. In ogni caso assolutamente mai si sono verificate a Cagliari in concreto interferenze né mai c’è stata esplicazione alcuna del potere di sorveglianza”. Per la commissione del Csm poco contava la buona condotta auto-certificata dal magistrato: la legge è legge, e si deve rispettare, per cui marito e moglie non potevano stare entrambi a Cagliari. Ieri il plenum grazie anche al voto di Nicola Mancino ha graziato invece per buona condotta i due coniugi, decretando che le leggi si possono anche non rispettare

Chi è il giudice Argento. Inflessibile con il Pdl, tenera con gli spinelli

C’è una sentenza che ben prima della sua decisione di escludere la lista Pdl di Roma e provincia dalle prossime elezioni regionali ha dato al giudice Anna Argento il suo quarto d’ora di celebrità. Risale a 10 anni fa, l’11 febbraio 2000, ed è diventata da un lato un punto di riferimento per i radicali antiproibizionisti e dal lato opposto uno scandalo per le comunità anti-droga. Quel giorno infatti il giudice Argento assolse un restauratore di mobili romano pizzicato dalla guardia di Finanza con 8.230 dosi di hashish, prendendo per buona la tesi della difesa: erano per esclusivo uso personale. Il restauratore fu arrestato il 24 gennaio e con processo per direttissima portato davanti al giudice monocratico Anna Argenti. Non è noto se all’epoca nel suo ufficio fosse già presente il ritratto di Che Guevara che tante polemiche ha scatenato in queste ore. E’ nota però la scelta del giudice di sposare integralmente la meravigliosa tesi avanzata dal difensore del restauratore, l’avvocato Francesco Caroleo Grimaldi: le 8.230 dosi di hashish avevano puro scopo terapeutico per lenire i dolori per cure dentali mal riuscite. Nella clamorosa sentenza il giudice Argento scrisse che le condizioni dell’imputato, colpito da “stato di forte depressione dovuta a patologie di tipo odontoiatrico” inducevano a “non ritenere improbabile che lo stesso si fosse approvvigionato di tutta quella quantità di hashish per assicurarsi la possibilità di continuare a trarre sollievo ai dolori che gli procurava la caduta dei denti”. Certo, avere in casa due chili e mezzo di dosi “terapeutiche” poteva sembrare “incompatibile con il solo consumo personale, anche in considerazione del possibile scadimento degli effetti, ma è pur vero che il solo dato quantitativo, in mancanza di sicuri elementi di prova dell’attività di spaccio, non può ritenersi sufficiente, secondo un consolidato orientamento della Cassazione, ad affermare la penale responsabilità dello stesso”. L’imputato fu così assolto e il povero giudice Argento anche all’epoca fu subissato di critiche. Pungenti quelle di Andrea Muccioli, responsabile della comunità di San Patrignano: “Per evitare eccessi di discrezionalità come questo”, disse, “pazzeschi, ma purtroppo all’ordine del giorno, bisognerebbe istituire come negli Stati Uniti i tribunali speciali per i reati legati alle tossicodipendenze che sono composti da magistrati esperti solo in droghe e tecnici del settore”. Non fu quello l’unico episodio per cui il giudice Argento passò all’onore delle cronache. Fu lei ad assolvere il marocchino Nabil Benyahya dalle accuse delle procura di avere assassinato nella notte fra il 19 e il 20 agosto 2004 una turista tedesca a Roma, Vera Heinzl. Il caso fece clamore e se ne occupò a lungo la stampa, con grande sorpresa per quel finale. Sempre la Argento condannò a 400 euro di multa e 1500 euro di risarcimento danni un politico romano, Edmondo Angelè per avere tirato un orecchio al ginecologo Severino Antinori durante una riunione della lista “Per Tajani sindaco”. Un precedente giudiziario quindi in casa Pdl con protagonista lo stesso magistrato. Che in qualche modo aveva già intersecato le vicende di Silvio Berlusconi apparendo come teste il 22 aprile 2002 al processo Imi-Sir. L’Argento fu convocata il 22 aprile 2002 come ex dipendente del ministero di Grazia e Giustizia per testimoniare su una vecchia riunione che si sarebbe dovuta tenere al ministero sulla edilizia carceraria convocando (per toglierselo dai piedi) il presidente del collegio giudicante sulla causa Imi-Sir. La testimonianza della Argento fu essenziale per la pubblica accusa contro Cesare Previti, tanto da essere più volte riportata in sentenza.

La libreria bianca che turba la cricca

Questa telefonata è allegata agli atti della inchiesta sulla cricca degli appalti pubblici. Secondo i giudici dimostrerebbe uno dei casi di regalia degli imprenditori (qui Diego Anemone)ai dirigenti pubblici che gestiscono gli appalti. Il beneficiario è qui Fabio De Santis, a colloquio con la moglie Silvia sull'arrivo di una libreria in regalo che però è bianca e non del colore gradito, noce. "Il pomeriggio del giorno successivo, MONTANARI Rita, attuale socio e amministratore unico della citata TECNOWOOD srl, mentre il marito MONTEROTTI Antonio e amministratore unico della AMP srl, partecipata al 66%; società di produzione di arredi entrambe di fatto riferibili ad ANEMONE Diego e al fratello Daniele come oramai emerso in più conversazioni intercettate, avvisa l’ing. Fabio DE SANTIS che il lunedì successivo(1 dicembre) gli manderà due operai a montare la roba... La mattina di lunedì 1 dicembre, alle ore 10.36, MONTANARI Rita informa Fabio DE SANTIS che gli operai staranno a casa per le 11.30 successive ..." aho! verso le 11.30 stanno là eh? … (…) … okay … meno male … (inc) ... perchè io speravo per le 11.00 ma stanno andando via adesso ..." DE SANTIS assicura che ha già avvisato a casa ... "grande, grande Rita ... sì … sì sono tutti avvertiti a casa! … (…) Alle ore 11.41 FAUSTI Silvia si lamenta con il marito Fabio DE SANTIS che la libreria che hanno portato a casa è bianca quando invece doveva essere colore noce ... "Fabio ... ma la libreria bianca l'hanno fatta?" Anche DE SANTIS manifesta disappunto per l’inconveniente "no ... doveva essere… mannaggia la miseria !!" La moglie rimprovera al marito per l’errore del colore. La sera DE SANTIS Fabio chiede140 alla moglie come sta procedendo il montaggio dei mobili (ore 18.53.50) "... ahò! …(…) … ma il mobile lo hanno fatto in camera tua?" Silvia ribatte che per oggi hanno montanto solo la libreria, rimarcando ancora una volta che il colore bianco non le piace "la libreria è bellissima ... certo bianca ... ma insomma... non è la morte sua, come dicono a Roma… comunque... vedi un po' tu … giudica..." Silvia sembra che però si sia fatta una ragione per il colore sbagliato, ammettendo che, dopo tutto, si tratta di mobili non pagati e quindi bisogna accontentarsi ... "no soprattutto mi fa incavolare... l'unica cosa ... capisco a caval donato non si guarda in bocca ... è sempre ...però dico che cazzo! ... però la sedia me la potevano scurire ..."

