IL CASO BINETTI/ QUI CASCA IL PD: SONO ANCORA COMUNISTI

Sono passate 36 ore, e Walter Veltroni non ha ancora drammaticamente preso le distanze dall'intervista di Anna Finocchiaro pubblicata su L'Unità di sabato. Eppure il capogruppo del Partito democratico ha avuto parole molto dure sul caso Binetti. Parole non diverse da quelle espresse nei confronti delle opinioni dissenzienti dai vecchi comitati centrali del Pcus. "Se se ne dovrà andare dal Pd si vedrà", esordisce la novella purgatrice Finocchiaro, e aggiunge "Vorrei che fosse chiara una cosa: il dissenso di Binetti appare anche per il modo con cui è stato espresso, così radicale da non potere essere iscritto dentro quella discussione che è in atto nel Pd e che riguarda la ricerca di una soluzione condivisa rispetto ai temi cosiddetti eticamente sensibili". Ma non basta. Aggiunge la Finocchiaro: "Non credo sia un problema solo del Pd, riguarda la democrazia. Quando si è chiamati a pronunciarsi su temi delicati, come sono quelli eticamente sensibili, si deve procedere secondo un principio condiviso: la razionalità democratica (...) A quel principio non si può derogare, è la precondizione del confronto, considerando che siamo senatori della Repubblica e non liberi pensatori...". Dunque per il nuovo Pd, come per il vecchio Pcus e tutti i regimi totalitari, la coscienza dei singoli non può derogare al (peraltro assai oscuro) "principio della razionalità democratica". A parte l'aspetto grottesco di un atteggiamento così discriminatorio nei confronti di una coscienza non allineata proprio quando si discute dei diritti delle minoranze (i gay), il caso Binetti rischia di polverizzare quanto di buono si poteva intravedere nella nascita del partito democratico. Che sembra restare nell'alveo della tradizione comunista più oscurantista.

DA ITALIA OGGI IN EDICOLA/ D'Alema, condannato speciale

Fuori gioco Clementina Forleo, si è persa nei meandri del palazzo di giustizia di Milano il faldone da inviare al Parlamento europeo per richiedere l'autorizzazione a utilizzare le intercettazioni telefoniche che riguardano Massimo D'Alema. L'invio, preannunciato dagli uffici del tribunale meneghino a fine ottobre e atteso per i primi di novembre, è stato congelato dal processo intentato prima sui media poi davanti al Csm al giudice Forleo. C'è da scommettere che con la sua uscita di scena, quel faldone non prenderà più la via di Strasburgo. Condannando lo stesso D'Alema a non liberarsi più dal sospetto e a non potere dimostrare, come avrebbe fatto qualsiasi altro cittadino, la sua innocenza. Avendo tutti potuto leggere il testo delle intercettazioni fra lo stesso D'Alema e Giovanni Consorte, resteranno in piedi tutti i dubbi che da quelle righe emergono: ci fu o meno in quella telefonata un passaggio di informazioni riservate prima che le stesse fossero a disposizione del mercato? E se, come parrebbe da quei brogliacci, il passaggio di informazioni ci fu, se ne fece uso da parte di chicchessia? Altro dubbio che resterà fissato in quei brogliacci, senza possibilità di indagine e di difesa del sospettato, sarà quello del possibile favoreggiamento. In un passaggio di quella telefonata infatti D'Alema sembrò avvisare con una certa insistenza Consorte sulle intercettazioni effettivamente in corso sulle linee telefoniche dell'ex manager di Unipol. Sospetti, dunque, e dubbi sul capo di uno dei principali leader del nuovo partito democratico, politico fra i pochi preparati, intelligenti e competenti. Un aspetto, quello di D'Alema, che rende ancora più drammatico il siluramento della Forleo. E si sommano a numerosi altri dubbi che emergono dalla terza e ultima parte dell'audizione del gip milanese davanti al Csm che oggi pubblichiamo all'interno. Cito un particolare fra tutti: proprio quando un consulente del tribunale di Milano aveva appena finito di trascrivere le telefonate intercettate, su qualche giornale ne trapelarono degli spezzoni testuali. Uno di questi non coincideva, perché il consulente della Forleo non aveva compreso la registrazione, ritenendola troppo disturbata. Appuntò «frase incomprensibile». Riascoltata più volte, era proprio come era stata compresa dai giornali che l'avevano pubblicata. Ci fu dunque una fuga non di notizie, ma di bobine. Chissà se non scattò proprio in quel modo la trappolona alla Forleo. Sarebbe interesse proprio di D'Alema prima di tutti, dare una risposta chiara a questi interrogativi, chiedere ai magistrati di procedere con le indagini e di essere interrogato. È la sola fine nobile di questa indegna vicenda...

P.S. Nel primo post la terza e conclusiva puntata dell'audizione di Clementina Forleo al Csm.

DA ITALIA OGGI IN EDICOLA/ La Forleo lapidata

Il giudice Clementina Forleo non ne ha fatta una politicamente corretta. Ha graziato un gruppo di marocchini accusati di terrorismo nell'Italia governata dal centro-destra e nel mondo si mandavano dietro le sbarre senza troppi complimenti tutti i sospettati. Ha terremotato con l'inchiesta Unipol il vertice dei Ds non appena questi sono arrivati al governo. Ha accusato magistrati e carabinieri, irritando tutte le istituzioni possibili. Quando a difenderla è rimasto solo Antonio Di Pietro, lei è andata a denunciare tutti affidando le sue pene a un pm di Brescia, Fabio Salamone, il magistrato che perseguì per anni proprio Di Pietro. Non è un giudice di mondo, la Forleo. Per questo la stanno facendo fuori. Nello straordinario documento dell’audizione della Forleo davanti al Csm c’è tutto il processo che da destra e sinistra si intenta alla Forleo. Un giudice rompiscatole, che riscuote scarsa simpatia. Ho provato a cercare fra gli atti del passato, e non ho trovato tanto accanimento nei confronti di un collega da parte del Csm. Mai visto un processo tanto repentino in tutta la storia della giustizia italiana. Dal tono delle domande, dalla raffica delle contestazioni dei suoi inquisitori sembrava non si volesse perdere più tempo nel liquidare una pratica il cui destino era scritto stelle. Via la Forleo, e applausi bipartisan. Lei di fronte all’Inquisizione sembra un giudice ragazzina, con i nervi che cedono, le osservazioni un po’ ingenue, il timore e tremore, la assoluta non dimestichezza con la procedura. Ma bisogna mettersi nei suoi panni. Anni di minacce alla sua famiglia, lettere minatorie che prevedono la morte dei genitori, case bruciate, telefonate anonime. Tutti- magistrati, forze dell’ordine, politici dell’uno e dell’altro fronte che fanno spallucce e prendono le distanze. Non era mai accaduto così nei confronti di un magistrato. E i precedenti si riferiscono ad altro tipo di giudici ragazzini: isolati e poi falcidiati dalle raffiche di mitra della mafia. Se davvero la Forleo non è magistrato equilibrato o addirittura è attraversata da follia, allora chi ha permesso che diventasse giudice? Perché la si è applaudita quando ha sgominato i furbetti del quartierino? Ieri ero a una trasmissione tv con una prodiana doc, la senatrice Marina Magistrelli. Elencando le buone cose fatte del governo citato i 90 milioni sequestrati a Fiorani e trasformati in buoni asili. Le ho fatto notare che stavano per dare un calcio nel sedere a chi aveva sequestrato quelle somme. Mi ha risposto: “Non noi. L’organo di autogoverno della magistratura...”. In quella frase c’è tutta l’ipocrisia della classe politica italiana. E un buon motivo per stare dalla parte del giudice ragazzina... P.S. Su Italia Oggi in edicola il 5, il 6 e il 7 dicembre il testo integrale dell'audizione di Clementina Forleo davanti al Csm. Qui di seguito, nel primo post è allegato il testo pubblicato nei giorni 5 e 6 dicembre

Partito delle Libertà? Berlusconi non ci credeva

Come si può vedere dalla scelta pubblica e univoca di tutti i notabili azzurri di Palermo, Silvio Berlusconi non ha nemmeno pensato un secondo al Partito delle Libertà, ma era certo della scelta del Popolo delle Libertà. Tanto da avere lasciato alla Brambilla il primo marchio e da averne registrati ben 4 a suo nome intorno al concetto di Popolo delle libertà il 19 novembre scorso a Bruxelles. La registrazione è stata effettuata al registro dei marchi europei dallo studio Jacobacci & partners a nome di Silvio Berlusconi, viale San Gimignano- Milano. Circa due settimane prima dunque del referendum ai gazebo...

POPOLO DELLA LIBERTA'? IL COPYRIGHT SPETTA A FINI

Chi ha dato a Silvio Berlusconi l'idea del "Popolo delle libertà"? Risposta non scontata: Gianfranco Fini. Sì, è stato proprio il leader di Alleanza Nazionale a inventare il nome, dimenticandosi di registrare il copyright. La testimonianza è in un documento dal suo pugno vergato e approvato dall'assemblea di An all'indomani della sconfitta elettorale del 2006. Eccolo riprodotto a fianco. Con tanto di "popolo delle libertà che ha finalmente e per la prima volta preso coscienza di !"...

