Al ministero degli Esteri.
A Palazzo Chigi, dove era vicepresidente del Consiglio. E ancora in via della
Scrofa, dove era tornato preparandosi a una lunga opposizione. Era sempre aperta
la porta di Gianfranco Fini per il vecchio amico Giorgio Moschetti, detto Giò il
Biondo, l’ex numero due della dc andreottiana a Roma ai tempi di Vittorio
Sbardella che aveva sempre aiutato quel leader rampante del Movimento sociale.
Da vecchi amici passavano ore a chiacchierare delle vicende politiche in corso.
Ma non si trattava sempre di quattro parole davanti al caminetto. Moschetti ha
assistito in presa diretta a svolte politiche, a soluzioni di problemi interni,
talvolta ha dato una mano nell’organizzare campagne elettorali o nel riattivare
una rete di rapporti che mai era venuta meno per risolvere a Fini questo o quel
problema. Quando Moschetti a fine novembre 2009 ha inviato al
presidente della Camera una mail che lui stesso avrebbe definito agli amici
“bruttissima”, sperando di essere ricevuto, ha elencato cinque episodi di quegli
anni. Tre riguardavano personalmente Fini e la soluzione di problemi della
vecchia e nuova famiglia. Due la soluzione di problemi del partito. Senza avere
in mano quel testo di posta elettronica è difficile individuare quei cinque
capitoli. Ma da giorni sondando i testimoni di quel lungo rapporto a Roma
emergono episodi dei quella curiosa unione politica. Ed episodi a loro
raccontati dalla viva voce dei protagonisti che potrebbero costituire la trama
di quei cinque titoli. Cinque titoli che hanno destato subito l’attenzione del
presidente della Camera dei deputati, che il 7 dicembre scorso concesse
l’agognato appuntamento a Moschetti nel suo ufficio a
Montecitorio.
Chissà se in quell’elenco
appare anche un piccolo romanzo che si è concluso non nel migliore dei modi nei
primi mesi del 2008. Quello dell’infatuazione che Fini provò per un giovane
finanziere italiano da qualche anno emigrato negli Stati Uniti e destinato a una
fortuna tanto rapida quanto lo sarebbero state le sue disavventure. Il giovane
rampante si chiama Raffaello Follieri. Oggi sta scontando una condanna a 4 anno
e mezzo di carcere negli Stati Uniti. Ma per qualche anno è stato uomo-copertina
di molti magazine del mondo. Un po’ per le sue fortune finanziarie (che si
sarebbero rivelate tarocche), un po’ per la storia sentimentale che lo legò
all’attrice Anne Hathaway, deliziosa protagonista de “Il diavolo veste Prada”.
Negli States Follieri aveva messo in piedi un piccolo gruppo finanziario,
specializzato nel comprare e rivendere gli immobili delle diocesi colpite dallo
scandalo pedofilia. Aveva preso come consulente Andrea Sodano, nipote
dell’allora segretario di Stato Vaticano, e così aveva accreditato un suo
rapporto stretto con la
Santa Sede. Più tardi si sarebbe scoperto
anche un altro millantato credito: Follieri aveva sostenuto di essere il
fiduciario degli affari finanziari del Vaticano negli Stati Uniti,e così aveva
abbindolato banche, finanzieri e perfino Bill Clinton. Per reggere la parte
aveva naturalmente bisogno di venire di tanto in tanto in Italia, a Roma, a
discutere con i suoi “superiori”. In
Vaticano passava un assegno mensile a un impiegato di una congregazione della
Santa Sede, Antonio Mainiero detto Tony, che gli apriva fuori orario Musei
Vaticani e giardini del palazzo consentendo di mostrare ad attoniti ospiti tutta
l’influenza di Follieri. Nei viaggi romani il rampante finanziere è riuscito a
fare il giro di qualche salotto. Gira che ti gira, chissà come ha incontrato
anche Francesco Proietti Cosimi, detto Checchino. Allora era il principale
assistente di Fini, che poi lo scaricò quando insieme ad altri esponenti di An
fu intercettato dal pm di Potenza John Woodcock nella cosiddetta inchiesta su
“Vallettopoli”. Poi il rapporto fra i due si è in parte ricucito, Checchino è
stato ricandidato da Fini nel 2008, è diventato senatore e ha ripagato il suo
leader seguendolo ora nella scissione dei gruppi di Futuro e Libertà.
Fu Proietti Cosimi quindi a
portare il rampante Follieri a Fini, cui il giovane risultò subito assai
simpatico e interessante. Follieri provò a fare fruttare rete di conoscenze e
rapporti trovati nella capitale. Aprì una società lussemburghese con il suo
nome, con quella sottoscrisse il capitale di una finanziaria italiana basata a
Roma e vi mise il fidato Mainiero ad amministrarla. Era una immobiliare, e con
Checchino pensò bene di cogliere al volo le eventuali occasioni che si sarebbero
presentate con le dismissioni del mattone da parte di alcuni grandi gruppi
pubblici. Fu durante una delle tante visite di Moschetti a palazzo che Fini
confessò l’entusiasmo per quella nuova conoscenza, un ragazzo sveglio, bravo a
fare affari, introdotto perfino nella politica internazionale. Un italiano
all’estero che ce l’aveva finalmente fatta ed era pieno di miliardi. Disse che
Checchino stava pensando a una joint venture con Follieri, coinvolgendo anche
alcuni parenti di Fini specializzati in ristrutturazioni immobiliari. Parenti
acquisiti, perché il legame di sangue era con la prima moglie, Daniela Di Sotto.
“So che Massimo Sarmi alle Poste sta preparando un piano di dismissioni
immobiliari”, disse il presidente di Alleanza Nazionale, facendo capire
all’interlocutore che avrebbe favorito un incontro fra Poste e Follieri group.
Moschetti non seppe poi a quale livello l’incontro ci fosse stato. Ma intuì che
Sarmi, persona assai cortese, ma anche assai ferrata nella matematica, capì che
due più due fa quattro, ma Follieri+Poste non sarebbe stata una buona
operazione. Scelta assai lungimirante, visto il decorso delle vicende. Sfumato
l’affare non vennero meno i rapporti di cortesia. Chissà se rafforzati nel
frattempo dall’evolversi delle vicende sentimentali del futuro presidente della
Camera. Negli Stati Uniti infatti Follieri cementò un rapporto con Frank Stella
e la sua National Italian American Foundation (Niaf). Tanto che la fondazione
principe degli italo-americani assegnò al giovane Follieri un ambito
riconoscimento pubblico festeggiandolo insieme a George Bush padre. Stella, come
è emerso in questi giorni, era anche il referente americano della Wind Rose
International, società immobiliare fondata da Sergio, Giancarlo ed Elisabetta
Tulliani e che ha sede a Roma al piano terra della palazzina dove è andato a
vivere dal 2007 Fini. Se con le Poste l’affare sfumò, la finanziaria di Follieri
almeno un immobile riuscì a comprare nel centro di Roma, a due passi da Trinità
dei Monti. Ed è una fortuna per i creditori, visto che tutto è finito a gambe
all’aria, compreso il tentativo di liquidazione di papà Pasquale dopo l’arresto
americano del figlio, e la finanziaria romana è fallita nel febbraio di questo
2010.
Di politica parlava quindi
Fini nei suoi incontri con Moschetti. Ma anche di affari, che sembravano sempre
stare a cuore al futuro presidente della Camera. Affari nazionali e
internazionali. E affari di famiglia. Della vecchia e della nuova
famiglia…
4-
continua