Ma guarda te chi c'è dietro l'inchiesta su Telecom e Fastweb: il grande fratello di Di Pietro. Il solito Genchi...

Tutti i tabulati e i tracciati di traffico telefonico, per un totale di almeno 700 mila files, dell’inchiesta su Fastweb e Telecom Italia Sparkle, sono finiti nelle mani del superconsulente delle procure, Gioacchino Genchi. Sì, proprio il poliziotto più volte sospeso dall’incarico per le polemiche nate sulla sua attività professionale privata, che ora si è messo al riparo sotto l’ombrello politico di Antonio Di Pietro intervenendo al congresso dell’Italia dei Valori e suscitando un mare di polemiche per avere sostenuto che Silvio Berlusconi si era inventato il tiro della statutetta del Duomo prima di Natale. Nonostante le perplessità già emerse con il ruolo di Genchi nelle inchieste di Luigi De Magistris, la procura di Roma ha deciso di ricorrere ancora una volta al superconsulente proprio per la sua inchiesta probabilmente più delicata. A chiamare Genchi in campo è stato il sostituto procuratore Giovanni Di Leo. A Genchi sono stati via via affidati i documenti informatici sequestrati dalla procura in case e uffici degli indagati. Nelle sue mani sono finitib alcuni computer e floppy disk sequestrati a Telecom Italia Sparkle, fra cui quattro con la dicitura “Informazioni Telecom Italia riservate”. Sempre a Genchi sono finiti quattron pacchi di materiale e documentazione sequestrati sia presso Telecom che presso Fastweb, fra cui tutto il materiale informatico acquisito in ufficio e nella abitazione di Bruno Zito, uno dei dirigenti Fastweb coinvolti nell’inchiesta. Con successivo atto la procura di Roma ha affidato sempre a Genchi l’analisi del traffico telefonico di tutte le utenze intestate a protagonisti dell’inchiesta, iniziando da quelle di Carlo Focarelli e focalizzandosi in particolare su quelle di due dirigenti di Fastweb, il già citato Zito e Giuseppe Crudele. Genchi ha tracciato anche tutta la mappatura del traffico telefonico originato dalle utenze di Francesco Micheli, che non risulta a dire il vero fra i destinatari di provvedimenti finali dell’inchiesta. Parte del traffico telefonico del finanziere musicofilo è comunque negli allegati provvisto dalla classica mappatura di Genchi. Il poliziotto che in privato (essendo in aspettativa) fa il consulente delle procure ha messo sotto anche tutti i gestori telefonici, facendo spesso la voce grossa. Agli atti sono depositate infatti numerose lettere di Genchi a Tim, Vodafone e H3g, con la minaccia di bloccare i pagamenti loro dovuti dalla procura in caso di scarsa collaborazione ricevuta

Se sbaglia il Pdl, si punisca il Pdl. Non i suoi elettori

Che sia per i pasticci dei polli del Pdl o per quelle volpi dei magistrati che una ne pensano e cento ne trovano, alla fine i soli ad essere puniti saranno gli elettori. Dopo la decisione del Tar del Lazio di non ammettere il simbolo del Pdl non avranno infatti diritto di scelta le centinaia di migliaia di cittadini simpatizzanti per il Pdl nella provincia di Roma. Di più: siccome il merito del ricorso verrà discusso a maggio, dopo avere votato, c’è anche il fondato rischio che il voto delle Regionali venga successivamente invalidato. E’ già accaduto in tempi recenti a Messina per molto meno: una lite sull’eredità del simbolo ex Psi fra Bobo Craxi e Gianni De Michelis. Così alla beffa iniziale per gli elettori Pdl potrebbe aggiungtersi la beffa bis per tutti: sostenere con le proprie tasche i costi di due elezioni invece di una. Ieri sera l’unica cosa certa era che il contestato decreto interpretativo varato dal governo venerdì scorso a nulla è servito. I listini di Roberto Formigoni in Lombardia e di Renata Polverini nel Lazio sono stati ammessi alla competizione elettorale a prescindere. Il Tar del Lazio di quel decreto se n’è semplicemente fatto un baffo. Non avevano tutti i torti quindi Giorgio Napolitano, e il suo predecessore Oscar Luigi Scalfaro a sostenere che non il Pdl bisognava salvare, ma il diritto costituzionale di scelta dei suoi elettori, che oggi sono maggioranza nel paese e anche nelle due regioni, Lazio e Lombardia, dove si è verificato il braccio di ferro sull’ammissione delle liste. Lo spirito della Costituzione e delle leggi elettorali non può essere quello di punire gli elettori. Semmai sono loro che possono punire i partiti negando il loro voto. Bisognerebbe dunque trovare nelle norme elettorali la soluzione opposta a quella che emerge da questa vicenda: punire i partiti che commettano leggerezze ed errori e non gli elettori, che colpe non possono avere. Una sanzione proporzionata a un caso come quello di Roma, in cui il presentatore di lista arriva all’appuntamento in colpevole ritardo, potrebbe essere quella della decadenza dal diritto del rimborso elettorale per quella lista. Non è piccola punizione: per il Pdl del Lazio significherebbe dire addio a circa 11 milioni di euro in cinque anni, stando ai sondaggi della vigilia. Questo tipo di sanzione colpirebbe davvero i polli e non gli elettori (che anzi risparmierebbero qualcosa, visto che quei rimborsi vengono finanziati con le loro tasse). Poi ciascun partito se la vedrebbe con i responsabili delle negligenze da cui pretendere ristoro per il danno subito. Una soluzione simile offrirebbe giustizia e non soppressione di diritti costituzionali come sta avvenendo. L’applicazione alla lettere della forma delle attuali regole elettorali non ha nulla a che vedere con la vera giustizia. Tanto più che le regole non sono uguali per tutti in tutta Italia. Ad esempio scalda tanto gli animi il decreto interpretativo del governo che non ha modificato nulla della legge (tanto che a nulla è servito), ma il Pd è stato zitto e ben felice davanti alla scelta della Regione Umbria di cambiare le regole del gioco elettorale con una nuova legge del gennaio 2010, che ha modificato tempi e modi di presentazione delle liste esentando dalla raccolta firme tutti i partiti che potevano contare su un gruppo consiliare già costituito. Sappiamo quanto sianmo generose le assemblee legislative nel concedere deroghe alla composizione dei gruppi: così nel Parlamento si è già fatto un regalino non da poco ad Antonio Di Pietro. In Umbria il gioco è servito a tenere fuori dalla porta i radicali, che lì davano fastidio. Un sopruso passato in cavalleria. Si riempono tutti la bocca di prediche sul rispetto delle regole, ma appena le regole mettono a rischio la loro pagnotta, possono finire tranquillamente sotto i piedi. E’ quella pagnotta che deve essere pena del contrappasso. Ma la tolgano ai partiti, non ai cittadini.