IL TG1 DI RIOTTA? FARCITO DI POLITICA ASSAI PIU' DI QUELLO DI MIMUN

Il direttore del Tg1, Gianni Riotta, ha replicato sabato scorso con una lettera al quotidiano Libero ai dati sulla par condicio pubblicati su Italia Oggi e ripresi dal quotidiano diretto da Vittorio Feltri. Riotta sostiene che quel confronto aprile 2005- aprile 2007 è relativo a "due sole settimane" e che nel 2005 "il tg1 era in condizioni di par condicio elettorale". Di più: sostiene Riotta di potere vantare un dato di cui va fiero: avrebbe dimezzato la politica trasmessa sul Tg1. Per sostenere la sua tesi l'attuale direttore del Tg1 cita fonti non pubbliche. Quelle pubbliche invece sono fornite sul sito Internet dell'Autorità di garanzia nelle comunicazioni. E dicono l'esatto opposto. Innanzitutto il raffronto contestato non era relativo a due settimane, ma a 30 giorni: quelli del mese di aprile 2005 e 2007. Di questi 30 giorni solo uno, il primo aprile 2005, era in regime di par condicio. Un giorno su 30 evidentemente non può sfalsare la media. Quanto agli spazi dedicati alla politica nel video si può vedere il raffronto sugli ultimi sei mesi censiti dall'Autorità: dal 1° aprile al 30 settembre 2007, raffrontati evidentemente con gli stessi mesi del 2005, quando a dirigere il Tg1 era Clemente J. Mimun. Il Tg1 di Riotta in questi sei mesi ha dedicato alla politica 73 ore, 21 minuti e 51 secondi Il Tg1 di Mimun negli stessi mesi ha dedicato alla politica 69 ore, 16 minuti e 18 secondi Il Tg1 di Riotta ha intervistato politici per 19 ore 49 minuti e 55 secondi Il Tg1 di Mimun ha intervistato politici per 17 ore, 24 minuti e 35 secondi I dati non lasciano dubbi: Riotta offre più spazi alla politica del predecessore

MORRICONE NON FA POLITICA. O ALMENO NON LA FA GRATIS PER TUTTI...

Sostiene il maestro Ennio Morricone in un'intervista al Corriere della Sera firmata da Aldo Cazzullo: "Non ho mai parlato di politica in vita mia. Non mi schiero. Non milito. Faccio un altro mestiere". E non schierandosi, ma facendo un altro mestiere spiega da tecnico: "A me pare che l'Italia si stia rimettendo in sesto. Sono contento di questo governo: ha lavorato per il bene di tutti, nell'interesse del paese. L'altro giorno ho sentito al telegiornale il segretario dell'Udc, Cesa, dire che Berlusconi ha sbagliato a fare leggi per se stesso. Ma noi italiani ce ne eravamo già accorti, e sappiamo bene che Cesa, Casini e tutti gli altri quelle leggi le hanno votate...". Il tecnico Morricone aggiunge: "Della politica di oggi non mi piacciono gli insulti ai senatori a vita, e le calunnie contro Prodi (...) Io Prodi e Padoa Schioppa non li ho mai incontrati in vita mia, ma apprezzo come stanno cercando di rimediare al dissesto che hanno trovato. Lo so che la maggioranza è spesso divisa. Ma è normale che in un'alleanza ci siano contrasti. La sinistra che chiamano radicale non è poi così irragionevole: la finanziaria l'ha votata, ora pure la riforma delle pensioni e del welfare". Morricone, che non si schiera mai, è stato eletto nella costituente del partito democratico in cima a una lista per Veltroni. Ma è stato per errore: "ho chiesto di essere depennato, mi hanno risposto che era tardi. Allora ho scritto a Veltroni per spiegargli che alla costituente non sarei mai andato. Ho una sua lettera di risposta, molto cortese. E' d'accordo con me: quel che posso fare per l'Italia, lo farò con la musica". Naturalmente un musicista non schierato, apolitico e indipendente come Morricone deve essere solo lontano parente di quel Morricone che il 19 febbraio 1997 presentò al teatro Olimpico di Roma il nuovo inno dell'allora partito democratico della sinistra di Massimo D'Alema, da lui stesso composto. Fu la rappresentazione di quel lontano parente a costare 232.383.959 di vecchie lire dell'epoca. Morricone, tecnico e apolitico, si sente invece patriota, e confessa al Corriere di avere un sogno: reinterpretare l'inno di Mameli. Naturalmente lui, il premio Oscar Ennio Morricone. Non quell'Ennio Morricone- probabile caso di omonimia- musicista meno patriota che pizzicato nel 2001 dall'Agenzia delle Entrate per avere evaso il fisco italiano prendendo una residenza fittizia a Montecarlo, fu costretto a pagare per mettersi in regola 1 miliardo, 189 milioni e 933 mila lire dell'epoca...

RAI, IL MINOLI SCANDALIZZATO- Quando lo scandalo era lui

Le telefonate intercettate a Deborah Bergamini hanno scandalizzato un'anima sensibile come quella di Giovanni Minoli. Cui, durante un'intervista a L'Espresso in edicola, è perfino scesa una lacrimuccia: "Mi sono molto dispiaciuto per l'azienda e la sua credibilità, ma non sono affatto stupito. Da ben 14 anni viviamo polemiche e contrasti nati all'ombra del conflitto di interessi di Silvio Berlusconi...". Beh, 14 anni così! Buio piombo. Salvo uno spiraglio di luce. Aprile 1996. L'Ulivo appena vincitore delle elezioni. Romano Prodi, presidente del Consiglio in pectore, invitato a sostenere l'ultima fatica: un'intervista a Mixer, sbranato da Minoli che sa come si fa giornalismo indipendente e aggressivo. E infatti il terribile tele-giornalista presentò Prodi con queste parole: "Il buon professore, il manager, il politico, l'uomo delle speranze on the road e dell'Antitrust, del liberalismo temperato e del federalismo fiscale. L'antidivo per eccellenza, il leader che alle tele-risse preferisce le tele-riflessioni. Il sorriso è rassicurante, bonario e sereno. A tratti frutto di turbamento, spesso il risultato di un ragionamento. Gli occhi, roteanti e morbidi, parlano con le pupille, dialogano con le sopracciglia, comunicano con il cristallino. Le mani, più che gesticolare, dicono...". Chapeau!

CASO RIOTTA. 3/ Il bigliettino di Capezzone

Qualche giorno prima della nomina di Gianni Riotta al Tg1 l'allora presidente della commissione attività produttive della Camera, Daniele Capezzone, rivelò di avere trovato a Montecitorio "un bigliettino" sui cui erano indicate le candidature per le nomine Rai. Era il 5 settembre 2006, e Capezzone lesse quel bigliettino. C'era scritto. "Riotta al Tg1, Braccialarghe alla direzione del personale, Badaloni a Rainews 24...". Nomi azzeccati, due caselle pure giuste al millimetro: Riotta e Braccialarghe! Capezzone o chi aveva scritto quel bigliettino erano in grado di prevedere il futuro!

CASO RIOTTA. 2/ Quella frase di Prodi in Cina...

Quando Gianni Riotta fu nominato al Tg1 Romano Prodi era in Cina, dove stava rifiutando i colloqui con i giornalisti in fuga da un bigliettino inquietante, quello che Angelo Rovati aveva inviato al presidente di Telecom Italia, Marco Tronchetti Provera, allegato a un imbarazzante piano per ristatalizzare le telecomunicazioni italiane. Ai giornalisti che gli chiedevano un commento sulle nomine appena varate dal consiglio di amministrazione della Rai, Prodi sibilò seccato: "Tutti ora dicono che Riotta va bene. Non capisco perché si dice che va bene solo a me..."