Bertolaso? La cricca ne aveva terrore

Guido Bertolaso era temutissimo dagli appartenenti alla cricca degli appalti. Un po' preoccupati per come avevano fatto lievitare il costo degli appalti legati al G8 della Maddalena. Questa telefonata è del 4 settembre 2008, al telefono ci sono Fabio De Santis, numero due di Angelo Balducci e un ingegnere, Susanna Gara, dipendente del Ministero delle Infrastrutture. Oggetto del colloquio proprio il lievitare dei costi G8 e il timore per la reazione di Bertolaso Ecco come l'ordinanza sulla cricca racconta questa telefonata:
"La mattina del 4 settembre l’ing. Susanna GARA, dipendente del Ministero delle
Infrastrutture, che fa anch’essa parte della Struttura di Missione che coordina i lavori alla Maddalena, con tono preoccupato, informa126 l’ing. DE SANTIS che nella predisposizione del progetto definivo per la realizzazione del main conference affidati all’impresa ANEMONE, è prevista una maggiorazione della spesa di minino 28 milioni di euro ... per quanto riguarda invece ANEMONE ... il Main Conference ... (…) … lì loro stanno per produrre un definitivo che è in aumento di qualcosa tipo il 50 % ... senza fare ... (…) … da 32 di lavori tranne le maggiorazioni eccetera ... stanno per arrivare a quasi 50 ... (…) … più le maggiorazioni ... (…) … a tutte quelle cose speciali che sono state richieste per realizzare l'involucro della ... della cosa ... del Main Conference e via discorrendo ... DE SANTIS è preoccupato per la reazione che può avere BERTOLASO se gli prospetta esigenza di dover incrementare la spesa complessiva di 100 milioni di euro ... quella bisogna che facciamo una riunioncina a Roma con Mauro e con tutti quanti perchè bisogna ... (…) … eh, perchè bisogna prospettarla …(…) … a BERTOLASO perchè sennò ci si incula quello ... cioè gli mandiamo un conto che sarà 100 milioni di euro in più ... (…) … eh ... (ride) ... cioè mi fa i peli ...

Girandola di telefonate per pagare le vacanze lusso al segretario generale di Romano Prodi

Vorticoso giro di telefonate fra il 28 aprile e il 2 maggio 2008 fra imprenditori e dirigenti pubblici della cricca degli appalti per pagare ponti, week end e vacanze estive all'allora segretario generale di palazzo Chigi, Carlo Malinconico, ancora in carica negli ultimi giorni del governo di Romano Prodi. Il favore per lui è chiesto dal capo della cricca, l'ingegnere Angelo Balducci, signore dei lavori pubblici in Italia. Si attiva subito Diego Anemone, imprenditore di fiducia, che chiama Francesco Piscicelli, che ben conosce l'hotel agognato da Malinconico, Il Pellicano di Porto Santo Stefano all'Argentario. Così girandola di contatti con Roberto Sciò, direttore dell'Hotel, prenotato e pagato il ponte del primo maggio, qualche week end successivo e il meritato riposo ad agosto. Malinconico educatamente ringrazia Balducci in una telefonata che è un capolavoro di mozziconi di parole e allusioni.

Ecco la telefonata degli sciacalli

Ecco la famosa telefonata degli sciacalli, quella del 6 aprile, il mattino del terremoto in Abruzzo, fra un imprenditore, Francesco Maria Piscicelli De Vito e suo cognato, Pierfrancesco Gagliardi. Quando è stata pubblicata sui giornali Piscicelli ha scaricato la colpa sul cognato, sostenendo che c’era un errore nell’ordinanza. E invece è lui a pronunciare la frase più sgradevole, gradita però dal cognato che ha fatto capire che alle 3 e mezzo anche lui se la rideva dentro il letto… Così è raccontata la telefonata nel decimo faldone allegato all’ordinanza sulla cricca degli appalti. “Alle ore 03.30 circa del 6 aprile 2009, l’Abruzzo è stato sconvolto da un terremoto che ha causato quasi 300 vittime e distrutto numerosi edifici sia pubblici che privati. Sono state intercettate numerose conversazioni da cui si rileva che alcuni soggetti interessati nella presente indagine, sia imprenditori che non, si sono subito attivati per inserirsi nel lucroso affare della ricostruzione. Già nel primo pomeriggio del 6 aprile GAGLIARDI Pierfrancesco esorta il cognato PISCICELLI a prendere contatti con i suoi referenti presso gli uffici di via della Ferratella per approfittare dell’emergenza terremoto per partire rapidamente con dei lavori ... oh ma alla Ferratella occupati di 'sta roba del terremoto perchè qui bisogna partire in quarta subito ... non è che c'è un terremoto al giorno …(…) … così per dire per carità... poveracci PISCICELLI, cinicamente, ribatte che è la prima cosa a cui ha pensato appena percepita la scossa alle 3 e mezzo del mattino ... eh certo ... io ridevo stamattina alle 3 e mezzo dentro al letto …”

Balducci, Bertolaso e Soru distratto dalla campagna elettorale

Visto che le intercettazioni della inchiesta sulla cricca degli appalti sono ormai pubbliche e pubblicate, è un servizio a lettori e perfino agli stessi protagonisti fare ascoltare l'audio originale di quelle telefonate per capirne toni, accenti e sfumature. Questa è la telefonata fra Guido Bertolaso e Angelo Balducci del 14 gennaio 2009, più volte pubblicata in questi giorni. Tutte le telefonate chiave dell'inchiesta sono disponibili sul sito del quotidiano Libero a www.libero-news.it "Il pomeriggio del 14 gennaio il dr.BERTOLASO chiede390 a BALDUCCI di intervenire nei confronti della dottoressa Maria Pia FORLEO che sta in qualche modo rallentando l’indizione delle gare per l’affidamento della successiva gestione delle opere che si stanno realizzando alla Maddalena per il vertice G8, quando ci sarebbe da approfittare del periodo di campagna elettorale in Sardegna per poter lanciare in bandi di gara ... dovresti parlare un attimo con la dottoressa FORLEO … (…) … allora lei continua a fare tutta una serie di domande per riuscire a chiudere questi benedetti bandi di gara ... lì per la gestione …(…) … che non hanno luogo di essere poste ... come questioni perchè ... a mio giudizio ... non spetta a lei decidere se noi dobbiamo fare una sola gara per i 2 alberghi e per l'Arsenale ... oppure dobbiamo fare 3 gare ... 2 gare ... e quello che sia...questo purtroppo è compito del sottoscritto quindi ... se lei si vede con i nostri e definisce ... io ho bisogno di avere questo benedetto bando nelle prossime ore ... perchè se no poi non ce la faccio più …(…) … che non si ponesse problemi ... lei non deve parlare con la Regione ... coi ... non deve parlare con nessuno ... lei mi deve dare ...(…) …tecnico ... poi la durata del contratto ... la modalità di contratto eh ... questa ... la decido io …(…) …perchè ... è ovvio che io lo voglio sfruttare questi giorni … (…) … di campagna elettorale ... dove SORU pensa ad altre cose e nessuno eh! ... per chiudere un qualche cosa che altrimenti se ci mettiamo a fare la concertazione ... fra 2 anni stiamo ancora a discutere del bando di gara …(…) … hai capito? ... quindi dille per cortesia ... tanto lei so che ha già fatto il 99,9 per cento del lavoro ... se lei me lo chiude e me lo fa avere a me poi noi lo lanciamo subito e lei non si preoccupasse ... va bene?"

Che vuoi fare con questa inchiesta? Berluscopoli o Veltronopoli? Con 20 mila pagine tutto è possibile

Non è Tangentopoli, è il ritratto di un paese intero attraverso il filo del telefono (o meglio le cellule del telefonino). E’ tutto e il suo contrario il contenuto di quelle 22 mila pagine degli allegati all’ordinanza del tribunale di Firenze sulla cricca degli appalti pubblici. Dipende da chi le legge e da come si possono leggere. Dipende- è inutile nascondercelo- soprattutto da chi le vuole usare e contro chi le si voglia usare. Certo, per due anni quelle intercettazioni (ed è un caso raro in Italia) sono restate esclusivamente nelle mani di che le stava effettuando: i Ros dei carabinieri e- certo- anche i magistrati che le avevano ordinate. Non è uscito uno spillo. Al momento del deposito dell’ordinanza però sono deflagrate in tutta la loro potenza. Si può usare “Massaggiopoli”- come si è fatto, per colpire Guido Bertolaso (altro non c’è in quelle carte). Si può usare “Escortopoli” per puntare diritto a un gruppo di funzionari pubblici pedinati e intercettati – questo è certo- mentre si dirigono in stanze di albergo per farsi coccolare da casalinghe vogliose di arrotondare lo stipendio o da professioniste vere e proprie, anche se raccattate per strada davanti a una gelateria di Treviso (come è accaduto). Si può puntare a Gianni Letta, perché il suo nome è evocato nelle intercettazioni (ma lui mai intercettato). Si può unire tutto- come è stato fatto- per mettere nel mirino Silvio Berlusconi il cui nome a dire il vero appare assai poco nei brogliacci, ma che insomma alla fine sta sopra tutti e quindi di qualcosa dovrà pure essere colpevole. Ma con la stessa materia si può fare l’esatto contrario. Si può imbastire “Veltronopoli” e “Rutellopoli”, come Libero ha dimostrato, visto che i nomi di Walter Veltroni e Francesco Rutelli sono stati più volte tirati in ballo dalle intercettazioni come sponsor di imprese che alla fine hanno vinto i due più grandi appalti per le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Si può utilizzare quel materiale anche per gettare ombre non proprio piccole su Antonio Di Pietro. Era lui ministro delle Infrastrutture a controllare Angelo Balducci e la sua squadra. Per questo nel novembre 2007 Di Pietro fu chiamato a incontrare 50 imprenditori dell’Ance che si lamentavano dell’andazzo. Si alzò un marchigiano e disse di sapere prima ancora del varo dei bandi di gara quale sarebbero state le prime otto imprese a vincere gli appalti per i 150 anni dell’unità di Italia. Le elencò e le azzeccò tutte. E Di Pietro? Il massimo che riuscì a rispondere fu “io non posso farci nulla. Ho le mani legate”. Si potrebbe imbastire un filone di inchiesta sui magistrati: c’è materiale, e anche sostanza, sui comportamenti tenuti dal giudice della Corte Costituzionale, Giuseppe Tesauro, socio di una immobiliare che speculava in Gallura (e nel cui capitale figurano esponenti coinvolti in inchieste sulla criminalità organizzata). Ci sono due autorevoli consiglieri della Corte dei Conti che brigano, prendono appalti e fanno attività del tutto incompatibile con il loro mandato. Si può imbastire un processo all’Università di Roma, per le raccomandazioni ottenute per passare gli esami e perfino per cambiare le classifiche di ammissione a facoltà con numero chiuso. Si può imbastire anche una commedia di quelle he sarebbero piaciute a Totò, qualcosa di vicino a Totò-truffa, perché ci sono pagine e pagine di intercettazioni truffaldine, dove è chiaro il millantato credito e perfino espresso. Magistrali le telefonate in proposito fra la coppia più messa all’indice in questa inchiesta: l’imprenditore Piscicelli e suo cognato Gagliardi (che festeggiano alle 3 di notte il terremoto de L’Aquila perché portarà lavori che in realtà poi non porta a loro). Prendono in giro un consigliere della Corte dei Conti, Antonello Colosimo, (che probabilmente prende in giro a sua volta loro vantando un canale privilegiato con Corrado Passera), assicurando di avere avuto un incontro (mai avvenuto) con Marco Bassetti per fargli avere una consulenza con Endemol. Si potrebbe usare quel materiale per costruire una “Vaticanopoli”: ci sono monsignori che chiedono raccomandazioni, c’è un commercialista che si intrufola negli appalti sostenendo di essere un alto esponente dello Ior. C’è di tutto davvero. Persino in una delle imprese chiave: la Btp. All’inizio dell’inchiesta al suo vertice c’è Vincenzo Di Nardo, che dichiara di votare Pd ed è vicino agli assessori Pd di Firenze. Poi arriva Riccardo Fusi, che vota Pdl ed è amico di Denis Verdini. Come si fa l’inchiesta per quegli appalti? Contro il Pd o contro il Pdl… C’è solo l’imbarazzo della scelta.