CASO RIOTTA.1/ Quell'intervista apri-pista

Che cosa accadde 40 giorni prima della nomina di Gianni Riotta al Tg1? Basta andare di archivio. Corriere della Sera, 21 luglio 2006. Intervista di Gianni Riotta al presidente del Consiglio, Romano Prodi. Eccone alcuni dei passaggi più aggressivi: "L'antipasto del presidente è semplice, una fetta di pane fresco con poche gocce di aceto balsamico di Scandiano. Guarda la Colonna Traiana che riempie la finestra, «Quelle erano guerre senza proporzione. Roma si metteva in marcia e poteva distruggere un popolo intero. Il mondo è cambiato, ma dolore, morale, restano questioni centrali». Il presidente del Consiglio Romano Prodi fa colazione con il suo staff ed esamina le questioni del giorno, la storia che è ancora cronaca, non fissata nella pietra come nella Colonna dell'imperatore Traiano e su cui ogni leader politico spera di intervenire (...) Prodi ha una camicia a righe e una cravatta celeste, i suoi collaboratori (c'era anche Rovati? ndr) ne seguono la conversazione, come sempre pacata, scandita, con la tradizionale ansia di chi lavora con i leader: dirà troppo? dirà troppo poco? Il presidente li coinvolge nella conversazione, ne ascolta i suggerimenti, e poi continua, secondo il suo filo..." Ed ecco le domande incalzanti: 1- Presidente, prima di andare ai tassisti, restiamo ancora nel mondo... 2- Davanti alle immagini della guerra in Medio Oriente, c'è in Prodi una doppia reazione, l'angoscia per il da farsi e per lo stop che il conflitto lungo 60 anni pone a tutti gli altri dossier mondiali: «Dovremmo parlare di Asia, di Europa, del rapporto perfetto che abbiamo con la Merkel a Berlino, e che nemmeno quel gol di Grosso al 118' della semifinale non ha spezzato. Dovremmo parlare di voli diretti Roma- Pechino, di turismo dalla Cina, e di Banca del Mediterraneo. Invece tutto fermo». 3- Il mondo è grande e terribile, presidente. Ma anche governare i tassì non è semplice. Chi ha vinto, a proposito, il governo o i tassisti? 4- Il suo avversario, l'ex premier Silvio Berlusconi, sta facendo il suo surplace e si dice convinto che lei andrà fuori pista alla Finanziaria (sic.. Già allora, e la spalla non si è lussata... ndr) 5- Guardando il nostro paese non si vede troppa passione, presidente. Poca crescita, poco sviluppo, niente innovazione, pochi figli. 6- Almeno attorno al Mondiale un po' di passione s'è vista, in campo e fuori. Poi ci siamo risvegliati con il calcio degli scandali. 7- S'è fatto tardi, il caffé è freddo nelle tazzine, l'agenda del premier incalza. Niente vacanze, quest'anno? Eh sì... Uno così non poteva che finire al Tg1...

Melandri condannata a pagare le spese per avere querelato ingiustamente Italia Oggi

Giovanna Melandri è stata condannata dal tribunale di Milano a pagare le spese processuali del procedimento che lei stessa aveva promosso contro il quotidiano Italia Oggi per un articolo pubblicato il 22.11.2006 sulle sue proprietà immobiliari. Il ministro non contestava i fatti, ma la violazione della sua privacy ed era indispettita dalla pubblicazione della notizia su un immobile donato vigente la legge Tremonti che rendeva esentasse quell'atto. Non gradita nemmeno la notizia sui guai giudiziari successivi avuti dal notaio che aveva compilato l'atto. Con sentenza depositata il 13 novembre il gup milanese Fabio Paparella ha respinto le richieste della Melandri non ravvisando nell'articolo alcun intento diffamatorio. "Invero i fatti di cui si parla nell'articolo sono veri come si può desumere dalla stessa denuncia-querela. D'altra parte non è dato vedere in che modo o per quale motivo le frasi contenute nell'articolo riguardanti tali circostanze possono avere carattere diffamatorio...". Per questo motivo il gup dichiara "non luogo a procedere nei confronti di Sansonetti Stefano e Bechis Franco in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti perché il fatto non sussiste" e condanna "il querelante al pagamento delle spese processuali". Questo l'articolo per cui la Melandri aveva querelato:

Una sobria Melandri Giovanna Melandri è un ministro sobrio, senza eccessi. Le banche dati sono avare di informazioni. Non una partecipazione societaria. Niente di niente. L'unica a soddisfare qualche sulla diessina nata a New York nel 1962, è quella del catasto. In realtà quello che racconta non va oltre i dati relativi alla proprietà di due appartamenti. Il primo è situato un via di S. Paolo alla Regola a Roma. La Melandri qui ci vive, muovendosi in 6 vani. Un appartamento che vanta una rendita di 1.781,78 euro. Più interessante, invece, la situazione immobiliare che porta dritta al comune di Ficulle in provincia di Terni. In località Poggi, Giovanna Melandri è proprietaria di un appartamento popolare di 4,5 vani per una rendita di 199,87 euro. L'appartamento le è stata donata il 5 ottobre del 2002, donazione dunque effettuata sotto legge Tremonti, da Carla Maria Petrosino Ghelli, romana di 66 anni, la cui unica traccia si ferma a un'iscrizione all'ordine dei giornalisti del Lazio nell'elenco pubblicisti. Notaio rogante Alessandro Pongelli, balzato agli onori delle cronache lo scorso 10 ottobre per essere finito nell'occhio di un'indagine della Guardia di Finanza che gli è costata gli arresti domiciliari

Rovati- Riotta, un bigliettino che non cade dal cielo- Italia Oggi scrive un indiscreto, querelano Cappon, Rovati e mezzo mondo. Ecco la ricostruzione

Italia Oggi ha scritto mercoledì una indiscrezione che circolava fra importanti manager Rai sulle origini della nomina di Gianni Riotta al Tg1. Secondo la versione di un importante manager (la cui voce è distorta per coprire la fonte nel filmato qui messo a disposizione) poco prima di quella scelta sarebbe arrivato in Rai un bigliettino da parte della presidenza del Consiglio, compilato da Angelo Rovati, allora consulente di Romano Prodi. Ecco il testo pubblicato:

Rovati e il biglietto su riotta al tg1... IL CASO DEL GIORNO Il retroscena delle nomine Rai del governo Prodi Ancora Angelone Rovati, il mitico amico-consulente dell'attuale presidente del consiglio, Romano Prodi. Ancora un bigliettino, come quello spedito a Marco Tronchetti Provera sul piano Telecom che costò al povero Rovati il posto ufficiale a palazzo Chigi (non quello ufficioso). Beh, a sentire la versione fornita ad amici e colleghi da Marcello Del Bosco, dirigente diessino di lungo corso in Rai, sarebbe stato proprio un bigliettino di Rovati a determinare un anno fa le più importanti nomine della Rai. Secondo Del Bosco, considerato assai vicino a Massimo D'Alema, quel bigliettino sarebbe stato consegnato al direttore generale di viale Mazzini, Claudio Cappon, da Rovati su richiesta del presidente del consiglio. Sopra c'erano scritti solo due nomi. Il primo era quello di Gianni Riotta, che da lì a poco sarebbe stato nominato direttore del Tg1. Il secondo nome era quello di Maurizio Braccialarghe, già direttore generale della Sipra (concessionaria Rai della pubblicità) e in passato direttore della divisione radiofonica. Braccialarghe sarebbe stato nominato direttore del personale di viale Mazzini lo stesso giorno- 13 settembre 2006- di Riotta. Bigliettino Telecom e bigliettino Rai erano contemporanei...

Al testo è seguito annuncio di querela da parte di Claudio Cappon, direttore generale della Rai, il giorno stesso. In modo ufficioso ha fatto sapere di essere intenzionato a perseguire la stessa strada anche Marcello Del Bosco. Il giorno successivo, giovedì 29 novembre, da palazzo Chigi è stata fatta filtrare alle agenzie la medesima intenzione da parte di Angelo Rovati. Querelare è sempre un modo di minacciare la libertà di stampa. Ed è moda assai in voga. Si può smentire e io personalmente ho sempre dato il massimo spazio a chi lo ha fatto con civiltà (gli insulti no, visto che negli articoli contestati non ci sono). Giudichi chiunque la continenza dell'articolo contestato, l'interesse pubblico della notizia, e la sua veridicità ascoltando la ricostruzione di una fonte di alto livello. Ho storpiato la voce con il computer per non mettere in difficoltà eccessiva la fonte. In un eventuale processo per diffamazione (reato che esiste se non c'è continenza dello stile, interesse pubblico della notizia e veridicità dei fatti raccontati), naturalmente porterò con me l'originale...

Massimo Ranieri e Franco Di Mare si sono scoperti cugini lunedì sera a Roma

Il cantante Massimo Ranieri, che nella vita si chiama Giovanni Calone, e il giornalista-conduttore tv Franco Di Mare sono cugini, sia pure un pizzico alla lontana. Se lo sono confessato lunedì sera a Roma prima di salire sul palco dell'auditorium per uno spettacolo legato ad Operazione Smile. I due si erano conosciuti in un'altra occasione pubblica. Tornato a casa Ranieri lo ha raccontato alla madre, che gli ha rivelato la parentela: "I vostri nonni sono cugini primi". Durante lo spettacolo, di cui il filmato sopra riporta qualche frame amatoriale, la rivelazione è diventata pubblica..

Prodi chiama Tps il suo ministro dell'Economia e rivela: per combattere l'assenteismo nella p.a. i miei consigliano di dare un premio di presenza!

Romano Prodi martedì 27 novembre, assemblea della Cna. Prima racconta che in una riunione con i suoi esperti ha posto il problema dell'assenteismo nella pubblica amministrazione. E gli hanno risposto: diamo un premio di presenza. Perfino al tranquillissimo Romano sono cadute le braccia. Poi il presidente del Consiglio per la prima volta chiama in un'occasione ufficiale il suo ministro dell'Economia Tps... Video girato amatorialmente con il mio telefonino durante i lavori...