Ha ragione Letta: gli sciacalli non hanno vinto appalti a L'Aquila

Nessuna delle imprese- “sciacallo” i cui imprenditori sono stati intercettati dalla procura di Firenze nell’inchiesta sulla cricca degli appalti pubblici ha vinto una sola gara post- terremoto nella provincia de L’Aquila. Non ha quindi mentito Gianni Letta, e non ha invece alcun fondamento la caccia grossa al sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri scatenata da Repubblica e da autorevoli esponenti dell’opposizione. Non ci sono quelle, ma ci sono invece entrambe le società che secondo le intercettazioni sarebbero state già aiutate da Walter Veltroni a vincere i due appalti principali per le celebrazioni dell’Unità di Italia: quello di Firenze e quello di Venezia. Sono pubbliche dal primo giorno, e non segrete, le commesse date alle imprese di ogni tipo per i lavori post-terremoto. Gli elenchi sono sostanzialmente tre, in continuo aggiornamento, consultabili da qualsiasi cittadino sui siti della Regione Abruzzo, del comune de L’Aquila e della protezione civile. Il primo elenco contiene lavori in emergenza e tutti i nomi delle ditte impegnate nelle opere di puntellamento degli edifici lesionati e di demolizione di quelli che non si possono tenere più in piedi. Per ogni casella è indicato il nome della ditta, la città o il paese dove vengono eseguiti i lavori e perfino via e numero civico interessati. In questo elenco (11 pagine) non ci sono importi pre-stabiliti, perché ogni lavoro non è quantificabile prima del suo compimento. Non figura nessuna ditta riportabile agli imprenditori “sciacalli”, ma c’è la romana Sac (associata a un’impresa abruzzese) cui sono dedicate pagine e pagine di intercettazioni: si tratta della stessa ditta che ha vinto l’appalto per il teatro della musica di Firenze e che secondo gli intercettati sarebbe stata sponsorizzata dal sindaco di Roma, Walter Veltroni. C’è poi un secondo elenco (7 pagine fitte fitte), associato al prospetto C.a.s.e., che comprende 97 ditte, i lavori assegnati, gli importi a base d’asta, le variazioni, i ribassi offerti e il valore definitivo di ciascuna commessa. Anche qui assenza totale degli sciacalli intercettati. C’è però- insieme a numerose altre ditte venete, la Sacaim spa della famiglia Alessandri. Anche questa ditta era già emersa nelle intercettazioni per avere vinto l’appalto del nuovo palazzo del cinema di Venezia come ditta del cuore di Veltroni. A L’Aquila ha ottenuto un piccolo lotto di lavori per 4,8 milioni di euro, per la realizzazione di piastre in cemento armato. Nello stesso elenco figura anche un colosso della Lega coop, come Manutencoop, che si è assicurata il servizio di facility management per 9,6 milioni. Sempre Lega cooperative ha ottenuto con il Consorzio Etruria coop uno dei lotti principali per la progettazione e realizzazione degli edifici residenziali: 13,7 milioni di euro. Ma ci sono tutte le imprese più note del settore, e l’appalto più rilevante (54,8 milioni) l’ha vinto un consorzio fra Giuseppe Maltauro spa e Taddei spa. Il terzo elenco ne raggruppa in realtà altri due sotto le sigle Map (Moduli abitativi provvisori rimovibili) e Musp (Moduli uso scolastico provvisorio), e racchiude 76 ditte che in qualche caso vincono più di un appalto. Anche qui nessuna ditta in qualche modo riportabile a quella degli sciacalli di cui Letta aveva negato (giustamente) ogni tipo di presenza. D’altra parte quelli definiti sciacalli erano due imprenditori, legati da rapporto di parentela: Francesco Maria De Vito Piscicelli e suo cognato Piefrancesco Gagliardi. Quest’ultimo è il proprietario del gruppo Gialor che controlla a sua volta la Avalon srl, la Soave srl, la Per non dormire srl e a cui sono collegate anche la Gamas srl, la Magazzini generali srl, la Casello srl, la W3 srl, la Paradiso srl, la santa letizia srl e la Case nel verde srl. Nessuna di queste imprese è mai sbarcata a L’Aquila e dintorni. Quanto a Piscicelli, imprenditore non lo può più essere: sono fallite le due imprese di sua proprietà, la Edil costruzioni generali (1996) e la casa di tutti srl (2004). Oggi Piscicelli è solo il direttore tecnico della Opere pubbliche e ambiente spa, con sede a Roma in via Margutta 3. Il 90 per cento del capitale figura in mano alla legittima consorte, Rossella Troise: Ma al di là delle quote azionarie, anche questa azienda non figura negli elenchi post-terremoto abruzzese. Per altro l’unico segnale da parte del governo ai Piscicelli è arrivato il 10 febbraio scorso proprio alla Troise: una cartella esattoriale per 7.168,42 euro spedita da Equitalia gerit a nome del fisco italiano. Per altro ieri confondendo un po’ le acque, Repubblica confondeva questi unici sciacalli doc con una serie di altri imprenditori intercettati mentre brigavano per ottenere gli appalti a L’Aquila. Non erano gli sciacalli: ma i soci del supergiudice della Corte Costituzionale, Giuseppe Tesauro.

Berlusconi felice per l'aria pulita dei carabinieri. Ma quando esce un cavallo dispettoso...

Certo, erano poche parole e solo alle ultime righe. Eppure ha fatto una certa impressione ieri nell’articolo di fondo di prima pagina del Corriere della Sera leggere a firma di Francesco Giavazzi: “Silvio Berlusconi- che queste cose le capisce al volo e nutre anche un sano scetticismo verso la vanità di Bruxelles- ha chiesto che la gestione delle crisi nel Sud dell’Europa venga delegata al Fondo monetario internazionale (…) Berlusconi deve insistere: il suo intervento potrebbe essere cruciale per salvare l’euro”. Fa una certa impressione e soprattutto l’ha fatta al diretto protagonista. “Uh, non capita tutti i giorni”, ha sorriso ieri mattina il presidente del Consiglio al cronista di Libero sorseggiando una flute di spumante al termine della cerimonia inaugurale dell’Anno accademico della scuola ufficiale carabinieri. E chissà se nel calice levato in aria con il comandante dell’Arma Leonardo Gallitelli c’era anche qualche bollicina per quel ritratto inatteso da salvatore dell’euro. Certo non è sfuggito al premier: “Mi fa piacere che il prof. Giavazzi abbia notato lo sforzo fatto dall’Italia durante il vertice europeo informale dell’11 febbraio. L’intervento del Fondo monetario però non è più una ipotesi caldeggiata solo da pesi extra Ue come la Gran Bretagna, ma una realtà visto che partiremo tutti dalla due diligence che il Fmi farà sulla situazione reale dei conti greci”. Salvatore dell’euro. Con il timbro di Giavazzi, il bocconiano che firma anche quella Voce.info insieme a Tito Boeri, uno che può non attende un secondo a infilare un dito nell’occhio del Cavaliere. Ecco perché ieri mattina gongolava Berlusconi al contrario di quel che appariva sulle agenzie di stampa che stavano mettendo in rete una sua stizza per le inchieste giudiziarie. Mai visto negli ultimi anni un Cavaliere tanto allegro. Visibilmente orgoglioso di questa gigantografia fattagli dalla prima firma economica del Corriere e felice anche lì in mezzo agli alti comandi dei carabinieri che lo coccolavano e ringraziavano per la vicinanza del governo all’Arma. Per cogliere la reazione di Berlusconi all’incitamento di Giavazzi è stato necessario strapparlo oltre che alle tartine dell’aperitivo all’affetto di un assai anziano pluridecorato che il premier stava blandendo: “e chi lo avrebbe detto, eh, venti anni fa che noi due ci saremmo mantenuti così in forma?”. E via con un ritornello sempre verde: “ma lo sa che io alle 7 del mattino sono già al lavoro e prima delle due di notte non riesco mai a staccare? Eppure, vede come ci manteniamo giovani?”. Ad occhio il suo interlocutore avrà avuto una ventina di anni più del premier, e sprizzava felicità da tutti i pori. Si era diffusa nelle ore precedenti la vocina maliziosa che Berlusconi avrebbe dato buca ai carabinieri, un po’ irritato per quelle 22 mila pagine di intercettazioni dell’inchiesta “Bertolaso” realizzate dai Ros, ma tutto è stato smentito prima dai suoi collaboratori (“nessun malanimo. Anzi, finchè i faldoni sono stati in mano ai Ros non è sfuggito uno spillo”), poi dai fatti (il premier ieri era lì presente) e infine dall’allegria manifestata palesemente ieri dal Cavaliere. In prima fila durante la cerimonia quando raramente ha staccato gli occhi dall’unico allievo ufficiale-donna presente sul palco (visione che obiettivamente ingentiliva l’ambiente). Poi nella saletta riservata dove si è sottoposto alla consegna ufficiale dello stemma dell’arma insieme a Ignazio La Russa, a venti minuti buoni di incontro a quattr’occhi con il Cocer degli ufficiali carabinieri, e infine- spariti gran parte dei notabili che l’avevano accompagnato, al rito aperitivo-baci-abbracci con chiunque gli si avvicinasse. “Vuoi un appuntamento? Ma certo. Ma come, non ti ricevono? Prendi il numero riservato di Marinella…”. Flute in mano pronto a fendere la folla alla sola visione di Renata Polverini: “Renaataa…!”, baci e un appuntamento per le ore successive. Uscita lei, rivolto al pubblico un po’ con stellette, un po’ no: “Ah… questa campagna elettorale! Ma sapete quanti appuntamenti avevo ieri? Ventisette!”. Ma con una giornata 7 del mattino-2 di notte anche quelli si smaltiscono. Sono andati via tutti. Berlusconi si fa accompagnare alla porta dai generali. Subito fuori dall’uscio lo attendono i carabinieri a cavallo per la rassegna musicale e i saluti formali. I cavalli sono lì da un po’, e quando a loro scappa, scappa… Berlusconi saluta due generali sorridente: “Sto bene quando vengo qui da voi, perché trovo aria pulita…”. Sorride e il sorriso si trasforma in smorfia, ma poi gli viene proprio da ridere. Perché sull’uscio ai cavalli è proprio scappata! L’aria sarà pulita, ma irrespirabile. Non importa, è stata una grande mattinata per l’eroe dell’euro.