PSICODRAMMI/EZIO MAURO aveva bisogno di una casa. La comprò da chi cercava quei soldi per fare causa a Repubblica

Mi ha telefonato Giancarlo Perna, firma di punta de Il Giornale. Deve fare un ritratto di Ezio Mauro, direttore di Repubblica con una speciale inclinazione alla indignazione. Perna si ricordava di un articolo uscito su Il Tempo quando io ne ero direttore, che riguardava l'acquisto da parte di Mauro di un casa dal valore di 2,150 miliardi di vecchie lire (era il 2000, l'euro ancora ai nastri partenza), ma con 850 milioni non dichiarati negli atti ufficiali e pagati con una serie di assegni da 20 milioni ciascuno (uno da 10) firmati da Mauro. Sì, quell'articolo uscì dopo lunghi giorni di gestazione. Anche se tutto era documentato (ne ho ancora copia io, perfino degli assegni) all'unghia, chiesi di pazientare e insistere con Mauro per avere una sua versione dei fatti. Lui prima si negò. Poi dopo dieci giorni rispose che non conosceva chi fosse il proprietario della casa e che le modalità con cui l'aveva acquistata erano fatti suoi. A quel punto feci pubblicare l'articolo, virgolettando quella dichiarazione. Non volevo attacchi personali, per cui solo la cronaca dei fatti e nessun commento su quegli assegni che certo fecero risparmiare un po' di tasse. D'altra parte la storia era davvero divertente, per le clamorose coincidenze dovute al sorriso beffardo del destino... Eccola in sintesi. Nel filmato potrete invece ascoltare i principali passaggi del racconto fatto dal venditore di quella casa... Alberto Grotti era vicepresidente dell'Eni. Finì nei guai con Enimont. Pagò con il carcere. Uscitoun giorno lesse un articolo di Repubblica che riteneva diffamatorio. Volle fare causa, ma non aveva più soldi per le spese legali. Allora Grotti si rivolse alla anziana madre. Che decise di vendere una casa a Roma. La comprò Ezio Mauro, direttore di Repubblica...

LO SVENTURATO PROFUMO CHIESE AIUTO A CELLI PER FERMARE LA GABANELLI

Alessandro Profumo non ha mai nutrito alcun dubbio: sui derivati la sua Unicredit ha sempre avuto ragione. Se torto c'è stato, è tutto del mercato che si è spaventato per una semplice trasmissione tv, quel Report di Milena Gabanelli andato in onda il 14 ottobre scorso, e che è stato causa di un salasso di quasi il 30 per cento per chi nei giorni successivi aveva in mano azioni Unicredit. Profumo è sempre stato convinto di avere ragione da avere deciso di offrire quel giorno alle telecamere della Gabanelli la presenza di Gianni Coriani, direttore generale di Unicredit banca di impresa. E così è stato. Solo dopo che l'ennesimo collaboratore e consulente gli ha spiegato di ritenere una follia la partecipazione a quella trasmissione, Profumo si è convinto a fare un passo decisivo. Ha chiamato un ex manager del gruppo, Pierluigi Celli, gli ha chiesto che rapporti aveva con la Gabanelli all'epoca della sua esperienza da direttore generale Rai, e lo ha pregato di intervenire sulla stessa spiegandogli ogni dettaglio sui derivati. Celli, che uscì da Unicredit con la bava alla bocca nei confronti di Profumo (ma il gran capo di Unicredit, così sicuro di se stesso non se ne accorse), alla Gabanelli ha effettivamente telefonato. E quando il povero Coriani si è trovato di fronte alle domande di Report è sbiancato: come facevano quelli lì a conoscere nel dettaglio tutti i segreti di Unicredit? E così ha tentato una difesa impossibile, spiazzato dal numero di informazioni in mano alla Rai. Indovinate un po' chi le aveva passate alla Gabanelli...

Da Italia Oggi in edicola/ Clamorosa scoperta archeologica: in Rai hanno trovato una che è stata raccomandata

Ci sono voluti più di 50 anni, ma alla fine le lunghe ricerche hanno avuto successo: in Rai hanno scoperto che una dipendente è stata raccomandata. Addirittura lottizzata dall'ex presidente del consiglio, Silvio Berlusconi. Si chiama Debora Bergamini, fa il direttore marketing dell'azienda di viale Mazzini in cui è stata catapultata dopo un breve rodaggio come assistente di Berlusconi. Per fare emergere lo scandalo ci sono voluti naturalmente lunghi appostamenti e mesi, se non anni, di intercettazioni telefoniche e ambientali. E per rivelarlo a tutti la caparbietà di un pool di cronisti, quello di Repubblica, che hanno offerto la primizia accompagnata da commenti grondanti indignazione. Il caso Bergamini getta una macchia su una vita aziendale - quella della Rai - di tradizionale e fiera indipendenza dalla politica in genere e dai governi in carica. Fin dal giorno della sua fondazione la Rai è stata presa a modello da tutti i grandi network internazionali per una passione innata per le notizie e l'orgoglioso motto «il mio unico azionista è il telespettatore». Nelle scuole di giornalismo si citano sempre i celebri direttori del Tg unico, poi del Tg1, del Tg2, del Tg3, dei radiogiornali, delle testate satellitari per la schiena sempre dritta e il coraggio con cui si negarono al telefono e in caso contrario mandarono a quel paese presidenti del consiglio, da Alcide De Gasperi a Romano Prodi passando per i vari Amintore Fanfani, Giulio Andreotti, Bettino Craxi e - certo - anche Berlusconi. Solo qualche settimana fa si sono svolti nell'indifferenza generale i funerali di un ex direttore del tg, tale Enzo Biagi, licenziato dall'azienda di viale Mazzini perché fannullone e scarsamente preparato. Quando Ted Turner fondò la Cnn, per reclutare i giornalisti volle prendere ad esempio i celebri concorsi con cui si erano costruite nella lontana Italia fiori di redazioni giornalistiche invidiate in tutto il mondo: gente preparatasi a lungo sui libri, addestrata quasi militarmente a tenere dritta quella maledetta schiena. Alla Harvard business school esiste addirittura un corso di laurea dove si insegna il modello di governance della Rai: un consiglio di amministrazione indipendente, eletto dai telespettatori fra una rosa di candidati selezionata con criteri durissimi dalle principali università internazionali. Come fra le maglie strettissime di un sistema così consolidato abbia potuto infilarsi - forse di notte - una Bergamini è mistero che solo quel diavolo di Berlusconi potrebbe rivelare. Giusta l'indignazione generale. Appare fin poco la «class action» minacciata dall'Usigrai, il sindacato di quelli dalla schiena dritta. L'Italia non si meritava tanta vergogna. Vi pare?

CASO RAI, QUANTE FACCE DI TOLLA! VOGLIAMO CHIEDERE A CELLI?

Ma quante facce di tolla fra gli indignati commentatori delle intercettazioni sulla Rai! Perfino il sindacato interno dei giornalisti dell'azienda, il celebre Usigrai, che minaccia una class action contro i responsabili dell'inciucione aziendale con Mediaset... Scandalizzati, scandalizzatissimi degli stretti legami di qualche dirigente con il presidente del Consiglio dell'epoca, Silvio Berlusconi o il politico di turno. Infatti tutti, dal segretario dell'Usigrai in giù, nel sindacato dei giornalisti Rai essendo entrati per concorso e poi divenuti sordi, non hanno mai cercato raccomandazioni di sorta ascoltato il politico-sponsor che poi reclamava i suoi diritti. Non ce ne è uno di loro che ogni giorno prima di cercare una notizia non si faccia il giro delle sette chiese politiche per avere una raccomandazione. Non c'è uno di loro che sia divenuto conduttore, caposervizio, caporedattore, vicedirettore o direttore per meriti personali: ha sempre, in tutti i casi, telefonato il politico-sponsor a chi doveva prendere quella decisione. Non c'è una sola scaletta di Tg Rai che sia pensata per le esigenze del telespettatore: tutte decise a tavolino con lunghe riunioni di strategie politica su come fare risaltare o evitare di deprimere l'uomo politico del cuore. Non c'è un giornalista o un dirigente Rai che prima di tutto non pensi questo. Vogliamo chiedere a Pierluigi Celli, ex capo del personale ed ex direttore generale dell'azienda? Ora che è fuori dai giochi può anche esplicitare meglio quello che riservatamente ha già raccontato e velatamente ha scritto per allegorie. Vogliamo fare raccontare a Claudio Velardi cosa era contenuto nelle liste che inviava al direttore generale della Rai o ai consiglieri di amministrazione quando era il principale collaboratore di Massimo D'Alema? E allora fate un bella pernacchia quando sentite l'Usigrai tuonare: "via la politica dalla Rai!". Se così fosse bisognerebbe licenziare 1800 giornalisti...

ALTRO CHE POLITICA! OGGI E' IL 90° GIORNO DI TRATTATIVA PER DARE UN GOVERNO A TELECOM. Tutti divisi sul ritorno di Bernabè in conflitto di interessi

La prima indicazione è arrivata il 28 agosto scorso, quando Mediobanca ha annunciato l'intenzione di dare un nuovo governo a Telecom Italia. Da allora sono passati tre mesi- oggi è il 90° giorno di trattativa- e del nuovo governo non c'è traccia. Avrà anche ragione Luca Cordero di Montezemolo a sostenere che da 12 anni l'Italia non è governata. Ma quando tocca a loro- industriali e banchieri- prendere decisioni, non è che la musica sia assai diversa. Nella storia Repubblicana il record di giorni per la formazione di un nuovo governo è del 1978, con 54 giorni di trattative per la formazione di un esecutivo guidato da Giulio Andreotti che vide i natali l'11 marzo di quell'anno, all'indomani del rapimento di Aldo Moro. Non che Telecom sia stata molto governata da quando è passata da mani pubbliche a mani private. Ma l'attuale crisi è da primissima Repubblica. L'unica coincidenza con la Seconda Repubblica è nella candidatura maggioritaria (ma che divide tutti) di Franco Bernabè, che come Silvio Berlusconi ha un conflitto di interessi grosso come una casa: sia la Telit da lui guidata che la ex Kelyan Lab (ora Xaltia spa) da lui posseduta hanno come principale cliente proprio il gruppo Telecom-Tim... Un caso da manuale che dimostra come il mondo imprenditoriale abbia assunto tutti i vizi e i difetti della politica. Generalmente peggiorandoli... P.S. La foto sopra risale al 1990: dietro Prodi e Bernabè si intravede un Silvio Sircana di belle speranze...

DA ITALIA OGGI IN EDICOLA/ PISTOLE A SCUOLA

Lo stesso ministero della pubblica istruzione che ha promosso la meritoria campagna contro il bullismo nelle scuole, lo stesso governo che ha giustamente stigmatizzato i recenti episodi di violenza negli stadi ha proposto nelle ultime settimane agli istituti superiori di ogni ordine di mettere in mano ai ragazzi che li frequentano, di età compresa fra i 14 e i 18 anni, una pistola o un fucile ad aria compressa. Naturalmente non per puntarla alla tempia del proprio compagno di banco (anche se la tentazione sarà forte). Ma per usarla in un nuovo corso di tiro a segno alternativo alla più classica ora di educazione fisica. La proposta è su carta intestata del ministero guidato da Giuseppe Fioroni . Ad alcuni istituti sta arrivando proprio in questi giorni la missiva ministeriale e la documentazione della Federazione di tiro a segno. Un fatto considerato dal ministero ordinario, perché le ore alternative all'educazione fisica sono previste dalla normativa vigente e possono essere utilizzate per l'insegnamento delle principali discipline olimpiche, e quella del tiro a segno lo è. Ma i primi indignati e polemici rifiuti della proposta indicano quanto fosse inopportuna quella circolare «ordinaria» e quanta leggerezza l'abbia accompagnata. Non si vuole qui demonizzare uno sport, certo non fra i più popolari, che ha una sua dignità e un discreto seguito al di là dell'appuntamento olimpico. Mettere però una pistola o un fucile ad aria compressa nelle mani di ragazzi di quella età, insegnare a prendere la mira e non sbagliare bersaglio non sembra in questo momento la principale urgenza educativa degli adolescenti. Anzi, volendo loro insegnare solo uno sport, si rischia di trasmettere ben altro di cui gli stessi solerti educatori presto potrebbero lamentarsi. Un fatto piccolo, probabilmente ancora circoscritto a un numero limitato di istituti secondari, ma rivelatore di una mentalità che merita attenzione. Della scuola, dell'emergenza educativa evidente nei comportamenti di giovani e neo-adulti, non si occupa più nessuno. Qualche baruffa sulle risorse da assegnare all'uno o all'altro, qualche spot buono per ritagliarsi un po' di pubblicità a buon mercato sui media (come nel caso del bullismo), chissenefrega poi di un sistema di istruzione che non forma e non educa. La questione educativa dovrebbe essere al primo punto dell'interesse dei vari schieramenti politici e non lo è per nessuno. Ci si accapiglia su qualche precario da riassorbire magari per metterlo proprio dietro al tiro a segno, ma non ci si preoccupa delle formazione dei ragazzi. Salvo accorgersene quando la domenica spaccano qualche stadio...

BUTTIGLIONE 2/ Le mosse di Berlusconi gli fanno venire mal di testa e lui reagisce con l'imprecazione gentile..In tedesco...

Tutto questo can can di Silvio Berlusconi ha provocato un certo mal di testa a Rocco Buttiglione. Che proprio mentre commentava gli avvenimenti, ha battuto una zuccata mentre era al telefono con me che lo stavo intervistando... Ecco la registrazione in diretta, con tanto di imprecazione politically correct: in tedesco, e gentile...

BUTTIGLIONE 1/ Da Italia Oggi in edicola: la stizza per la svolta di Berlusconi

Una sola reazione ufficiale. “L'annuncio solitario di Silvio Berlusconi non e' un buon modo di cominciare”. Il presidente dell'Udc, Rocco Buttiglione, chiosa così, con un pizzico di veleno, la svolta berlusconiana. Lo raggiungiamo al telefono mentre all'aeroporto di Torino si sta imbarcando per Roma, nella speranza di arrivare in tempo per registrare la puntata di Matrix con Enrico Mentana Domanda. Perché è così negativo? Risposta. Negativo io? No. Sono positivo sul fatto che lui riconosca che il bipolarismo è morto. Io sono anni che lo dico. Positivo anche il fatto che dica come fra il governo di Romano Prodi e le elezioni anticipate ci sia un ponte da costruire e questo è il ponte della nuova legge elettorale. Anche questo lo dicevamo da tempo. D. Proporzionale. Miele per le vostre orecchie, no? R. Vero, positivo pure che lui dica che vuole un sistema elettorale di tipo tedesco. In effetti per creare una grande forza di centro è questo che serve. D. Quel che avete sempre detto voi R. Sì, dice che avevamo ragione noi D. E allora? R. E allora se avevamo ragione noi e torto lui, non è che può dirci adesso venite qui e mettetevi ai miei ordini senza condizioni D. Non l'ha detta così R. Mah comunque l'idea è che il partito nasce per sua esclusiva iniziativa. Ed era questa l'obiezione che si faceva rifiutando l'ingresso in Forza Italia: che era il partito di un uomo solo, il semplice seguito di un capo. Ora quando lui sogna una nuova Forza Italia senza un congresso, senza una direzione beh, rafforza tutte le critiche che si facevano. D. Berlusconi dice che sarà un partito che nasce dal popolo, e avrà le sue primarie R. Ma no, dai... Chi ci crede alle primarie? Chi le organizza? Non è una cosa molto credibile...(Buttiglione sale sull'aereo che lo porta da Torino a Roma e sbatte la testa prima di sedersi, ndr) Oh. Meine gute! Ho dato una botta alla testa D. Mi spiace R. ...passato, si figuri. Dicevamo? Ah, sì, le primarie...Beh, l'idea delle primarie onestamente non... Non... D. Se vuole la richiamo... R. No, no, passato... Volevo dire che l'idea delle primarie non è molto rassicurante,. Se si vuole fare un partito nuovo, allora bisogna fare la fatica di farlo insieme con qualcun altro. D. E' quel che vi ha invitato a fare Berlusconi R. Beh, qualcun altro che avendo dei partiti normali, deve avviare delle procedure democratiche. E all'invito dovrebbe aderire anche lui... D. Allora avevo ragione io...L'ha presa male, questa idea di Berlusconi, altroché... R. Nooo, dico: bene. Ma messa così sembra solo che Forza Italia cambi nome. Tutt'al più che la classe dirigente di Forza Italia venga accantonata per cercarne un'altra, più fedele, con meno pretese di controllo democratico. Più di questo l'operazione non sembra potere dare. D. Lei crede che sia solo un'operazione tattica di un Berlusconi in difficoltà? Che abbia usato solo il detto popolare “la migliore difesa è l'attacco”? R. Beh...lui era in un angolo. Ha dovuto riconoscere che noi avevamo ragione. Ma lo ha fatto cercando di non darci ragione. Allora noi diciamo a questo partito nuovo: “per il momento non siamo interessati” D. Insomma, non vi sentite all'angolo. Allora resta solo Gianfranco Fini R. Eh...certo Berlusconi gli ha sostanzialmente detto: “Questo bipolarismo è morto da un pezzo, il cadavere puzza. Finora io non me ne sono liberato per riguardo nei tuoi confronti. E tu per tutta gratitudine, che mi hai fatto?”. Ah, ah, ah... Ach, lo steward mi dice di spegnere il telefonino