Il doppio gioco di Renzi, il Pd che spiana la strada al manager della cricca

C’è anche il volto nuovo del Pd a Firenze, il sindaco Matteo Renzi, nell’ultimo filone di inchiesta della procura di Firenze sui grandi appalti. Secondo la documentazione raccolta nel faldone numero 7 allegato all’ordinanza di custodia cautelare in carcere di 4 esponenti della cricca degli appalti pubblici, uno dei più importanti imprenditori intercettati, Riccardo Fusi della Btp, godeva di un canale privilegiato per orientare il piano regolatore di Firenze. Glielo aveva trovato un suo collaboratore, Lorenzo Nencini (figlio di Mario, imprenditore) che era riuscito ad agganciare un collaboratore del sindaco, Marco Carrai e ottenere nel piano urbanistico il via libera alle due sole aree di interesse Btp: quella del Panificio militare e quella della Manifattura Tabacchi. La rivelazione delle intercettazioni è in qualche modo clamorosa, perché pubblicamente Renzi invece aveva giocato il ruolo di avversario di Fusi-Btp per avere bloccato il suo progetto di tranvia con tanto di fermata in piazza Duomo. Ma le intercettazioni raccontano come in realtà all’imprenditore, già coperto dal risarcimento sulla revoca di quell’appalto, della tranvia non importasse nulla, e l’interesse fosse proprio in quel che in anticipo aveva ottenuto dalla giunta Renzi. Così la raccontano i Ros: “La sera del 21 settembre Mario Nencini accenna a Riccardo FUSI che il figlio Lorenzo ha parlato con l’imprenditore Marco Carrai, indicato quale ‘braccio Destro’ del sindaco Matteo Renzi, e di aver avuto, come anticipazioni, le linee guida del nuovo sindaco in materia urbanistica”. Il Nencini conferma che “ha ricevuto notizie positive sia per il Panificio Militare che per Manifattura Tabacchi” e aggiunge: “Prioritari sono non un metro cubo in più nella città ... e sarà solo valutato il Panificio e la Manifattura Tabacchi”. Fusi rivela di avere già avuto la stessa anticipazione da una sua fonte, Andrea Bacci e che- aggiungono i carabinieri- “il sindaco sbloccherà tutto quello che interessa loro direttamente”. Nencini prova a dare però anche la notizia che ritiene cattiva: “il sindaco vuole ridimensionare la realizzazione della tramvia ... te avevi la tramvia su piazza del Duomo tua? Ed ora se non la fanno più?” Annotano i carabineri: “ Fusi non sembra preoccuparsi di questa evenienza nella considerazione che ha già un contratto firmato in mano”. E allegano l’intercettazione ridanciana dello stesso Fusi: ‘Mario... (ride)... bene... se non la fanno più mi daranno i soldi ... mi daranno ... oh Mario ... (ride) ... se la vita è così non c'è mica problemi... secondo te, c'ho un contratto firmato dal 2003 e te poi ti svegli la mattina e tu mi dici che non me lo fai più, secondo te io che fo? ... (…) loro possono dire quello che vogliono ... ma te mi insegni che quando ho un contratto d'appalto firmato se non me lo fai fare tu mi paghi... e per spostarlo devo essere d'accordo io su quanto tu mi dai di differenza... (…) … o Mariolino ... via ... è tutto positivo!”.

Se non eri con Veltroni, fino al 2008 potevi sognarti l'appalto

Dopo quella fiorentina spunta una pista veneziana nel settore grandi appalti della cricca dei lavori pubblici guidata da Angelo calducci e Fabio De Santis che porta diritto al cuore del Pd. A finire sotto la lente dei magistrati dei Ros e degli inquirenti fiorentini che indagano sulle commesse dei grandi eventi c’è, oltre all’appalto del teatro della musica di Firenze, anche quello per il palazzo del cinema di Venezia. A vincerlo fu un gruppo veneto, la Sacaim della famiglia Alessandri che più volte appare nei faldoni dell’inchiesta. Una vittoria che fu – come capita- contestata dagli altri concorrenti perché all’apertura delle busta fu assegnato un punteggio assai modesto al ribasso offerto dai concorrenti, e così a vincere fu in realtà una delle imprese che aveva proposto il costo più alto di realizzazione. Ad essere contestata dagli esclusi da uno degli appalti più golosi delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità di Italia (70 milioni di euro, secondo solo a quello fiorentino) è stata sia la composizione della commissione aggiudicatrice sia la formazione delle squadre di progettisti, architetti e strutturisti dietro le singole offerte. Perché a vincere e fare vincere sarebbe stato un pool di professionisti romani molto legati alla amministrazione capitolina durante all’epoca di Walter Veltroni e in qualche caso anche in quella precedente di Francesco Rutelli. Per altro quest’ultimo al momento dell’assegnazione degli appalti di Firenze e di Venezia era vicepresidente del Consiglio dei ministri alla guida della struttura di missione per il 150° dell’Unità di Italia. Nelle mani degli inquirenti ci sono decine e decine di intercettazioni in cui i protagonisti, imprenditori, architetti e ingegneri, ritengono che i due appalti di Firenze e Venezia siano stati pilotati proprio dal tandem “Veltroni-Rutelli”, e proprio questa ipotesi investigativa è al centro di uno dei principali filoni di inchiesta (ci sono tre faldoni dei 20 dedicati agli appalti nell’era Pd, per oltre 3 mila pagine di intercettazioni). Per il filone Firenze per altro la pista investigativa segue anche le tracce di un colloquio fra Veltroni e il sindaco Pd dell’epoca, Leonardo Dominici, che doveva servire ad orientare la commissione. Il colloquio è citato da numerosi intercettati che dicono di averne avuto conferma anche da un assessore Pd allora in carica. Pizzicato poi al telefono Alberto Levi, consulente di uno degli imprenditori in gara, mentre si sfogava con una dirigente del comune di Firenze: “comunque è una roba da pazzi ... (…) ma era tutta pilotata ... (…) … tutta una grande pilotata ... hanno dato 55 ... a quelli che dovevano vincere perchè in qualche modo... son tutti i progettisti di Veltroni e Rutelli ... son passati ... a Venezia ha vinto la Sacaim con un progettista romano, va bene ? …è un veltroniano puro...va bene ? loro hanno vinto con ... perchè li hanno blindati !... cioè, quelli che dovevano vincere sono stati blindati”. I carabinieri annotano: “l’interlocutore manifesta anch’egli disappunto per quello che è successo, asserendo di aver avuto rassicurazioni, contrariamente a quanto poi è avvenuto, che la gara sarebbe stata espletata in maniera regolare ... mamma mia che porcaio! ... meno male che tutti dicevano e tranquillizzavano ... dicendo ... ‘la gara, è una gara vera’”... Intercettato anche l’ architetto Marco Casamonti, che dice al telefono: “io lo sapevo da due mesi .. non c'era verso”. E il suo interlocutore, il vicepresidente di Confindustria Toscana, Vincenzo Di Nardo che amaro aggiunge: “ Oh Marco questo ti insegna anche un'altra cosa .. o tu diventi amico di Rutelli o di Veltroni o tu puoi tornare a casa. A loro non non gliene frega nulla ... lì doveva vincere la Sacaim a Venezia, ed ha vinto la SACAIM .. non c'è storia. Comunque c'è una grande polemica ... perchè questa è roba da banditi..”. Ed è sempre Casamonti, un architetto ben introdotto in quel mondo, a spiegare per dove passa l’influenza di Veltroni sui grandi appalti: “per lo studio Abdr (iniziali di Arlotti Laura , Beccu Michele, Desideri Paolo, Raimondo Filippo) e per il loro strutturista, Silvio Albanesi, che è l'ingegnere che sta in tutte ... tutte le commissioni ministeriali. E’ un incapace, è solo un uomo di apparato”. Anzi, secondo gli intercettati l’architetto Desideri era così convinto di fare man bassa dei più importanti appalti per l’Unità di Italia da non essere stato nemmeno presente nei giorni decisivi della assegnazione delle due gare di Firenze e Venezia: “è una settimana che è a Mali e ora è alle Maldive ... perchè lui non aveva da fare nulla... aveva bell'e finito tutto da un pezzo”. E proprio quest’ultimo intercettato, il Di Nardi imprenditore da sempre di sinistra, si lascia andare allo sfogo: “Non voterò mai più Pd dopo quello che ho visto. Mi fa schifo, non posso certo votare Berlusconi, ma non andrò più a votare” Certo l’appalto veneziano della Sacaim è omaggiato da gran parte della struttura della cricca degli appalti. Dopo l’assegnazione si trovano tutti a Venezia a festeggiare la famiglia Alessandri, anche tre dei quattro arrestati della cricca: Angelo Balducci, Fabio De Santis e Mauro Della Giovampaola. Festa che come era tradizione di qualche componente della cricca, sarebbe poi finita in camera d’albergo allietata da una fanciulla rimediata in extremis da qualche imprenditore compiacente.