Da Italia Oggi in edicola/ DINI BENEDICE LA SVOLTA DI BERLUSCONI

Lamberto Dini, il leader che è in posizione chiave in questo momento politico, quasi è disposto a lasciargli il passo. «Silvio Berlusconi ha compiuto una mossa magistrale», spiega a ItaliaOggi commentando lo scioglimento di Forza Italia e l'annuncio della nascita del partito del Popolo delle libertà, e aggiunge: «Mossa che obbliga tutti a riconsiderarlo politicamente centrale». Stima ricambiata durante la conferenza stampa ufficiale con cui il Cavaliere ha definito i contorni della sua nuova stagione politica. «Non sono sorpreso di questa citazione», continua Dini, «d'altra parte proprio in parlamento abbiamo detto che riteniamo importante arrivare a un quadro politico differente. Ed è così». Giudizio senza mezzi termini, quello di Lamberto Dini. Segnale anche di una cordialità ritrovata con Berlusconi, dopo qualche incomprensione negli anni. Avrà conseguenze immediate sul governo di Romano Prodi? Non immediate, ma conseguenze sì. Una nuova fase politica è ormai iniziata, ed è particolare di poco conto chi e per quanto resti ancora a palazzo Chigi. Dopo che Berlusconi ha sparigliato tutte le carte, è possibile che la stizza di Pierferdinando Casini e soprattutto quella di Gianfranco Fini faccia da stampella all'esecutivo morente. Ma- come aggiunge lo stesso Dini- in primo piano resteranno solo Berlusconi e Walter Veltroni con il suo partito democratico, «ed è impensabile che sulla legge elettorale non avvenga un confronto fra due partiti che hanno all'incirca il 30 per cento ciascuno». Che accadrà dunque nei prossimi mesi? Semplice: che Veltroni e Berlusconi si metteranno d'accordo su legge elettorale e sulla tempistica con cui sigillare definitivamente l'avventura politica di Prodi. In che tempi? Entro il prossimo autunno, forse un poco prima, in ogni caso per votare al massimo nella primavera del 2009. E' finita la Casa delle libertà, ed è già stato seppellito con la nascita del Pd il cartello elettorale dell'Ulivo. L'Italia avrà due grandi partiti che si confronteranno, come avviene negli Stati Uniti d'America. Ma non sarà la stessa cosa: con la decisione di Berlusconi si chiude anche l'era bipolare. Lui si è messo al centro della politica, ed è pronto a sfruttare i vantaggi di posizione del sistema proporzionale: ci si puàò alleare con Umberto Bossi o con Veltroni. Anche se oggi storce il naso Casini non ha altra possibilità che confluire in quel partito. Gianfranco Fini è l'unico ad essere davvero in difficoltà, ma la sua alternativa è tornare a guidare una sorta di vecchio Msi di scarso peso, avendo il morso di Francesco Storace alla sua destra. E' lui, insieme a Prodi, il vero sconfitto...

CROZZA, FINE DELLA SATIRA

Chiunque ieri sera abbia assistito alla annunciatissima telefonata in diretta di Walter Veltroni al suo migliore imitatore, il Veltroni-ma-anche-Maurizio-Crozza, ha ben capito quanto sarà dura fare satira sul nuovo leader del centrosinistra italiano. Nella trasmissione del comico su La7, Crozza Italia, c'erano già stati altri leader politici anche in studio. Si sono fatti prendere in giro volentieri e Crozza ha dato il meglio di sè. Con Veltroni è stato impossibile: il sindaco di Roma è disposto a sorridere su tutto, meno che su se stesso. Si prende maledettamente sul serio. Ha rivendicato perfino il ma-anchismo come punto programmatico qualificante della nuova stagione. Crozza non ha potuto che arrendersi, mani in alto fin dal primo minuto sperando che il nuovo partito democratico non faccia prigionieri... Una pena assoluta, appena salvata in corner dalla scenetta finale dove la satira si è salvata in angolo.

Lo spirito di Veltroni

Questo video risale a qualche settimana fa, ma vale la pena rivederlo all'indomani della telefonata di Walter Veltroni a Maurizio Crozza, di cui parleremo nel prossimo post. Perché rende evidente la presenza di spirito del nuovo segretario del Partito democratico (che di spirito ne ha quanto una patata...)

BERNABE' A TELECOM: che fine farà il maxi contratto firmato dalle società di Bernabè con Telecom Italia?

Domanda irriverente: se Franco Bernabè- come sembra- tornerà a fare l'amministratore delegato di Telecom Italia, che fine faranno i sostanziosi contratti delle società di Bernabè con il gruppo Telecom Italia? Nel 2006 ne è stato firmato uno triennale con Xaltia per la fornitura servizi vas a Telecom e Tim. Nel 2007 altro contratto rilevante per la realizzazione di piattaforme Ipv corporate al gruppo Telecom Italia. Ma nel paese dei conflitti di interesse a queste domande si risponde sempre con un'alzata di spalle...

SCALFARI BANDERUOLA SU ANDREOTTI

Per una vita Eugenio Scalfari ha scritto peste e corna di Giulio Andreotti. Per una vita con la sola parentesi dell'inizio degli anni Novanta, quando un Andreotti allora presidente del Consiglio riuscì a togliere Repubblica e l'Espresso dalle mani di Silvio Berlusconi (la spartizione della Mondadori). Poi la penna del fondatore di Repubblica è tornata a roteare. Staffilate anche nell'ultimo anno, quando il senatore a vita Andreotti si è permesso di votare con il centro destra contro il governo Prodi. Ecco un passo di un editoriale del 9 maggio 2007: "...per tornare ad Andreotti, c'è solo un personaggio storico al quale si può raffrontare, sia pure con ben altra dimensione, ed è Talleyrand. Stessa passione per il potere senza aggettivi, stesso uso spregiudicato dei mezzi, stessa sapienza tattica, stesso cinismo...". Ed eccone un altro del 22 luglio 2007: "La capacità di Prodi a mediare è notevole, ma c'è mediazione e mediazione. Andreotti per esempio, ai suoi tempi, fu un fuoriclasse in questo esercizio da lui usato quasi sempre per mantenersi al potere anche a costo dell'immobilismo più disperante...". Poi Andreotti ha votato per la finanziaria del governo Prodi. Ed ecco l'editoriale di Scalfari su Repubblica di domenica 18 novembre: "Credo doveroso che l'opinione pubblica esprima gratitudine- al di à delle condizioni politiche- a quei senatori a vita che si sono sobbarcati a una scelta di campo non per sostenere un governo ma per assicurare al paese quel minimo di stabilità possibile nelle condizioni esistenti, evitando rischiosissime avventure (...) Nel loro comportamento non c'è e non ci poteva essere alcun tornaconto e alcun calcolo pesonale nè retropensieri di sorta nè capricciose meschinità da soddisfare ma soltanto il diritto-dovere di salvguardare le istituzioni e il tessuto connettivo della nostra società. Ne faccio i nomi: Andreotti...". Da restare senza parole...

FURTO A ITALIA OGGI- I ladri fra le scorte della Casta

Nella notte fra mercoledì 14 e giovedì 15 novembre i ladri sono entrati nella sede romana del quotidiano Italia Oggi. Si sono calati dal tetto, hanno forzato le finestre dal balcone e hanno agito indistrurbati portandosi via telecamere dello studio tv, documenti e la cassa, sventrando la cassaforte dove erano racchiusi con la fiamma ossidrica. E' accaduto nel cuore di Roma. Davanti alla Galleria Colonna dove hanno sede alcuni uffici della presidenza del Consiglio, a fianco di palazzo Chigi e a pochi passi dalla Camera dei deputati e dall'Authority per le tlc. Tutti palazzi protetti da telecamere, vigilanza e scorte di pubblica sicurezza. La sicurezza della Casta. Non quella dei comuni cittadini...

FARINA: I PIEDI DI WOJTYLA ERANO UNA MIA FISSAZIONE

Dal libro "Maestri- Incontri e dialoghi sul senso della vita", di Renato Farina- Piemme edizioni, capitolo su Karol Wojtyla: " I piedi! I piedi del Papa! Sono una mia fissazione. Li ho visti l'ultima volta nella Sala Clementina, dove era stato deposto prima dei funerali. Ci sono potuto rimanere per un intero pomeriggio, un regalo postumo di Wojtyla, grazie a un privilegio concessomi da monsignor Caccia (...) Quel 3 aprile 2005 ero in ginocchio dalla parte dei piedi. Li rivedo. Sono avvolti in mocassini rossi. Quello destro è un pochino spostato verso l'esterno, sembra pronto a uno scatto (...) I suoi piedi erano così belli. Durante i viaggi egli era uso, dopo avere osservato i volti, guardare i piedi. Lo commuovevano quelli di chi arrivava con le suole scalcagnate in America Latina, sollevando la polvere che il vento gli sbatteva in faccia. Guardava i piedi nudi delle donne africane, guardava i tacchi a spillo delle donne europee. Vedere quei piedi fermi è stato per me come respirare la violenza della morte (...) La Bibbia, e quindi si suppone anche il suo Ispiratore, più degli occhi azzurri predilige i piedi. Gesù per amore, e forse per igiene della compagnia, lava le callose estremità degli amici. La Maddalena profuma e bagna e asciuga coi capelli ciò che del suo Cristo la inteneriva di più: i piedi. Isaia forse non si dilunga su nasi e mani, ma scrive "Beati i piedi di quelli che portano un lieto annuncio". San Paolo conferma nella lettera ai Romani: "Come sono belli i piedi". Viaggiando con il Papa ho imparato a capire che non sono licenze poetiche. Per questo il Papa, dopo i volti guardava i piedi con tenerezza..."

DA ITALIA OGGI IN EDICOLA/ Dini e il suo ditino

Il governo italiano è appeso a un ditino. A un pollice: quello che Lamberto Dini girerà verso l'alto, salvando la vita a Romano Prodi, o verso il basso, salvando la faccia a Silvio Berlusconi. Quel pollice è lì, a mezz'aria. Ieri si è alzato più volte. E quando Prodi già confidava ai suoi «Lamberto è tornato a casa», trattando Dini come Lassie, ecco quel pollice girarsi verso il basso, e indicare ai suoi lo stesso voto della Cdl. Governo sotto e brivido nella maggioranza già certa di avere scampato il pericolo. E di nuovo a roteare. Prodi ci è abituato: l'anno scorso il suo destino dipendeva da Pallaro, ora la sua maggioranza è legata alle decisioni di un mini-partito, i liberaldemocratici fondati da Dini. In senato i diniani sono tre: il fondatore, Lamberto; Giuseppe Scalera e Nicola D'Amico. Quest'ultimo è nato e cresciuto con Dini in Banca d'Italia. Grazie a lui è sbarcato in politica. Ma secondo il chiacchericcio di palazzo Madama D'Amico oggi sarebbe la longa manus di Prodi nel gruppetto che potrebbe tradire. Il suo compito sarebbe quello di lanciare per tempo l'allarme e consentire di trovare una sponda d'emergenza alla maggioranza. Che sia vero o falso, è questo il clima con cui ci si avvia al voto finale sulla legge finanziaria. Possibile che sugli ultimi articoli votati questa mattina la maggioranza vada ancora sotto e che il voto finale diventi l'addio al governo Prodi, cosa di cui è talmente certo Berlusconi da avere messo a punto ieri sera una sua possibile conferenza stampa di oggi per chiedere il ricorso alle urne. Possibile- come è avvenuto sempre nei momenti critici di questi mesi- che il voto di un senatore a vita consenta di prolungare l'agonia a palazzo Madama fino alla prossima trappola. Chi tifa per questa seconda ipotesi sventola uno spauracchio che ha poche ragioni di esistere: quello del rischio dell'esercizio provvisorio. Se anche cadesse il governo, non è detto che cada la finanziaria. Già quando Prodi fu costretto a lasciare il timone a Massimo D'Alema, si dovette ricucire una manovra economica in corsa. Il massimo che può accadere è dovere lavorare anche sabato e domenica e rinunciare al maxi-ponte di Natale. Indipentementre dall'esito del voto odierno però un fatto è chiaro: una maggioranza politica rappresentata in Parlamento in questo momento non esiste più. Dini e i suoi non fanno più culturalmente parte dell'Unione. Non è più lì nemmeno l'Udeur di Clemente Mastella. Possono optare per la ragione di Stato, possono non essere entusiasti di doversi alleare (colpa della legge elettorale) con il centrodestra di Berlusconi. Ma entrambi sono coscienti che è finita...

PRESSIONI ISTITUZIONALI SU UNIPOL? LA FORLEO LE HA DENUNCIATE AI CARABINIERI

Prima di avere detto in tv, prima di avere smentito davanti al Csm, incolpando i giornali di avere distorto le sue parole, il gip milanese Clementina Forleo ha messo nero su bianco le sue accuse alle istituzioni che avrebbero fatto su di lei pressioni sull'inchiesta da lei seguita sulla scalata Unipol-Bnl. Così infatti termina la deposizione volontaria resa dalla Forleo il 24 ottobre scorso davanti al nucleo operativo carabinieri in via della Moscova, a Milano: "Mi riservo- poichè non ho al momento raccolto adeguata documentazione, di esporre prossimamente altri episodi che potrei definire intimidatori o comunque di pressione del mio operato giurisdizionale ad opera di soggetti aventi rilievo istituzionale. Episodi verosimilmente connessi alle indagini concernenti la scalata Unipol-Bnl di cui sono in qualità di Gip titolare". Nella stessa denuncia la Forleo sostiene di essere sempre stata oggetto di lettere minatorie, ma di averne ricevute dal momento in cui si è occupata di Unipol "più forti di quelle in precedenza avute". Quelle precedenti erano "rozze", mentre quelle post Unipol "bene articolate, scritte con linguaggio forbito". In una di queste la minaccia più inquietante: "Una in particolare, sempre inoltrata agli organi competenti, mi preannunciava entro la fine dell'estate, la morte di entrambi i miei genitori, che effettivamente morirono in un incidente stradale il 25/08/05. Subito dopo tale decesso ebbi un'altra lettera in cui mi si diceva che se non fossi stata attenta, analoga sorte sarebbe toccata a me e a mio marito"

MARINI CAPO DELLA BANDA DEL BUCO- Il colpo basso al compagno di partito del presidente della commissione bilancio della Camera, Lino Duilio

Franco Marini è a capo di una banda del buco che in pochi giorni è riuscita a mettere nell'angolo regole di buongoverno sfondando i conti dello Stato. L'accusa, davanti ai colleghi attoniti, è arrivata lunedì pomeriggio dal presidente della commissione Bilancio della Camera, Lino Duilio, che oltretutto è anche compagno di ex (ppi- Margherita) e nuovo (Pd) partito dello stesso Marini. Ma Duilio ha perso la pazienza di fronte a tutti i deputati che gli chiedevano di ammettere i loro emendamenti al decreto fiscale, come appunto aveva concesso Marini durante il passaggio al Senato: "Non se ne parla. I criteri del Senato hanno condotto, fra le altre cose, ad approvare norme palesemente scoperte". Scoperte? Sì, rincara la dose Duilio: "non si può prendere ad esempio quel Senato che ha consentito di approvare un provvedimento pur in mancanza di copertura di 3,1 miliardi di euro...". Una voragine allegramente consentita dal presidente del Senato pur di non fare andare sotto il governo di Romano Prodi...

Da Italia Oggi in edicola/ Amato che insicurezza

Quando un agente di polizia, come Luigi Spaccatorella di pattuglia sull'autostrada del Sole, impugna una pistola, dovrebbe ripetere un gesto fatto mille e mille volte. Un tempo tutti erano costretti a farlo una volta, anche due al mese. Sul libretto di tiro segnate tutte le prove al poligono, anche i centri fatti. Prima che l'agente Spaccatorella impugnasse quella pistola domenica mattina dall'area di servizio di Badia al Pino, facendo fuoco per fermare quella che lui aveva creduto una rapina, il libretto di tiro non aveva che poche tracce. Un poliziotto oggi spara, se va bene, una volta ogni due mesi. Non ci sono fondi. Mancano addestratori per tutti. Anche per questo è morto Gabriele Sandri (...) E' l'addestramento che manca a un agente che da 70-80 metri spara per fermare la corsa di quelli che ritiene rapinatori e non lo sono. A quella distanza non è certo di colpire il bersaglio nemmeno un tiratore scelto. Figurarsi se di mezzo ci sono quattro corsie autostradali e la barriera che le separa. Questa tragedia che ha colpito l'Italia, che ha mostrato l'impreparazione dei vertici dell'Interno anche nella gestione successiva della comunicazione (e la guerriglia scaturita in mezza Italia si deve anche a questo), purtroppo non è casuale. Potrebbe avvenire ogni giorno, in questo o in altri modi, sulle strade, nelle città d'Italia. Per rendersene conto basterebbe scorrere le lunghe pagine delle audizioni fatte fra maggio e luglio dalla commissione affari costituzionali della Camera, di fronte a cui sono sfilati i vertici istituzionali e operativi di tutte le forze di polizia. Basti un dato fornito dallo stesso ministro dell'Interno, Giuliano Amato: fra il 2004 e il 2007 il budget della sicurezza in Italia è stato tagliato di un miliardo di euro. Le esigenze sono cresciute, le risorse tagliate. Quel giorno si rise amaro per il consiglio fornito dal ministro ai vigili del fuoco: “visto che non ci sono soldi, pagate la benzina, lasciate perdere gli affitti”. Meno risorse però significa meno uomini, meno armi, meno auto, meno addestramento. Più assassini come quello di Giovanna Reggiani a Roma. Altre tragedie come quella è costata la vita a Gabriele Sandri. Largo alla criminalità organizzata in mezza Italia. Strade aperte alla criminalità comune ovunque. Non c'è stato un governo negli ultimi anni che abbia impedito al ministro dell'Economia di tagliare il budget della sicurezza come si trattasse di un capitolo di spesa fra i tanti. Non c'è stato un politico che abbia chiesto di organizzare diversamente quel che resta: non a protezione del Castello e dei suoi nobili inquilini, ma di tutti. A loro mille scorte. A vegliare sugli altri italiani resta solo un ministro.

OMICIDIO SANDRI, LE ISTITUZIONI IRRESPONSABILI

Per buona parte della giornata di domenica, nelle ore che sono seguite all'omicidio di Gabriele Sandri- il giovane romano tifoso della Lazio assassinato in un autogrill- si sono accreditate informazioni false, ricostruzioni di fantasia che accreditavano un omicidio fra tifosi e le principali istituzioni hanno brillato per assenza lasciando l'impressione di volere coprire la dinamica reale dei fatti. E' responsabilità del ministero dell'Interno avere fatto filtrare versioni assai lontane dal vero fino a pochi minuti prima dall'inizio delle partite, contribuendo così al diffondersi di versioni ufficiose sulle responsabilità (per altro reali) della polizia. Avere accreditato la versione- falsa- della rissa fra tifosi ha gettato solo benzina sul fuoco. E già questo meriterebbe spiegazioni da parte di Guliano Amato. Ma il ministero degli Interni ha una doppia responsabilità. La guerriglia scatenata fra pomeriggio e sera dagli ultras delle tifoserie di mezza Italia dimostra quanto siano lontani dalla realtà legislatori e vertici del calcio. Non ci sono le condizioni di sicurezza minime per potere continuare a lasciare aperti gli stadi. Il campionato di calcio si dovrebbe giocare fino alla fine a porte chiuse.