Anche Tesauro, parruccone della Corte costituzionale, in affari con la cricca

Spunta il nome di un alto magistrato nelle inchieste sulla cricca degli appalti pubblici. Si tratta del giudice della Corte Costituzionale, Giuseppe Tesauro, già presidente dell’Autorità antitrust italiano. Il magistrato- che non risulta al momento indagato- è stato più volte intercettato al telefono con uno degli esponenti più discussi della cricca, Antonio Di Nardo, cui Tesauro di fatto fa da consulente per un contenzioso assai serio con l’Autorità di Vigilanza nei lavori pubblici. Ma i magistrati fiorentini stigmatizzano anche un secondo ruolo ricoperto dal giudice della Corte Costituzionale: quello di socio de “Il Paese del sole immobiliare”, società a caccia di concessioni e appalti di costruzioni in Gallura, nel cui capitale Tesauro fa compagnia a imprenditori e dirigenti pubblici più volte sospettati di collusioni con la criminalità organizzata. Con la stessa quota di Tesauro c’è anche un dirigente del Ministero delle Infrastrutture, Ivo Blasco, così descritto nell’informativa dei carabinieri: “Si segnala che il citato BLASCO Ivo, risulta indagato per reati aggravati dalla finalità mafiosa (art. 7 Legge 203/1991) nell’ambito di una indagine denominata “TAMBURO” condotta nel 2002 dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro nel 2002 riferita al condizionamento esercitato da alcune ‘ndrine calabresi nella esecuzione dei lavori dell’autostrada Salerno- Reggio Calabria”. Nel Paese del Sole figurano poi lo stesso Di Nardo, e Aniello Cera, due nomi che agli inquirenti fanno nascere il sospetto di “eventuali collegamenti con della criminalità organizzata (anche in considerazione dei rapporti di parentela del Mastrominico). Ci sono poi anche Mario Sancetta, consigliere della Corte dei Conti e sodale della cricca degli appalti, e un altro imprenditore di riferimento della cricca, Rocco Lamino. Che cosa fa l’immobiliare co-fondata a fine 2007 dal giudice della Corte Costituzionale? Lo raccontano i magistrati fiorentini grazie alle intercettazioni telefoniche. “Nella giornata del 23 ottobre DI NARDO Antonio parla33 con tale Guglielmo delle trattative che sono in corso con una signora di Santa Teresa di Gallura per l’acquisto di un’area edificabile, precisando che in questa operazione è pure interessato il presidente Tesauro (Giuseppe) ... “eh solo che ... un intoppo domani me ne devo venire perchè ... mò sto con Rocco vedi ... dice che 'sta signora di Santa Teresa di Gallura ci ha fatto una controfferta ... pure abbiamo parlato con Tesauro... con il Presidente ... che anche loro sai sono soci in questa cosa ... e quindi dobbiamo formare un altro tipo di società e ci dobbiamo fare una controfferta perchè lei ci ha chiesto ... era partita da 1.600 al metro mò è scesa quasi a 1.200 ... 1.100 ... al metro quadro ….(…) … sono 6.000 metri di terra c'è tutta una concessione al 2,5 % di edificabilità …(…) … a Santa Teresa …(..) …sul mare... sul mare”. Tesauro che viene ascoltato dai magistrati mentre combina incontri, pizze al circolo Aniene e rapidi caffè a Napoli con esponenti della cricca, cerca di risolvere a Di Nardo anche il problema con l’Autorità dei lavori pubblici, che contesta al funzionario statale proprio il possesso di due società: una Soa e la immobiliare fata con Tesauro, incompatibili con la sua funzione. Per altro la figura stessa di Di Nardo è più volte discussa nell’ordinanza dei magistrati di Firenze, che così lo definiscono: “diretto referente di soggetti riferibili alla criminalità organizzata di stampo mafioso” e “referente” negli appalti della cricca di “alcune delle imprese consorziate di origine siciliana e campana connotate dalla presenza, quali soci o amministratori, di soggetti già coinvolti in procedimenti penali per reati di associazione di stampo mafioso”. Non proprio le migliori compagnie, figurarsi i migliori soci in affari, per un giudice della Corte Costituzionale.