Da Italia Oggi in edicola/ La scorta di Napolitano

A presidiare il Quirinale la sicurezza del suo inquilino, Giorgio Napolitano, c'è una scorta da fare invidia perfino agli antichi imperatori: 1.085 uomini. Di questi, 47 sono militari inquadrati negli uffici di diretta collaborazione del presidente della repubblica, 272 sono corazzieri, e cioè carabinieri scelti della guardia personale del capo dello stato. Gli altri 766 sono carabinieri, poliziotti, guardie forestali alle dipendenze della segreteria generale del Quirinale. Sul Colle, quindi, quei 1.085 militari sono più degli inquilini del palazzo: 1.020 oltre Napolitano. Per difendere i suoi 121 mila abitanti dai 4.412 delitti annui l'intera Valle d'Aosta deve accontentarsi di 919 fra poliziotti e carabinieri. La consistenza attuale dell’esercito personale del capo dello stato è circa tre volte superiore a quella che garantiva la sicurezza di Sua Maestà nell’Italia unificata. Se al caso del Quirinale si sommano i poliziotti e i carabinieri impegnati a Roma nelle scorte di palazzo, a presidiare ministri e ministeri, deputati, senatori, organi costituzionali e loro inquilini anche durante gli spostamenti si capisce come è possibile che Roma, la città con più forze di polizia in assoluto, sia anche la capitale italiana dei delitti. In Italia ci sono circa 5 appartenenti alle forze di polizia ogni mille abitanti, e la cifra in sé non è bassa, anche quando rapportata agli altri paesi europei. Ma quei tutori della sicurezza sono dislocati soprattutto a protezione della casta, e per il resto distribuiti sul territorio in modo poco efficace. Quando si parla di criminalità e sicurezza è da lì che bisognerebbe partire. Mille uomini per una sola persona e mille persone per 5 poliziotti: il divario non ha bisogno di ulteriori commenti, e qualsiasi paragone con altri capi di stato occidentali andrebbe a mortificare il presidente della repubblica italiano. Napolitano e il suo segretario generale, Donato Marra, non hanno nascosto nei bilanci del Quirinale questa sproporzione. Anzi, è già stata annunciata una riduzione degli organici con il blocco del turnover. Di più non si potrebbe per non mettere sulla strada il personale. Vero, se parliamo di civili. È invece proprio quel che si dovrebbe fare per la metà di quei militari. Sulla strada, a garantire la sicurezza dei cittadini. Non di un solo cittadino…

Fassino sarà meno solo in Birmania. Ma non ne sa nulla: laggiù bisognava mandare Veltroni

, biPiero Fassino sarà anche stato sottosegretario agli Esteri, ma della Birmania se ne è occupato per la prima volta proprio in questi ultimi mesi, commentando come tutti le repressioni contro i monaci buddisti. Ho fatto una ricerca in tutti gli anni di vita parlamentare e ministeriale di Fassino, e nemmeno in una sola occasione si è occupato di Rangoon e dintorni. Solo e disoccupato in Italia, come testimonia questa foto scattata a Montecitorio (laggiù, allungato su una poltroncina, dimenticato da tutti), Fassino ha certamente trovato una occupazione dignitosa. Ma il vro esperto di Birmania nel Pd era certamente un altro: Walter Veltroni, che da quindici anni segue direttamente le vicende politiche di quel paese in prima persona. E' il leader politico internazionale che più se ne è occupato insieme a M. Gorbaciov. Prima da semplice leader pci, poi da pidiessino, da segretario dei Ds fece laggiù un lungo iaggio diplomatico (1999), da sindaco di Roma se ne è occupato ogni anno. Va a finire che come con Prodi Veltroni si ritaglierà un ruolo da suggeritore occulto anche di Fassino...

Forleo 2/ Da Italia Oggi in edicola

L’Italia si è normalizzata

L'ultimo atto è arrivato ieri sera, al palazzo dei Marescialli. Davanti alla prima commissione del Consiglio superiore della Magistratura si è chiuso il caso di Clementina Forleo. Il gip milanese, stando alle prime scarne ricostruzioni strappate da Claudia Morelli (la testimonianza, o meglio l'interrogatorio è stato segretato), avrebbe fatto una robusta marcia indietro rispetto alle frasi dette durante la trasmissione tv di Michele Santoro. Ha negato di avere ricevuto pressioni istituzionali sul caso Unipol e sostenuto che il caso sia stato successivamente montato dalla stampa. Tolta a Luigi De Magistris l'inchiesta che minacciava il governo, con la retromarcia della Forleo l'Italia si è normalizzata... Intendiamoci, non abbiamo elementi per giudicare le ragioni che hanno portato ieri il giudice Forleo a dire quelle cose al Csm. Non sono mancati riflettori e microfoni in queste settimane (nè lei sembrava sottrarsene) per respingere con immediatezza un'interpretazione delle sue parole evidentemente ritenuta fuorviante. Ma la pressione di questi giorni nei suoi confronti e il destino assegnato a quel suo collega -De Magistris- che con tanta generosità aveva pubblicamente difeso devono avere consigliato prudenza. Non era mai accaduto che un pubblico ministero con in mano una inchiesta che toccava esponenti importanti del governo in carica fosse tolto di mezzo senza nemmeno preoccuparsi di salvare al forma: viale inchieste, licenziati i suoi consulenti, trasferito il suo principale collaboratore di polizia giudiziaria, probabilmente via anche lui. E si accontenti di mantenere scorta e protezione. Al di là del giudizio di merito sulle inchieste di De Magistris (che è solo una parte del processo, il pm) e sugli atti della Forleo (che è giudice), non si ricorda in Italia un isolamento istituzionale di questo tipo nei confronti di due magistrati dall'inizio degli anni Novanta. E i magistrati allora lasciati soli ed isolati da gran parte delle istituzioni avevano i nomi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Certo il contesto è in parte diverso, ma la procedura davvero collimante, e fa una certa impressione. Temo di essere buon profeta nell'immaginare che anche quelle lacrime versate copiosamente ieri dalla Forleo davanti a quelli che avrebbero dovuto essere suoi difensori e invece costituivano una corte di giudizio le saranno volte contro. Donna. Emotiva. Instabile. Inadatta a un ruolo così delicato. Non è un caso se solo di quel pianto, assai enfatizzato, è trapelata a tarda sera qualche notizia sulle principali agenzie. Chiuso il caso De Magistris, inondato da lacrime quello Forleo. L'Italia è normalizzata..

Forleo 1/. Quel che disse in tv

Questo è quanto ha detto Clementina Forleo da Michele Santoro. Davanti al Csm il gip milanese ha negato l'episodio sostenendo che si trattava di invenzioni della stampa...

Prodi campione del tirem innanz- Andreotti si sfila dalla spallata berlusconiana e lo elegge suo successore

Qualcosa in più del brodino evocato da Fausto Bertinotti. Giulio Andreotti è disposto a trasformarsi in aspirina per allungare la vita del governo di Romano Prodi. L'ultima delusione per Silvio Berlusconi è arrivata dalla rubrica delle lettere che Andreotti tiene sul quotidiano Il Tempo. Rispondendo a un lettore che lo invitava a togliersi qualche sassolino nei confronti del centrosinistra, il senatore a vita ha escluso così l'ipotesi: "Forse perché sono stato tanti anni al governo (sottosegretario, ministro, presidente), ho propensione a comprendere le difficoltà in cui i governi si trovano. Quindi, salvo ipotesi al contrasto di fondo, non mi oppongo e... lascio vivere". Simbolo stesso della politica del "tiremo innanz" che tenne in piedi il suo governo nonostante la defezione di metà squadra ministeriale all'inizio degli anni Novanta, Andreotti ha riconosciuto in Prodi il suo successore naturale...

Caso D'Alema, la Forleo pronta a inviare la richiesta al Parlamento europeo

Il Gip milanese Clementina Forleo ha preannunciato alla commissione del parlamento europeo presieduta dall'onorevole Giuseppe Gargani l'invio della richiesta di autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni telefoniche sul caso Unipol che hanno come protagonista l'ex parlamentare europeo Massimo D'Alema. La richiesta è attesa per questa settimana. E giunge con un fresco ( e raro) precedente di concessione dell'autorizzazione. L'8 ottobre scorso infatti la commissione giuridica guidata da Gargani ha negato l'immunità parlamentare a un eurodeputato della Lega, Gian Paolo Gobbo accusato dal Gip di Verona di avere organizzato con altri una associazione paramilitare, quella delle cosiddette Camicie Verdi. In allegato ecco un video con qualche rapido flash raccolto fra il 2005 e il 2006 nei momenti delle scalate bancarie di cui si è poi occupata la Forleo... Buon ascolto. F.B.